Tutti i doni dell'Ostensione
La vicinanza di Cristo e del Santo, suo intercessore, argina la deriva di una società secolarizzata. Oggi c'è ancora bisogno di credere, di sperare, di guarire i mali dell'anima con la preghiera.
15 Marzo 2010
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Padova
È vivo in tutti noi, a distanza di poche settimane, il dono dell’Ostensione dei suoi resti che sant’Antonio ci ha fatto nella sua Basilica, dal 15 al 20 febbraio scorsi: un’altra delle grandi occasioni storiche in cui è emersa la straordinarietà di una devozione radicata da secoli nella Chiesa e nel cuori dei suoi devoti. Dopo la sua morte, avvenuta il 13 giugno 1231 nel piccolo convento dell’Arcella, alle porte di Padova, il suo corpo fu posto nella chiesetta di Santa Maria Mater Domini, adiacente al convento dove il Santo aveva dimorato nell’ultimo anno di vita. Proclamato Santo a soli undici mesi dalla morte, l’8 aprile 1263 avvenne la più importante ricognizione del suo corpo, traslato nella nuova chiesa, che successivamente si trasformò nell’attuale basilica. Fu in quell’occasione che, aperta la tomba, san Bonaventura da Bagnoregio, ministro generale dell’Ordine francescano, ritrovò la lingua del Santo ancora incorrotta: un prodigio che motivò una maggiore diffusione della devozione a sant’Antonio in tutta l’Europa. Un altro forte momento di antonianità ebbe luogo nel 1350, presente il legato pontificio, cardinale Guido di Boulogne-sur-Mer, per la traslazione del corpo del Santo dall’altare posto al centro del transetto della Basilica, all’attuale Cappella dell’Arca, che sarà arricchita dai capolavori del Sansovino, di Tullio e Antonio Lombardo, di Tiziano Aspetti e di altri maestri del Rinascimento.
L’ultima ricognizione del corpo di sant’Antonio, motivata dalla necessità di verificare lo stato di conservazione delle spoglie dopo 750 anni dalla sua morte, ebbe luogo nel 1981. Questa ricognizione ha permesso, grazie al coinvolgimento di vari esperti, di compiere alcune indagini storiche e scientifiche che hanno restituito al mondo il vero volto di Antonio. Quando, la sera del 6 gennaio 1981, la cassa estratta dalla sua tomba è apparsa essere di legno (e non d’argento dorato come l’aveva descritta uno storico), contenente tre involti con le ossa, il saio, e la massa corporis, cioè tutto ciò che rimaneva del corpo di sant’Antonio, il canto del Magnificat, esploso dall’animo dei frati presenti, volle significare la gioia per il suo ritorno nel segno della povertà. Un segno che si aggiunse ad altre caratteristiche offerte dalle perizie medico-scientifiche. Queste hanno confermato, dal rilievo assunto dalle due rotule, le ore di preghiera che arricchivano quotidianamente il rapporto del Santo con Dio; l’ingrossamento degli arti inferiori, il suo incessante peregrinare attraverso le regioni del nord d’Italia e del Sud della Francia per portare alle folle il messaggio della parola di Dio. Ha creato grande stupore il ritrovamento, da parte degli esperti, tra i resti della massa corporis di due lamine della cartilagine aritnoidea. Un segno dell’apparato vocale del Santo, custodito oggi nel reliquiario fatto da Carlo Balljana, e posto nella bacheca centrale della Cappella delle Reliquie, accanto a quello, più insigne, della Lingua trovata incorrotta nella ricognizione del 1231. Dal 31 gennaio al 1° marzo 1981, le folle accorse per venerare le spoglie del Santo – poste nella Cappella delle Reliquie – superarono ogni previsione, testimoniando l’universalità di una devozione verso questo testimone del vangelo.
