A Torino lezioni africane
Scoprire l'Africa a Torino, la sua storia e cultura, è l'occasione offerta dalla Galleria d'arte moderna con Africa. Capolavori da un continente, curata da Ezio Bassani e da un imponente comitato scientifico. Oltre 400 opere dalle maggiori collezioni d'Europa, America e Africa, ossia la stragrandemaggioranza dei capolavori d'arte africana oggi conosciuti, suddivise in quattro sezioni, corrispondenti ad altrettante epoche storiche, sui tre piani della Galleria, ciascuna delle quali - è stato detto - potrebbe costituire una singola manifestazione. Nel presentarla, l'assessore alla Cultura di Torino, Fiorenzo Alfieri (cui va il merito di averla voluta) l'ha definita iniziativa culturale di vertice nel panorama europeo delle grandi Esposizioni...
Con essa vogliamo sottolineare che le mostre d'arte possono affrontare anche temi nuovi, complessi e di forte attualità sociale per l'interesse del grande pubblico. Ciò che in realtà sta avvenendo, perché grande è l'eco sollevata dalla rassegna, tra studiosi e non. Anche perché ha effettivamente in sé le caratteristiche di novità , complessità e attualità accennate dall'assessore.
La novità , innanzitutto. Il fatto che si usi il termine capolavori potrebbe far arricciare il naso a più d'uno, tanto è diffusa in Occidente l'opinione che la vera, grande storia dell'arte sia solo quella di Michelangelo, Raffaello, Leonardo, Caravaggio, ecc... e che capolavori in un continente comunemente giudicato sottosviluppato non ce ne possano essere. In realtà , gli occidentali di arte africana sanno ben poco osserva Vittorio Sgarbi. Un esempio per tutti. Quando, nel 1910, vennero scoperti nell'attuale Nigeria dei meravigliosi bronzi risalenti al VI secolo dopo Cristo (in mostra), la loro perfezione, i loro tratti, realistici eppur sublimemente idealizzati, fecero pensare a una colonia di artisti greci giunta in Africa. Solo col ritrovamento dei resti dell'antica città di Ife venne confermata l'esistenza di un grande regno africano che dalla città prende il nome. Ciononostante, nell'immaginario collettivo, l'Africa si associa sempre a termini quali primitivo e tribale.
Altro esempio? Jean Leonard Touadi nel suo efficace volume Africa, la pentola che bolle riporta il pensiero di Hegel secondo cui l'Africa non presenterebbe alcun interesse dal punto di vista storico. Sarebbe cioè - commenta Touadi - un continente immerso nel buio della a-storicità , collocato arbitrariamente in un purgatorio dell'umanità da cui l'uomo bianco lo avrebbe tirato fuori secondo i canoni della Missione-Civilizzatrice.... Quanto all'art nègre, gli occidentali sono abituati a guardarla come a un'arte anch'essa primitiva a cui le Avanguardie del Novecento (Picasso, Matisse, Modigliani, Braque, Giacometti, Moore, ecc) si sono ispirate traendone schemi nuovi, estranei all'arte figurativa. Ma il concetto di primitivo, che implica un prima e un dopo - dicono gli studiosi -, appare estraneo a quella cultura. Opere di grande valore espressivo si affiancano ad altre caratterizzate dal più sapiente realismo, in un alternarsi indifferente alla cronologia, ma sempre connesse a un unico valore rituale e simbolico. Nei secoli, quell'arte primitiva riesce a mantenere un linguaggio unitario pur nel mutamento dei canoni stilistici. Di arte africana (art nègre, per l'appunto) si può quindi propriamente parlare anche quando si affiancano, come avviene in questa mostra, opere distanti tre millenni.
Il continente africano fu ricco di regni che gestirono grandi ricchezze e importanti vie di commercio. La mancanza di una tradizione scritta ha contribuito a far nascere grandi leggende sulla loro esistenza, ma le opere d'arte esposte a Torino possono testimoniare l'effettiva esistenza (e grandezza) di queste realtà cancellate dalla storia. Da Ife, ad esempio, prese il nome un regno africano posto all'altezza dell'attuale Nigeria, la cui esistenza (e splendore) sono ribadite di recente dalla scoperta delle terrecotte di Nok, modellate con grande tecnica e coscienza formale e tanto più apprezzabili se si guarda all'epoca in cui vennero create (attorno al 1000 d.C.).
