Transumanza, passaggio alla "terra promessa"
In 1.500 sono partite e in 1.500 ritornano. Più forti e pasciute di prima. Sotto l’occhio vigile dei mandriani e dei pastori, scortate da cani addestrati, le pecore tornano agli ovili della Val Senales e della Val Venosta, ripercorrendo al contrario il tragitto della transumanza. Non una qualsiasi, ma la transumanza più alta d’Europa.
Un percorso che porta le greggi a salire fino ai tremila metri d’altitudine, attraversare passaggi impervi, ghiacciai e nevai, e superare un confine, quello tra l’Italia e l’Austria. Una lunga marcia di quaranta chilometri che narra una disconosciuta, affascinante epopea alpina. Pecore e uomini a metà giugno si erano dati appuntamento a Maso Corto, in Alta Val Senales, per risalire assieme i ripidi pendii che portano al Giogo Alto, e per poi scendere, in un sol giorno, sui ghiacciai austriaci fino ai pascoli delle valli di Rofental e di Niedertal, nel cuore delle alpi dell’Oetztal, nel Tirolo austriaco. Qui per tre mesi gli animali sono stati in alpeggio.
Ogni metà settembre il rito del ritorno si ripete, uguale da sei secoli. Ed è sempre una festa grande. È dal 1415, infatti, che i pastori percorrono questo itinerario in alta quota, da quando, cioè, un accordo economico ha attribuito il diritto di pascolo in quelle valli ai pastori della Val Senales.
Si tratta di un percorso non privo d’insidie per le pecore. Prova ne sono i tanti ex-voto depositati dai pastori all’interno della bella chiesa di Madonna di Val Senales, che ringraziano la Vergine Maria per aver portato a valle gli armenti sani e salvi. Narrano le cronache passate di tanti incidenti, valanghe e cadute in crepacci. È viva nella memoria dei pastori la transumanza del 1979, anno in cui, a causa di un’eccezionale nevicata, trovarono la morte decine di pecore, sprofondate nella neve.
Le 61 transumanze di Hans
Per capire cosa significa questo trasferimento stagionale dal sapore antico, bisogna salire e scendere al seguito delle greggi e parlare coi mandriani altoatesini. «Finché ne avrò le forze, mi inerpicherò con le mie pecore», dice col poco «italiano» che conosce Hans Waldthaler, 84 anni suonati e 61 transumanze sulle gambe. «Certo non è una passeggiata, ma la strada la faccio ormai a memoria, come gli animali». E con lui una delle figlie e un nipote. Perché una bella tradizione la si tramanda di padre in figlio, anche se, nel frattempo, il gregge s’è ridimensionato e il maso ospita ormai pochi ovini e solo qualche agnello.
C’è davvero qualcosa al di fuori del tempo in questo trasferimento di bestie e uomini che assomiglia a una processione religiosa. C’è tutta una sacralità dei gesti e degli abiti: dal ripetersi delle soste negli stessi posti per riempire di sale le mangiatoie lungo il percorso, all’immancabile grembiule blu indossato dai proprietari delle greggi. Non è un caso se l’Unesco, per non perdere questa tradizione, dal 2011 ha voluto inserire la transumanza di Val Senales nella lista per la salvaguardia del «patrimonio culturale immateriale».
Su questo percorso, lungo la valle Niedertal, si erge il monte Similaun. Sullo stesso sentiero per il quale scendono oggi le pecore, osò inerpicarsi già migliaia di anni fa «Oetzi», «l’uomo venuto dal ghiaccio», ora esposto a Bolzano, il cui corpo fu ritrovato nel 1991 da una coppia di turisti in escursione sul ghiacciaio. A riprova che la vecchia buona strada non viene lasciata mai.
Da sempre su questo passo e quello vicino del Giogo Basso sono transitati uomini e merci. Qui di notte, con la sola luce della luna come faro, sfilavano veloci i contrabbandieri di tabacco, sale e valuta. Qui, durante il secondo conflitto mondiale, ebrei in fuga dalla Germania nazista seguivano guide altoatesine per passare in Italia. La transumanza non è solo migrazione di animali alla ricerca di terreni grassi d’erba buona, ma anche memoria di fughe da inferni, di passaggi a «terre promesse», sempre agognate.