Tale fenomeno si è ripetuto anche quest’anno, dal 15 al 21 febbraio scorsi. La nuova Ostensione del corpo del Santo è avvenuta a conclusione del temporaneo spostamento della cassa contenente il corpo di sant’Antonio alla Cappella di San Giacomo per consentire i complessi lavori di restauro dell’Arca terminati lo scorso 4 dicembre. Un’occasione che ha dimostrato nuovamente la vastità e l’universalità della devozione verso il Santo di Padova: una risposta al secolarismo e una smentita concreta al laicismo che stanno coinvolgendo il mondo contemporaneo, come hanno testimoniato non solo i miei confratelli arrivati dagli altri conventi d’Italia per l’aumentato impegno pastorale, ma anche i responsabili della società civile, della politica e del mondo dei media, nazionali e internazionali. L’Ostensione è terminata sabato 20 febbraio, a notte inoltrata, seguita, il giorno dopo, dalla Festa della Lingua: una delle feste antoniane più care che, per tradizione, si celebra la domenica dopo il 15 febbraio.
Per noi frati del Santo, l’Ostensione è stata un forte momento di grazia. Sono arrivati ogni giorno a Padova decine di migliaia di pellegrini da tutte le regioni d’Italia e anche dall’estero: complessivamente 200 mila persone. E ancora una volta, come nel 1981, ha stupito il loro atteggiamento di devozione, di preghiera, di raccoglimento, nell’ordinato percorso per avvicinarsi all’urna di cristallo del corpo del Santo. Sono state per tutti ore d’attesa, lungo le vie adiacenti alla Basilica e nella piazza antistante, in un ancor gelido clima invernale, prima di entrare nel Santuario per raggiungere la Cappella delle Reliquie e manifestare ad Antonio le loro suppliche. Tra quanti accompagnavano parenti o amici in carrozzella, alcuni non hanno approfittato del corridoio preferenziale, per compiere, uniti agli altri, il «cammino del pellegrinaggio». Giunti davanti all’urna del Santo, molti hanno inserito in appositi contenitori le loro petizioni: suppliche che chiedono una particolare protezione per situazioni difficili e problematiche della vita; domande di grazia per riallacciare rapporti matrimoniali in crisi o il dialogo costruttivo tra genitori e figli; lettere, allegate a foto, che raccomandano l’intercessione del Santo per figli o parenti ammalati; e tante richieste d’aiuto spirituale per il lavoro perduto in un momento di crisi che sta coinvolgendo famiglie e realtà produttive: «trovami un lavoro» è l’invocazione più ricorrente!
Oltre alle folle di pellegrini, nei giorni dell’Ostensione la Basilica ha accolto, a tarda sera, anche migliaia di giovani delle comunità di Comunione Liberazione, del Cammino Neocatecumenale e giovani invitati dalla Pastorale giovanile dei francescani conventuali. «I santi sono stati fatti per fare i miracoli – ha detto don Giacomo Tantardini, citando don Giussani –. Non è con i nostri discorsi che possiamo dimostrare che Gesù è vivo. Uno è vivo quando agisce: Gesù mostra di essere vivo compiendo miracoli anche attraverso questo giovane frate portoghese, sia durante la sua vita sia attraverso una storia che percorre i secoli, mediante quelle ossa che abbiamo avuto la fortuna di vedere da vicino. E davanti alle quali chiediamo aiuto per le vicende della vita: il lavoro, la famiglia, i figli. La cosa veramente incredibile dei miracoli, diceva Chesterton, è che accadono».
«I santi vincono il tempo, violano la congiura del tempo che incenerisce ogni cosa. Vivi, ancora e per sempre: e il popolo cristiano, che lo sa senza bisogno di tante spiegazioni, va a domandare con dimestichezza. Semplicemente. Come si bussa alla porta di un amico» – ha scritto su Avvenire Marina Corradi. Una porta, quella di Antonio, a cui si continua a bussare. E come frati del Messaggero di sant’Antonio sentiamo di essere coinvolti dagli appelli che ci giungono da ogni continente. «Per noi questa Ostensione è stata una grande opportunità pastorale – ha affermato padre Enzo Poiana, rettore della Basilica del Santo –. La nostra vita di fede deve accettare delle mediazioni, e i santi sono dei grandi mediatori. Qui la gente viene, si confessa, prega, fa la comunione: i frati ascoltano storie e sofferenze. Il miracolo di sant’Antonio è vivo e presente non nelle ossa, ma nell’essere e nell’esserci di tante persone che insieme camminano e pregano».
