Tonino Bello un grande cristiano

Fu un vescovo raro, radicale e mite. Innamorato della pace e della povertà. L’ultimo incontro con lui quando la malattia lo stava uccidendo. Le sue ultime parole furono parole di speranza
06 Gennaio 1997 | di

Che aveva di straordinario il vescovo Tonino Bello? Come poté aiutare tanti a credere quand'era vivo e com'è che ne aiuta tanti di più ora che ci ha lasciati? Sono ormai quasi quattro anni che se n'è andato, con una celebrazione ecclesiale della propria morte che è stato un dono grande per tutti. Da allora la sua memoria è cresciuta ogni anno: la tomba - nel familiare cimitero di Alessano - è divenuta la meta di un ininterrotto pellegrinaggio, si continuano a ripubblicare le sue lettere, si raccolgono gli articoli, si ristampano i libri, gli vengono dedicati seminari e convegni.

Era un vescovo raro, radicale e mite, semplice e profondo. Innamorato della pace e della povertà . Chi è radicale, in genere non è mite: lui era l'una cosa e l'altra. Con le sue doti di comunicazione ha detto molto ai giovani. Gli altri non l'hanno ascoltato, giudicandolo un ingenuo. Ma non lo era, e il suo ascolto è cresciuto dopo quella morte. Oggi tutti ci rendiamo conto che forse non fu un grande vescovo, ma certamente fu un grande cristiano.

Proviamo a dire che cristiano fu questo vescovo fraterno che non saliva mai in cattedra e che ha insegnato tanto. Provo a dirlo raccontando il mio ultimo incontro con lui, due settimane prima della morte, e ricordando alcune delle parole che ci ha lasciato negli anni della malattia, che insieme alla morte fu la sua testimonianza più alta.

L'ho visto l'ultima volta nella sua casa di Molfetta il 4 aprile 1993, domenica delle Palme. Da due anni lo divorava un tumore allo stomaco. Ero andato a trovarlo con la mia sposa - che non l'aveva mai incontrato, ma lo conosceva dagli scritti - e, sulla porta, il fratello medico, Marcello, ci raccomandò di non farlo parlare troppo perché si stancava. Ed eccoci da lui, che era seduto su una poltrona, accanto al letto, con una coperta sulle gambe. Ma lui subito parla: «Che straordinario, essere cercati, essere amati da persone che non abbiamo mai visto! Chissà  quante ne incontreremo in cielo!».

Tutta la conversazione avrà  l'andamento di un commiato, ma senza toni patetici. La mia sposa gli dice come lo seguiva da lontano, quand'era ancora a Milano, e lui: «Ma senti! Quanto mi aiuta quello che mi racconti». Alla fine la benedirà , e siccome lei è incinta dirà : «Benedico te e la creatura che porti: la buona Pasqua per te quest'anno sarà  anche un buon Natale!».

Ricordiamo persone e fatti. «Tu sei marchigiano - mi dice - porta sempre con te la carezza del focolare, che è il segno della tua terra».

Vengono in continuità  visitatori. Gente che esce dalla messa delle Palme, si informa «come sta il vescovo» e salgono a dargli la buona Pasqua. Portano tante palme, la stanza si riempie. Don Tonino è contento, lo dice con gli occhi. Viene una bambina ed è una festa vederlo ciarlare con la piccina, che gli dà  un uovo: «L'hanno regalato a me e io lo do a te, così diventi forte e stai ancora con noi».

È questo accompagnamento comunitario di don Tonino al grande passo della morte che ci colpì in quella visita. Più della serenità  che aveva negli occhi. Era vissuto in comunione immediata con il suo popolo e in quella comunione moriva.

«Aiutatemi a preparare l'omelia del Giovedì Santo», dice a sorpresa, un momento che non c'è nessuno. «Ho bisogno di segni di speranza per questa omelia, perché viene la Pasqua e non dobbiamo aspettarla nell'abbattimento». Gli tengo un braccio, chiedo se gli fa male. Dice no, e mi interroga come giornalista sui segni dei tempi. E da allora io non smetto - come ci fosse stato un impegno con lui - a cercare segni di speranza.

La sua ultima omelia, di quel Giovedì Santo in cui lo portarono in cattedrale su una sedia a braccioli, fu tutto un invito all'impegno per la pace e alla speranza per le sorti dell'uomo: «Oggi, come non mai, si sta prendendo coscienza dell'origine e del destino unico dell'umanità ». E ancora: «Vedrete come, fra poco, la fioritura della primavera spirituale inonderà  il mondo, perché andiamo verso momenti splendidi della storia. Non andiamo verso la catastrofe. Ricordatevelo!». Commovente l'invito alla speranza in Cristo: «Siate felici per l'offertorio della vostra vita. Possiate godere l'intimità  del Signore e sentirvelo vicino nei momenti più tribolati».

Un mese prima aveva mandato questo messaggio a un gruppo di giovani: «Non abbiate paura! Una grande fiducia, anche per il vostro avvenire, vi colmi l'anima. Non preoccupatevi quando sentite previsioni catastrofiche sul vostro futuro, sulla disoccupazione, oppure sulla pace nel mondo».

E chi avesse il sospetto che don Tonino fosse sì un marciatore della pace, ma un predicatore reticente di altri aspetti del messaggio cristiano, riascolti in queste parole - rivolte al popolo in una festa mariana, sette mesi prima della morte - quale profondo radicamento evangelico avesse la sua speranza storica: «Chiediamo al Signore, chiediamo alla Vergine santa che faccia traboccare nel nostro cuore la speranza in tempi migliori. Ce la possiamo fare. Soprattutto se il vangelo, l'onestà , la purezza dei giovani, la trasparenza, il rispetto del corpo proprio e degli altri, il ritorno alla fontana antica ci sosterranno in questo nostro cammino».

Una vita per la pace

Tonino Bello nasce ad Alessano (Lecce) nel 1935 e muore vescovo di Molfetta il 20 aprile 1993. Memorabile fu la messa di commiato, concelebrata il 22 aprile a Molfetta, tra il mare e il Duomo vecchio, con 50 mila persone, i vescovi della Puglia e Bettazzi, suo successore alla presidenza di Pax Christi.

Aveva studiato a Bologna (seminario Onarmo), Milano (licenza in teologia) e Roma (dottorato alla Lateranense). Nella diocesi d'origine - Ugento - era stato rettore del seminario e parroco a Tricase. Tra i gesti che lo fecero conoscere: l'impegno contro il trasferimento degli F16 statunitensi dalla Spagna alla Puglia, la fondazione a Ruvo di una comunità  per tossicodipendenti, l'accoglienza in episcopio di un gruppo di famiglie sfrattate, la partecipazione alla marcia dei 500 a Sarajevo nel dicembre del 1992 (quando già  tribolava a stare in piedi). Tra i suoi volumi - pubblicati dalla Meridiana, da «Luce e Vita» di Molfetta, dalle edizioni San Paolo e dalle Edb - ricordiamo: Sentinelle del mattino (1990); Ad Abramo e alla sua discendenza; Scrivo a voi. Lettere di un vescovo ai catechisti (1992); Stola e grembiule; Maria, donna dei nostri giorni (1993).

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017