Tutta questione di pietre
Molti termini, con l’andare del tempo, subiscono destini diversi e da loro indipendenti. Alcuni non vivono più nella quotidianità scritta o orale, oppure agonizzano, sopravvivendo al massimo come voci del dizionario. Altri, invece, continuano a essere utilizzati, ma con accezioni del tutto diverse, andando a riferirsi a «oggetti» del mondo reale per i quali non erano stati inizialmente pensati. Spesso, poi, l’uso distorto dei termini ne svuota la potenza originaria.
Prendiamo la parola scandalo: l’utilizzo corrente le ha progressivamente tolto forza e pregnanza, relegandone la sfera significativa a fatti mondani, magari associati alla sfera sessuale. Peraltro sono fatti che scandalizzerebbero ben pochi, se non fossero costruiti ed enfatizzati ad arte. D’altra parte scandalo non è solo un termine, ma anche una pratica, perché non può esistere scandalo senza che qualcuno o qualcosa lo produca (o, come abbiamo visto, lo costruisca e imponga «narrativamente»).
Per me, d’altronde, si è trattato spesso di darne (si dà scandalo, nel linguaggio comune) involontariamente, per il semplice fatto di occupare uno spazio in un dato tempo, senza altro fare, solo con la mia presenza.
Ma non è questo il punto. La parola scandalo deriva dal greco skàndalon, che significa trappola, inciampo, molestia. Indica anche un qualsiasi impedimento messo sulla via e che causi a qualcuno una caduta: una pietra d’inciampo.
Come ricorderete, la parola pietra, con un’altra accezione, è presente nel Vangelo, ripresa dal Salmo 117. È Matteo 21,33-43 a parlarcene, al termine della parabola dei vignaioli assassini, quando Gesù dice: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti». La pietra d’inciampo e la testata d’angolo a prima vista hanno poco da condividere, e tuttavia ci danno la possibilità di costruire un’associazione imprevista. La pietra scartata mi ha sempre fatto pensare a un manufatto mal riuscito e all’apparenza inservibile, inutilizzabile. Potrebbe essere la definizione perfetta per indicare una persona con deficit, la cui disabilità trasforma in una copia imperfetta e debole. Il lungo e travagliato percorso teso a realizzare un’integrazione effettiva ha cercato di «promuovere» la persona disabile, facendola diventare, da pietra scartata, persona sociale, un punto di forza del tessuto comunitario, tanto quanto lo sono o dovrebbero esserlo tutti gli abitanti di questo mondo.
Questa distanza tra scarto e pietra angolare ha tanto più possibilità di essere colmato quanto più la persona disabile sa essere ragione e produttrice di scandalo. Sia chiaro, non si tratta di essere scandalistici, ma – come scrivevo sopra – di incarnare la forza originaria del termine: essere quindi soggetti generatori di molestia, fastidio, essere pietre d’inciampo e, quindi, ispiratori di riflessioni e cambiamento. Ho pensato a questo nei giorni precedenti al conferimento della laurea honoris causa che l’Università di Bologna mi ha assegnato a maggio. Quel conferimento avrebbe dovuto funzionare da elemento generatore di fastidio nei confronti di educatori, politici e genitori che non credono che «un vegetale» sia in grado di far progredire i contesti nei quali si trova a vivere e operare, e che non prestano la dovuta attenzione alla realtà e all’attualità delle abilità diverse.
Gesù è stato allo stesso tempo pietra scartata, pietra d’angolo e pietra dello skàndalon. E voi che pietre siete? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sul mio profilo di Facebook.