«La secolarizzazione non ha risposto alle esigenze della società – ha aggiunto monsignor Antonio Mattiazzo, vescovo di Padova –. C’è qualcosa che ci sfugge dal punto di vista sociologico, ma la gente sente e coglie questo valore universale che travalica anche le confessioni religiose. La fede cristiana è incarnata. Il Verbo si è fatto carne. Con il cristianesimo c’è una rivalutazione del corpo sia rispetto al platonismo che lo vedeva come tomba dell’anima, sia rispetto alla cultura pagana che lo vedeva come oggetto. Le reliquie esposte dicono il valore che il cristianesimo dà alla corporeità, contro il paganesimo d’oggi. La gente che è legata alla figura di Antonio, sa che il suo corpo è il segno esterno dell’essere della persona, destinata alla Risurrezione».
Sono testimonianze che rivelano il prezioso tesoro della mediazione dei santi, della vicinanza di Antonio, amico dell’uomo: un «Santo per l’uomo d’oggi», lo definì Papa Paolo VI, vicino a quanti ricorrono a lui per riscoprire con il suo aiuto il dono della fede e la presenza di un Dio-Amore nella loro vita.
L’insegnamento di Antonio vale per la crisi economica attuale
La vera ricchezza è quella del cuore, la generosità con i poveri
Dal discorso di Papa Benedetto XVI all’Udienza generale di mercoledì 10 febbraio 2010
Antonio di Padova o, come viene anche chiamato, da Lisbona, riferendosi alla sua città natale è uno dei santi più popolari in tutta la Chiesa Cattolica, venerato non solo a Padova – dov’è stata innalzata una splendida Basilica che raccoglie le sue spoglie mortali – ma in tutto il mondo. Sono care ai fedeli le immagini e le statue che lo rappresentano con il giglio, simbolo della sua purezza, o con il Bambino Gesù tra le braccia, a ricordo di una miracolosa apparizione menzionata da alcune fonti letterarie. Antonio ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della spiritualità francescana, con le sue spiccate doti di intelligenza, di equilibrio, di zelo apostolico e, principalmente, di fervore mistico.
Il Santo nacque a Lisbona da una nobile famiglia, intorno al 1195, e fu battezzato con il nome di Fernando. Entrò tra i Canonici che seguivano la regola monastica di sant’Agostino, dapprima nel monastero di San Vincenzo, a Lisbona, e, successivamente, in quello della Santa Croce, a Coimbra, rinomato centro culturale del Portogallo. Si dedicò con interesse e sollecitudine allo studio della Bibbia e dei Padri della Chiesa, acquisendo quella scienza teologica che mise a frutto nell’attività di insegnamento e di predicazione. A Coimbra avvenne l’episodio che impresse una svolta decisiva nella sua vita: qui, nel 1220, furono esposte le reliquie dei primi cinque missionari francescani che si erano recati in Marocco, dove avevano incontrato il martirio. La loro vicenda fece nascere nel giovane Fernando il desiderio di imitarli e di avanzare nel cammino della perfezione cristiana: egli chiese allora di lasciare i Canonici agostiniani e di diventare Frate Minore. La sua domanda fu accolta e, preso il nome di Antonio, anch’egli partì per il Marocco, ma la Provvidenza divina dispose altrimenti. In seguito a una malattia fu costretto a rientrare in Italia e, nel 1221, partecipò al famoso «Capitolo delle stuoie» ad Assisi dove incontrò anche san Francesco. Successivamente, visse per qualche tempo nel totale nascondimento in un convento presso Forlì, nel nord dell’Italia, dove il Signore lo chiamò a un’altra missione. Invitato, per circostanze del tutto casuali, a predicare in occasione di un’ordinazione sacerdotale, mostrò di essere dotato di tale scienza ed eloquenza, che i superiori lo destinarono alla predicazione. Iniziò così in Italia e in Francia un’attività apostolica tanto intensa ed efficace da indurre non poche persone che si erano staccate dalla Chiesa, a ritornare sui propri passi. Fu anche tra i primi maestri di teologia dei Frati Minori, se non proprio il primo. Iniziò il suo insegnamento a Bologna, con la benedizione di Francesco, il quale, riconoscendo le virtù di Antonio, gli inviò una breve lettera che si apriva con queste parole: «Mi piace che insegni teologia ai frati». Antonio pose le basi della teologia francescana che, coltivata da altre insigni figure di pensatori, avrebbe conosciuto il suo apice con san Bonaventura da Bagnoregio e il beato Duns Scoto.
