Trecento60gradi

29 Dicembre 2009 | di


Sala stampa di Aldo Maria Valli

Benedetto in sinagoga


Nel gennaio 2010 di Benedetto XVI spicca una data, quella del giorno 17, scelta per la prima visita del Pontefice alla sinagoga di Roma. «Un segno di continuità e di volontà di andare avanti» ha detto il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ricordando che, sebbene il percorso abbia le sue difficoltà, «le dobbiamo superare di volta in volta con spirito di collaborazione».

La data è significativa perché il 17 gennaio cade una festa importante per la comunità ebraica romana. Quel giorno, nel 1793, un incendio doloso appiccato alle porte del ghetto fu domato grazie a una pioggia torrenziale che spense le fiamme, evitando la possibile strage. Da allora, a ogni anniversario, nella sinagoga di Roma si recitano preghiere e il tempio viene illuminato a festa. Inoltre il 17 è l’annuale giornata di riflessione ebraico-cristiana, che nel 2009 non vide la partecipazione dei rabbini a causa di rinnovate polemiche circa i presunti silenzi di Pio XII sulle persecuzioni antisemite e sulla reintroduzione, nella messa secondo il rito di Pio V, della preghiera per la conversione degli ebrei. Questi fatti, insieme alla revoca della scomunica da parte del Papa ai vescovi lefebvriani tra i quali quel Richard Williamson che ha negato l’esistenza delle camere a gas naziste, hanno portato a una crisi nei rapporti tra mondo ebraico e Vaticano. Ora la visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma (dove il suo predecessore Giovanni Paolo II si recò il 13 aprile 1986, quando definì gli ebrei i nostri «fratelli maggiori»), segna l’apertura di una pagina nuova e di rinnovata volontà di dialogo.

L’incontro di inizio 2010 è incentrato sui dieci comandamenti e, in particolare, sul quarto, secondo la numerazione ebraica: ricordati del giorno di sabato per santificarlo. Nel mensile della comunità ebraica italiana «Pagine ebraiche» la visita del Papa è definita «un evento che dovrebbe sancire l’inizio di una nuova stagione nel dialogo tra mondo ebraico e mondo cristiano». Per la prima volta il museo ebraico della capitale metterà in mostra alcuni preziosi pannelli del diciottesimo secolo scoperti nell’archivio della comunità: erano esposti dagli ebrei lungo le strade della città, in segno di amicizia, quando veniva eletto un nuovo Pontefice.



Via della conciliazione di Alessandra Borghese

Per sempre o part time?


Siamo nella società dell’usa e getta, del part time. Sembra quindi irrealizzabile impegnarsi per sempre, perché il «sempre» non può tenere conto delle condizioni fisiche, spirituali e ambientali in cui ci si verrà a trovare in un domani magari neppure troppo lontano. Anche una realtà splendida come il volontariato può in un certo senso diventare un forte ostacolo a un impegno di vita. Infatti, chi si dedica al volontariato può dimostrare a se stesso e agli altri di fare del bene, di dare veramente qualcosa con sacrificio. Ma il problema sta proprio nel termine «qualcosa», forse anche tanto, ma non «tutto». Infatti si conserva intatta la propria libertà e con essa la facoltà di cambiare anche l’oggetto del nostro impegno. È un po’ lo stesso problema che può mettere in crisi la fedeltà coniugale, spesso vista come peso e non come vero dono di amore. Ecco il centro del problema: l’Amore. Noi donne e uomini, indeboliti dal peccato, siamo tentati di instabilità proprio perché, lontani da Dio, siamo lontani dall’Amore. La creatura umana può giungere all’amore vero solo se si unisce a Dio. Solo così è possibile dire «per sempre», promettendo un dono vero perché totale. Noi possiamo donare ciò che possediamo, oppure possiamo donare noi stessi, cioè quello che siamo. Il dono di quello che abbiamo può essere misurato, pilotato e a volte ritirato, mentre il dono di noi stessi, se è davvero totale, sarà fedele in eterno. Una promessa simile mi fa pensare ai voti solenni, promitto in perpetuum, delle monache di clausura. Tale voto è sempre stato considerato un dono immenso e una responsabilità enorme. Oggi, in un mondo che sembra fondato sull’instabilità, rischia di apparire una realtà non solo impossibile ma persino assurda. Perché soltanto una fede sincera e un grande amore possono sorreggere l’avventura di una vita «per sempre».



Flash diocesi a cura del Sir


Udine

Un progetto di microcredito etico-sociale per «aiutare chi è più colpito dall’attuale crisi economica con la conseguente perdita di lavoro». È l’iniziativa avviata nell’arcidiocesi di Udine, con la firma della convenzione tra l’associazione Centro Caritas e la Federazione delle banche di Credito cooperativo del Friuli-Venezia Giulia. «Con tale accordo – informa la diocesi – la nostra Chiesa locale, facendo propria l’iniziativa della Cei, intende aiutare le persone che si trovano a dover far fronte a impegni finanziari superiori alle proprie capacità economiche immediate e a cui l’accesso al credito è negato o reso impossibile». Il progetto si avvale di un fondo complessivo di 399 mila euro.


Vercelli

«Preti oggi per servire la speranza». È dedicata alla figura e al ministero del prete – in sintonia con l’Anno sacerdotale – la nota pastorale per il 2009/2010 di monsignor Enrico Masseroni, arcivescovo di Vercelli.

Nel documento, supportato da un dvd, l’arcivescovo ricorda che «l’Anno sacerdotale non chiama in causa solo i presbiteri». Per questo, la nota pastorale è «per tutte le categorie vocazionali».

Il testo si divide in due parti: la prima illustra «i tratti essenziali dell’identità nel cambiamento» dei preti oggi, mentre la seconda delinea gli «appunti essenziali di pastorale vocazionale» guardando al futuro. Il testo integrale della lettera è sul sito www.arcidiocesi.vc.it.

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Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017