In Europa i capolavori del Benin
Dopo la distruzione dell'antico regno del Benin, a opera degli inglesi (1897), l'Europa fu invasa da oggetti di mirabile fattura. La mostra raccoglie alcuni più importanti pezzi: teste di re e regine del XVI secolo, due nani buffoni di corte (esemplari unici al mondo), figure di leopardi, altri animali raffiguranti il potere del re e il suo dominio sul tempo e lo spazio. Il momento più alto di questa civiltà è costituito dalle sculture in bronzo che Sgarbi giudica più occidentali ed evolute di quelle loro contemporanee fatte in Europa. Anche l'antichissima civiltà dei Dogon è rappresentata da capolavori in legno (esempio, la Pilatrice di miglio), risalenti all'anno Mille dopo Cristo.
Rideva il sole nella capanna e le mie donne erano belle e flessuose. Poi un giorno i raggi del sole pareva che si spegnessero nella mia capanna priva di senso. E i figli lasciarono la tranquilla nudità per indossare l'uniforme di ferro e di sangue. Non ci siete più tam tam delle mie notti e dei miei padri, i ferri della schiavitù ci hanno straziato il cuore. Nessuno rimarrà indifferente alle parole tratte da Tutto è perduto di David Diop e affisse a grandi lettere nella seconda sezione della mostra, dedicata all'arte africana del periodo della conquista e della riduzione in schiavitù.
I primi lavori su commissione
I navigatori portoghesi, ammirati dalle capacità degli artisti africani (soprattutto nello scolpire l'avorio), commissionarono a scultori neri oggetti da importare in Europa, dando il via a una moda che indusse le corti europee a collezionare saliere, olifanti da caccia, cucchiai in avorio. Alla mostra sonoesposti una cinquantina di pezzi, assieme ad antiche carte geografiche. Ma alla bellezza estrema dei manufatti, il visitatore non potrà non associare immagini di lacrime e sangue di quell'immensa tragedia che fu la schiavitù.
La scoperta del primitivismo
Nella conferenza che tenne a New York in occasione della prima Mostra di arte africana in Usa, Paul Guillaume, mercante e amico di Modigliani, Picasso, Braque, Derain tratteggiò, con lucidità , le qualità degli artisti africani e l'impatto prodotto sugli esponenti dell'Avanguardia parigina. Da allora ebbe inizio un sofisticato collezionismo in Europa e in America che portò nei grandi musei di New York, Londra, Parigi, Bruxelles i capolavori neri.
La terza sezione della mostra riconduce alla riscoperta dell'arte africana all'inizio del Novecento ad opera di sommi artisti dell'epoca. Un'intera area è, infatti, dedicata alle opere scaturite dalla nuova ispirazione di matrice africana: Picasso, con la sua grande Testa di Maria Teresa in cemento, Giacometti di cui viene esposto L'Oggetto Invisibile opera in bronzo di quasi unmetro d'altezza, definita la più misteriosa delle grandi sculture surrealiste. Di Derain, appassionato collezionista di quest'arte è in mostra la Figura accovacciata. Vi sono anche Modigliani con la sua Cariatide e Gauguin, con le piccole statuette a lui attribuite, assieme a Matisse, Léger, Man Ray, Brancusi, fino alle prime sculture di Henry Moore.
Nell'ultima sezione vengono raccolti feticci, idoli, maschere, reliquiari e altri capolavori della più recente arte africana provenienti dai maggiori musei del mondo: circa 120 opere prestate dal Metropolitan di New York, dal Detroit Institute of Art, dal Minneapolis Institute of Art, dal Musée Royal de l'Afrique Centrale di Tervuren (per citare i più grandi) e da prestigiose collezioni europee e americane.
Eppure qualcosa manca
Qualcuno ha tuttavia osservato che proprio in questa sezione si può riscontrare una carenza. Scrive Marco Aime su La Stampa: La mostra non presenta oggetti d'arte contemporanea africana, che pure è quanto mai viva. Credo che nessun visitatore di una rassegna di dipinti fiamminghi pensi consciamente o inconsciamente che quelle rappresentate siano le Fiandre di oggi. Sarebbe stato bello - continua - che ci fossero state anche opere di artisti contemporanei, che dessero l'impressione che la tradizione continua. Che non si tratta di un mondo defunto. Che l'Africa ha ancora molto da dire. Sarebbe stato spiazzante per molte persone abituate ai cliché sull'Africa ed un ottimo spunto di riflessione.