Diventato Superiore provinciale dei Frati Minori dell’Italia settentrionale, continuò il ministero della predicazione, alternandolo con le mansioni di governo. Concluso l’incarico di Provinciale, si ritirò vicino a Padova, dove già altre volte si era recato. Dopo appena un anno, morì alle porte della città, il 13 giugno 1231. Padova, che lo aveva accolto con affetto e venerazione in vita, gli tributò per sempre onore e devozione. Papa Gregorio IX, che dopo averlo ascoltato predicare lo aveva definito «Arca del Testamento», lo canonizzò nel 1232, anche in seguito ai miracoli avvenuti per sua intercessione.
Nell’ultimo periodo della sua vita, Antonio mise per iscritto due cicli di Sermoni, intitolati rispettivamente Sermoni domenicali e Sermoni sui Santi, destinati ai predicatori e agli insegnanti degli studi teologici dell’Ordine francescano… In essi, egli parla della preghiera come di un rapporto d’amore, che spinge l’uomo a colloquiare dolcemente con il Signore, creando una gioia ineffabile, che soavemente avvolge l’anima in orazione. Antonio ci ricorda che la preghiera ha bisogno di un’atmosfera di silenzio che non coincide con il distacco dal rumore esterno, ma è esperienza interiore, che mira a rimuovere le distrazioni provocate dalle preoccupazioni dell’anima… In questo insegnamento di sant’Antonio sulla preghiera, cogliamo uno dei tratti specifici della teologia francescana, di cui egli è stato l’iniziatore, cioè il ruolo assegnato all’amore divino, che entra nella sfera degli affetti, della volontà, del cuore, e che è anche la sorgente da cui sgorga una conoscenza spirituale, che sorpassa ogni conoscenza.
Scrive ancora Antonio: «La carità è l’anima della fede, la rende viva; senza l’amore, la fede muore». Soltanto un’anima che prega può compiere progressi nella vita spirituale: è questo l’oggetto privilegiato della predicazione di sant’Antonio. Egli conosce bene i difetti della natura umana, la tendenza a cadere nel peccato, per cui esorta continuamente a combattere l’inclinazione all’avidità, all’orgoglio, all’impurità, e a praticare invece le virtù della povertà e della generosità, dell’umiltà e dell’obbedienza, della castità e della purezza.
Agli inizi del XIII secolo, nel contesto della rinascita delle città e del fiorire del commercio, cresceva il numero di persone insensibili alle necessità dei poveri. Per tale motivo, Antonio più volte invita i fedeli a pensare alla vera ricchezza, quella del cuore, che rendendo buoni e misericordiosi, fa accumulare tesori per il Cielo. «O ricchi – così egli esorta – fatevi amici... i poveri, accoglieteli nelle vostre case: saranno poi essi, i poveri, ad accogliervi negli eterni tabernacoli, dove c’è la bellezza della pace, la fiducia della sicurezza, e l’opulenta quiete dell’eterna sazietà». Non è forse questo, cari amici, un insegnamento molto importante anche oggi, quando la crisi finanziaria e i gravi squilibri economici impoveriscono non poche persone, e creano condizioni di miseria? Nella mia Enciclica Caritas in veritate ricordo che «L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento, non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona» (n. 45).
Antonio, alla scuola di Francesco, mette sempre Cristo al centro della vita e del pensiero, dell’azione e della predicazione. È questo un altro tratto tipico della teologia francescana: il cristocentrismo. Volentieri essa contempla, e invita a contemplare, i misteri dell’umanità del Signore, in modo particolare quello della Natività, che gli suscitano sentimenti di amore e di gratitudine verso la bontà divina. Anche la visione del Crocifisso gli ispira pensieri di riconoscenza verso Dio e di stima per la dignità della persona umana così che tutti, credenti e non credenti, possano trovarvi un significato che arricchisce la vita. Scrive Antonio: «Cristo, che è la tua vita, sta appeso davanti a te, perché tu guardi nella croce come in uno specchio. Lì potrai conoscere quanto mortali furono le tue ferite, che nessuna medicina avrebbe potuto sanare, se non quella del sangue del Figlio di Dio. Se guarderai bene, potrai renderti conto di quanto grandi siano la tua dignità umana e il tuo valore... In nessun altro luogo l’uomo può meglio rendersi conto di quanto egli valga, che guardandosi nello specchio della croce».
