Tempeste sul «mercato globale»

La conferenza di Seattle dell’Organizzazione mondiale del commercio è stata in parte bloccata da una feroce contestazione. Quali erano, e quali sono, gli interessi in gioco?
06 Aprile 2000 | di

Il tanto paventato Millennium bug, il «baco del millennio», che avrebbe dovuto paralizzare il mondo al cambio di data, non riconosciuto dai computers, per fortuna non si è verificato. Il 1° gennaio 2000, aerei, treni e bus hanno funzionato regolarmente (con la testa bloccata solo per chi aveva ecceduto a festeggiare la notte del millennio). Ma un altro millennium bug si era già  abbattuto, un mese prima, sul «mercato globale» con la contestazione, altrettanto globale , che si era rovesciata sulla conferenza di Seattle dell`€™Omc (Organizzazione mondiale del commercio). Una riunione che si presentava prevalentemente tecnica, per stabilire l`€™agenda di nuove tappe di apertura dei mercati mondiali, ha attirato su di sé tutte le critiche, e anche la rabbia, che si erano accumulate negli anni contro la liberalizzazione indiscriminata.
C`€™è già  chi parla di un evento popolare formidabile. Il francese Ignacio Ramonet, direttore di «Le Monde diplomatique», non senza lirismo, scrive di «nuova aurora»: «Mentre si spegneva il secolo, a Seattle è sorta una luce».
I realisti, e il direttore generale dell`€™Omc, Mike Moore, è senza dubbio fra loro, ribattono che «il globalismo è diventato il nuovo 'ismo' da odiare, ma non si tratta di un`€™ideologia, è un processo». Per i manifestanti di Seattle `€“ eterogenei come provenienza e richieste, uniti nella critica `€“la lotta si indirizza pur sempre contro quello che appare un «pensiero unico», senza alternative e contrappesi, quindi globalizzante, totalizzante. Che, soprattutto, esclude la partecipazione popolare. Ma anche dal campo dei realisti vengono critiche assai dure su come avviene la liberalizzazione dei mercati. Edward Luttwak, esperto ascoltato dal governo statunitense, che sovente compare anche alla nostra televisione in collegamento (parla un italiano molto scandito), ha coniato il termine «turbocapitalisti» per quanti vorrebbero tutto omogeneizzare nel nome dell`€™efficienza di mercato, passando come turbocompressori sulle diversità  culturali, sociali, economiche dei differenti paesi.
Si impone, quindi, un cambio di prospettiva, senza però confondere il bene col male, come fanno, invece, i contestatori estremi. La caduta delle barriere doganali e l`€™apertura dei mercati sono state i grandi motori del progresso del dopoguerra. Senza di loro, non avremmo avuto né il «miracolo italiano» né la formazione delle stesse comunità  europee (un tempo autrici e beneficiarie di queste aperture). Sul versante Nord-Sud, è lo stesso Clinton a dare i dati, rilevando che i paesi in via di sviluppo che si sono aperti hanno progredito due volte di più di quelli chiusi, e i più aperti, addirittura, sei volte di più. Ma l`€™ulteriore apertura richiede regole, come è stato per la Comunità  europea, che invece sul piano mondiale, per il momento, mancano. E contemporaneamente, un vero cambio di prospettiva. Già  il Club di Roma, un gruppo di futurologi con «menti» da varie discipline, nel 1972 aveva scritto di «limiti da porre allo sviluppo», cioè di uno «sviluppo compatibile» con le risorse ambientali e umane.
Per il momento, l`€™Omc non si è ripresa dallo shock della contestazione e del fallimento di Seattle. I suoi uffici, in rue de Lausanne a Ginevra, si limitano alla routine, non si parla di rilancio dell`€™agenda per il Millenniun round. Tanto meno di raggiungere gli ambiziosi obiettivi auspicati nella precedente conferenza di Marrakech (che, invece, era stata un successo): la sparizione, entro il 2002, di tutte le barriere al libero scambio. Anche il calendario politico non aiuta, perché le elezioni del nuovo presidente statunitense, il prossimo novembre, trattengono Clinton e il suo vice Gore dall`€™impegnarsi troppo, visto che i potenti sindacati, usuali alleati dei democratici, erano in piazza con i contestatori a Seattle. C`€™è chi dice che se ne riparlerà  addirittura nel 2002, quando l`€™attuale direttore generale dell`€™Omc, il neozelandese Mike Moore, considerato troppo vicino ai «grandi dell`€™Occidente» sarà  sostituito dal tailandese Supachai Panitch-pakchi. Anche l`€™annuale Forum di Davos, di fine gennaio, dove si riunisce l`€™areopago del «capitalismo intelligente», si è mostrato molto cauto e ha fatto opera di «buonismo». Quanto a Clinton, che voleva coronare la sua presidenza con un trionfale Millennium Round, ha imparato velocemente la lezione. A Seattle ha detto che i contestatori andavano ascoltati, a Davos ha proclamato: «Noi saremo flessibili». Ha ammesso che la globalizzazione ha bisogno di partecipazione e controllo democratico, che sin qui è mancato, e ha ribadito che «occorre una istituzione dove si possono affrontare le tematiche sociali, ambientali, del lavoro legate all`€™espansione del mercato globale».
È quindi bene che il Millennium Round sia fermo, per poter ripensare da cima a fondo (se lo si vuole veramente) strumenti e istituzioni `€“ prima di tutto la stessa Omc `€“ e, quasi sicuramente, immaginarne di nuovi.
Un`€™occasione potrebbe essere il «Forum del millennio» che si terrà  a New York a maggio, sotto l`€™egida delle Nazioni Unite. Renato Ruggero, che è stato il penultimo direttore generale dell`€™Omc, ammette che troppo a lungo questa è rimasta uno strumento nelle mani dei paesi forti occidentali e chiede una «leadership collettiva che rifletta la realtà  di un mondo multipolare» indicando, come esempio, il G 22 dove i paesi industrializzati colloquiano con i paesi in sviluppo. Intanto la Cina batte alle porte dell`€™Omc e il suo ingresso potrebbe fornire un`€™altra occasione per quel ripensamento e riforma che tutti, a parole, auspicano.