È vivo in tutti noi, a distanza di poche settimane, il dono dell’Ostensione dei suoi resti che sant’Antonio ci ha fatto nella sua Basilica, dal 15 al 20 febbraio scorsi: un’altra delle grandi occasioni storiche in cui è emersa la straordinarietà di una devozione radicata da secoli nella Chiesa e nel cuori dei suoi devoti. Dopo la sua morte, avvenuta il 13 giugno 1231 nel piccolo convento dell’Arcella, alle porte di Padova, il suo corpo fu posto nella chiesetta di Santa Maria Mater Domini, adiacente al convento dove il Santo aveva dimorato nell’ultimo anno di vita. Proclamato Santo a soli undici mesi dalla morte, l’8 aprile 1263 avvenne la più importante ricognizione del suo corpo, traslato nella nuova chiesa, che successivamente si trasformò nell’attuale basilica. Fu in quell’occasione che, aperta la tomba, san Bonaventura da Bagnoregio, ministro generale dell’Ordine francescano, ritrovò la lingua del Santo ancora incorrotta: un prodigio che motivò una maggiore diffusione della devozione a sant’Antonio in tutta l’Europa. Un altro forte momento di antonianità ebbe luogo nel 1350, presente il legato pontificio, cardinale Guido di Boulogne-sur-Mer, per la traslazione del corpo del Santo dall’altare posto al centro del transetto della Basilica, all’attuale Cappella dell’Arca, che sarà arricchita dai capolavori del Sansovino, di Tullio e Antonio Lombardo, di Tiziano Aspetti e di altri maestri del Rinascimento.
L’ultima ricognizione del corpo di sant’Antonio, motivata dalla necessità di verificare lo stato di conservazione delle spoglie dopo 750 anni dalla sua morte, ebbe luogo nel 1981. Questa ricognizione ha permesso, grazie al coinvolgimento di vari esperti, di compiere alcune indagini storiche e scientifiche che hanno restituito al mondo il vero volto di Antonio. Quando, la sera del 6 gennaio 1981, la cassa estratta dalla sua tomba è apparsa essere di legno (e non d’argento dorato come l’aveva descritta uno storico), contenente tre involti con le ossa, il saio, e la massa corporis, cioè tutto ciò che rimaneva del corpo di sant’Antonio, il canto del Magnificat, esploso dall’animo dei frati presenti, volle significare la gioia per il suo ritorno nel segno della povertà. Un segno che si aggiunse ad altre caratteristiche offerte dalle perizie medico-scientifiche. Queste hanno confermato, dal rilievo assunto dalle due rotule, le ore di preghiera che arricchivano quotidianamente il rapporto del Santo con Dio; l’ingrossamento degli arti inferiori, il suo incessante peregrinare attraverso le regioni del nord d’Italia e del Sud della Francia per portare alle folle il messaggio della parola di Dio. Ha creato grande stupore il ritrovamento, da parte degli esperti, tra i resti della massa corporis di due lamine della cartilagine aritnoidea. Un segno dell’apparato vocale del Santo, custodito oggi nel reliquiario fatto da Carlo Balljana, e posto nella bacheca centrale della Cappella delle Reliquie, accanto a quello, più insigne, della Lingua trovata incorrotta nella ricognizione del 1231. Dal 31 gennaio al 1° marzo 1981, le folle accorse per venerare le spoglie del Santo – poste nella Cappella delle Reliquie – superarono ogni previsione, testimoniando l’universalità di una devozione verso questo testimone del vangelo.
Tale fenomeno si è ripetuto anche quest’anno, dal 15 al 21 febbraio scorsi. La nuova Ostensione del corpo del Santo è avvenuta a conclusione del temporaneo spostamento della cassa contenente il corpo di sant’Antonio alla Cappella di San Giacomo per consentire i complessi lavori di restauro dell’Arca terminati lo scorso 4 dicembre. Un’occasione che ha dimostrato nuovamente la vastità e l’universalità della devozione verso il Santo di Padova: una risposta al secolarismo e una smentita concreta al laicismo che stanno coinvolgendo il mondo contemporaneo, come hanno testimoniato non solo i miei confratelli arrivati dagli altri conventi d’Italia per l’aumentato impegno pastorale, ma anche i responsabili della società civile, della politica e del mondo dei media, nazionali e internazionali. L’Ostensione è terminata sabato 20 febbraio, a notte inoltrata, seguita, il giorno dopo, dalla Festa della Lingua: una delle feste antoniane più care che, per tradizione, si celebra la domenica dopo il 15 febbraio.
Per noi frati del Santo, l’Ostensione è stata un forte momento di grazia. Sono arrivati ogni giorno a Padova decine di migliaia di pellegrini da tutte le regioni d’Italia e anche dall’estero: complessivamente 200 mila persone. E ancora una volta, come nel 1981, ha stupito il loro atteggiamento di devozione, di preghiera, di raccoglimento, nell’ordinato percorso per avvicinarsi all’urna di cristallo del corpo del Santo. Sono state per tutti ore d’attesa, lungo le vie adiacenti alla Basilica e nella piazza antistante, in un ancor gelido clima invernale, prima di entrare nel Santuario per raggiungere la Cappella delle Reliquie e manifestare ad Antonio le loro suppliche. Tra quanti accompagnavano parenti o amici in carrozzella, alcuni non hanno approfittato del corridoio preferenziale, per compiere, uniti agli altri, il «cammino del pellegrinaggio». Giunti davanti all’urna del Santo, molti hanno inserito in appositi contenitori le loro petizioni: suppliche che chiedono una particolare protezione per situazioni difficili e problematiche della vita; domande di grazia per riallacciare rapporti matrimoniali in crisi o il dialogo costruttivo tra genitori e figli; lettere, allegate a foto, che raccomandano l’intercessione del Santo per figli o parenti ammalati; e tante richieste d’aiuto spirituale per il lavoro perduto in un momento di crisi che sta coinvolgendo famiglie e realtà produttive: «trovami un lavoro» è l’invocazione più ricorrente!
Oltre alle folle di pellegrini, nei giorni dell’Ostensione la Basilica ha accolto, a tarda sera, anche migliaia di giovani delle comunità di Comunione Liberazione, del Cammino Neocatecumenale e giovani invitati dalla Pastorale giovanile dei francescani conventuali. «I santi sono stati fatti per fare i miracoli – ha detto don Giacomo Tantardini, citando don Giussani –. Non è con i nostri discorsi che possiamo dimostrare che Gesù è vivo. Uno è vivo quando agisce: Gesù mostra di essere vivo compiendo miracoli anche attraverso questo giovane frate portoghese, sia durante la sua vita sia attraverso una storia che percorre i secoli, mediante quelle ossa che abbiamo avuto la fortuna di vedere da vicino. E davanti alle quali chiediamo aiuto per le vicende della vita: il lavoro, la famiglia, i figli. La cosa veramente incredibile dei miracoli, diceva Chesterton, è che accadono».
«I santi vincono il tempo, violano la congiura del tempo che incenerisce ogni cosa. Vivi, ancora e per sempre: e il popolo cristiano, che lo sa senza bisogno di tante spiegazioni, va a domandare con dimestichezza. Semplicemente. Come si bussa alla porta di un amico» – ha scritto su Avvenire Marina Corradi. Una porta, quella di Antonio, a cui si continua a bussare. E come frati del Messaggero di sant’Antonio sentiamo di essere coinvolti dagli appelli che ci giungono da ogni continente. «Per noi questa Ostensione è stata una grande opportunità pastorale – ha affermato padre Enzo Poiana, rettore della Basilica del Santo –. La nostra vita di fede deve accettare delle mediazioni, e i santi sono dei grandi mediatori. Qui la gente viene, si confessa, prega, fa la comunione: i frati ascoltano storie e sofferenze. Il miracolo di sant’Antonio è vivo e presente non nelle ossa, ma nell’essere e nell’esserci di tante persone che insieme camminano e pregano».