   
   

   

LILLIPUT CONTRO GULLIVER      

  Li hanno definiti «metallurgici e tartarughe» per rimarcare l`€™eterogeneità  dei manifestanti di Seattle. Erano cinquantamila, organizzati dal «People global action»  (Azione globale di popolo) e riuniti con un tam tam che si era diffuso via internet già  sei mesi prima della conferenza dell`€™Omc. Sono scesi in piazza operai metallurgici che temono la concorrenza di paesi del Terzo mondo, ambientalisti contrari ai cibi transgenici e all`€™importazione di gamberetti pescati con reti a strascico che distruggono la tartaruga di mare, verdi politici, associazioni di consumatori. Anche qualche conservatore e accanito nostalgico del «made in Usa». Perfino qualche gruppo violento, come gli anarchici «Frazione dell`€™armata nera» e gli «autonomi» europei. In gran maggioranza, però, fautori della «non violenza», come la miriade di Ong variamente impegnate a favore del Terzo mondo.
C`€™è chi è già  diventato «personaggio»: l`€™americano Mike Dolan, descritto come «un misto di Woody Allen e Lenin», ma soprattutto il francese José Bové. Fa parte della «Confederazione contadina», ma viene da Parigi, dove ha studiato filosofia imparando di più `€“ sono sue parole `€“ «dalla piazza». Basco calcato in testa, baffi spioventi, è stato paragonato , anche visivamente, ad Astérix, un personaggio mitico dei fumetti. Se ne è andato ad allevare bestiame sull`€™altopiano del Larzac per protestare contro un poligono di tiro militare, ha anche investito con il suo trattore un Mc Donald`€™s in costruzione. Ha infine fondato un`€™organizzazione dalla sigla complicatissima `€“ Cc-comc (Coordinamento dei cittadini per il controllo dell`€™Omc) `€“ che vuol aprire un suo «osservatorio» proprio di fronte alla sede dell`€™antagonista, in rue de Lausanne, a Ginevra. Il dialogo con questi contestatori, anche pacifisti, non è facile: al forum di Davos, invitato a esporre le sue idee dal  «padrone di casa» Klaus Schwab, ha risposto: «Scenda lei in strada a spiegarsi con noi».
In Italia, i contestatori dell`€™Omc fanno parte di una rete chiamata significativamente «Lilliput». Fra essi alcuni frati da tempo attivi in Ong per il Terzo mondo, come il saveriano Eugenio Melandri, il comboniano Alex Zanutelli, o sacerdoti come Albino Bizzotto e Vitaliano Della Sala.
Il prossimo appuntamento mondiale è per il 1° maggio, quando intendono rivitalizzare le tradizionali manifestazioni per la festa del lavoro. Si è parlato della varietà , anzi diversità  di tendenze e richieste della nuova contestazione, che sovente appaiono contraddittorie fra di loro: bisogna aggiungere, però, che esprimono i  mille colori della società  civile di fronte al grigio burocratico uniforme delle organizzazioni ufficiali, tipo l`€™Omc.
CHE COS`€™È L`€™OMC                  

L`€™Organizzazione mondiale del commercio (Omc o Wto dalle iniziali inglesi) è l`€™erede, dal 1995, del Gatt che, dal 1947, si era incaricato di abbassare, attraverso periodici incontri internazionali, le dogane. A differenza, però, del Gatt, che aveva solo un carattere orientativo, le decisioni dell`€™Omc, prese all`€™unanimità , hanno carattere vincolativo e sono garantite da un «panel di esperti» che funziona come un tribunale. L`€™Omc, poi, limita o propone l`€™abolizione di tutte quelle barriere che, oltre ai dazi doganali già  sensibilmente scesi o scomparsi, ostacolano la libertà  del commercio internazionale o costituiscono un protezionismo a favore dei prodotti nazionali. L`€™Omc è considerata la «terza gamba» del mercato globale, accanto alla Banca mondiale e al Fmi (Fondo monetario internazionale) che risalgono entrambi agli accordi di Bretton Woods del 1944. L`€™Omc ha sede a Ginevra in rue de Lausanne.
Alla riunione di Seattle aveva in       programma anche misure utili, come lo «standard sociale» da definire e rispettare per evitare la concorrenza di paesi che usano largamente il lavoro dei bambini, ma l`€™Omc è diventata il capro espiatorio di tutte le tensioni che si accumulano su alta finanza, multinazionali, liberismo incontrollato.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017