«La secolarizzazione non ha risposto alle esigenze della società – ha aggiunto monsignor Antonio Mattiazzo, vescovo di Padova –. C’è qualcosa che ci sfugge dal punto di vista sociologico, ma la gente sente e coglie questo valore universale che travalica anche le confessioni religiose. La fede cristiana è incarnata. Il Verbo si è fatto carne. Con il cristianesimo c’è una rivalutazione del corpo sia rispetto al platonismo che lo vedeva come tomba dell’anima, sia rispetto alla cultura pagana che lo vedeva come oggetto. Le reliquie esposte dicono il valore che il cristianesimo dà alla corporeità, contro il paganesimo d’oggi. La gente che è legata alla figura di Antonio, sa che il suo corpo è il segno esterno dell’essere della persona, destinata alla Risurrezione».
Sono testimonianze che rivelano il prezioso tesoro della mediazione dei santi, della vicinanza di Antonio, amico dell’uomo: un «Santo per l’uomo d’oggi», lo definì Papa Paolo VI, vicino a quanti ricorrono a lui per riscoprire con il suo aiuto il dono della fede e la presenza di un Dio-Amore nella loro vita.
L’insegnamento di Antonio vale per la crisi economica attuale
La vera ricchezza è quella del cuore, la generosità con i poveri
Dal discorso di Papa Benedetto XVI all’Udienza generale di mercoledì 10 febbraio 2010
Antonio di Padova o, come viene anche chiamato, da Lisbona, riferendosi alla sua città natale è uno dei santi più popolari in tutta la Chiesa Cattolica, venerato non solo a Padova – dov’è stata innalzata una splendida Basilica che raccoglie le sue spoglie mortali – ma in tutto il mondo. Sono care ai fedeli le immagini e le statue che lo rappresentano con il giglio, simbolo della sua purezza, o con il Bambino Gesù tra le braccia, a ricordo di una miracolosa apparizione menzionata da alcune fonti letterarie. Antonio ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della spiritualità francescana, con le sue spiccate doti di intelligenza, di equilibrio, di zelo apostolico e, principalmente, di fervore mistico.
Il Santo nacque a Lisbona da una nobile famiglia, intorno al 1195, e fu battezzato con il nome di Fernando. Entrò tra i Canonici che seguivano la regola monastica di sant’Agostino, dapprima nel monastero di San Vincenzo, a Lisbona, e, successivamente, in quello della Santa Croce, a Coimbra, rinomato centro culturale del Portogallo. Si dedicò con interesse e sollecitudine allo studio della Bibbia e dei Padri della Chiesa, acquisendo quella scienza teologica che mise a frutto nell’attività di insegnamento e di predicazione. A Coimbra avvenne l’episodio che impresse una svolta decisiva nella sua vita: qui, nel 1220, furono esposte le reliquie dei primi cinque missionari francescani che si erano recati in Marocco, dove avevano incontrato il martirio. La loro vicenda fece nascere nel giovane Fernando il desiderio di imitarli e di avanzare nel cammino della perfezione cristiana: egli chiese allora di lasciare i Canonici agostiniani e di diventare Frate Minore. La sua domanda fu accolta e, preso il nome di Antonio, anch’egli partì per il Marocco, ma la Provvidenza divina dispose altrimenti. In seguito a una malattia fu costretto a rientrare in Italia e, nel 1221, partecipò al famoso «Capitolo delle stuoie» ad Assisi dove incontrò anche san Francesco. Successivamente, visse per qualche tempo nel totale nascondimento in un convento presso Forlì, nel nord dell’Italia, dove il Signore lo chiamò a un’altra missione. Invitato, per circostanze del tutto casuali, a predicare in occasione di un’ordinazione sacerdotale, mostrò di essere dotato di tale scienza ed eloquenza, che i superiori lo destinarono alla predicazione. Iniziò così in Italia e in Francia un’attività apostolica tanto intensa ed efficace da indurre non poche persone che si erano staccate dalla Chiesa, a ritornare sui propri passi. Fu anche tra i primi maestri di teologia dei Frati Minori, se non proprio il primo. Iniziò il suo insegnamento a Bologna, con la benedizione di Francesco, il quale, riconoscendo le virtù di Antonio, gli inviò una breve lettera che si apriva con queste parole: «Mi piace che insegni teologia ai frati». Antonio pose le basi della teologia francescana che, coltivata da altre insigni figure di pensatori, avrebbe conosciuto il suo apice con san Bonaventura da Bagnoregio e il beato Duns Scoto.
Diventato Superiore provinciale dei Frati Minori dell’Italia settentrionale, continuò il ministero della predicazione, alternandolo con le mansioni di governo. Concluso l’incarico di Provinciale, si ritirò vicino a Padova, dove già altre volte si era recato. Dopo appena un anno, morì alle porte della città, il 13 giugno 1231. Padova, che lo aveva accolto con affetto e venerazione in vita, gli tributò per sempre onore e devozione. Papa Gregorio IX, che dopo averlo ascoltato predicare lo aveva definito «Arca del Testamento», lo canonizzò nel 1232, anche in seguito ai miracoli avvenuti per sua intercessione.
Nell’ultimo periodo della sua vita, Antonio mise per iscritto due cicli di Sermoni, intitolati rispettivamente Sermoni domenicali e Sermoni sui Santi, destinati ai predicatori e agli insegnanti degli studi teologici dell’Ordine francescano… In essi, egli parla della preghiera come di un rapporto d’amore, che spinge l’uomo a colloquiare dolcemente con il Signore, creando una gioia ineffabile, che soavemente avvolge l’anima in orazione. Antonio ci ricorda che la preghiera ha bisogno di un’atmosfera di silenzio che non coincide con il distacco dal rumore esterno, ma è esperienza interiore, che mira a rimuovere le distrazioni provocate dalle preoccupazioni dell’anima… In questo insegnamento di sant’Antonio sulla preghiera, cogliamo uno dei tratti specifici della teologia francescana, di cui egli è stato l’iniziatore, cioè il ruolo assegnato all’amore divino, che entra nella sfera degli affetti, della volontà, del cuore, e che è anche la sorgente da cui sgorga una conoscenza spirituale, che sorpassa ogni conoscenza.
Scrive ancora Antonio: «La carità è l’anima della fede, la rende viva; senza l’amore, la fede muore». Soltanto un’anima che prega può compiere progressi nella vita spirituale: è questo l’oggetto privilegiato della predicazione di sant’Antonio. Egli conosce bene i difetti della natura umana, la tendenza a cadere nel peccato, per cui esorta continuamente a combattere l’inclinazione all’avidità, all’orgoglio, all’impurità, e a praticare invece le virtù della povertà e della generosità, dell’umiltà e dell’obbedienza, della castità e della purezza.
Agli inizi del XIII secolo, nel contesto della rinascita delle città e del fiorire del commercio, cresceva il numero di persone insensibili alle necessità dei poveri. Per tale motivo, Antonio più volte invita i fedeli a pensare alla vera ricchezza, quella del cuore, che rendendo buoni e misericordiosi, fa accumulare tesori per il Cielo. «O ricchi – così egli esorta – fatevi amici... i poveri, accoglieteli nelle vostre case: saranno poi essi, i poveri, ad accogliervi negli eterni tabernacoli, dove c’è la bellezza della pace, la fiducia della sicurezza, e l’opulenta quiete dell’eterna sazietà». Non è forse questo, cari amici, un insegnamento molto importante anche oggi, quando la crisi finanziaria e i gravi squilibri economici impoveriscono non poche persone, e creano condizioni di miseria? Nella mia Enciclica Caritas in veritate ricordo che «L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento, non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona» (n. 45).
Antonio, alla scuola di Francesco, mette sempre Cristo al centro della vita e del pensiero, dell’azione e della predicazione. È questo un altro tratto tipico della teologia francescana: il cristocentrismo. Volentieri essa contempla, e invita a contemplare, i misteri dell’umanità del Signore, in modo particolare quello della Natività, che gli suscitano sentimenti di amore e di gratitudine verso la bontà divina. Anche la visione del Crocifisso gli ispira pensieri di riconoscenza verso Dio e di stima per la dignità della persona umana così che tutti, credenti e non credenti, possano trovarvi un significato che arricchisce la vita. Scrive Antonio: «Cristo, che è la tua vita, sta appeso davanti a te, perché tu guardi nella croce come in uno specchio. Lì potrai conoscere quanto mortali furono le tue ferite, che nessuna medicina avrebbe potuto sanare, se non quella del sangue del Figlio di Dio. Se guarderai bene, potrai renderti conto di quanto grandi siano la tua dignità umana e il tuo valore... In nessun altro luogo l’uomo può meglio rendersi conto di quanto egli valga, che guardandosi nello specchio della croce».
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017