Uguali o diversi?
Anni fa fece discutere la proposta (poi attuata, credo) di un ministro, il quale voleva sostituire o affiancare in ogni aula di giustizia la scritta «La legge è uguale per tutti» con una che recitava «La giustizia è amministrata in nome del popolo». Ma proviamo a soffermarci sulla frase cui siamo stati da sempre abituati, quella meno recente. È un monito che mi ha sempre turbato, e mi turba ancora: «La legge è uguale per tutti». Di per sé questa esortazione, all’interno di un tribunale, è, o dovrebbe essere, garanzia di pari trattamento per poveri e ricchi, potenti e indifesi, colpevoli e vittime, rei e innocenti. Come disse Lech Walesa, inoltre, «la legalità è il potere di chi è senza potere», quindi strumento democratico per eccellenza, se esercitata a dovere.
Ma leggere così frequentemente quella frase mi spronava ad addentrarmi in un ragionamento che passasse dall’essenza della giustizia all’essenza di ciò che è giusto.
So che le due cose non possono essere separate del tutto, ma vorrei spiegarvi come i miei pensieri ricadessero più sul campo attivo, propositivo della vita di ognuno di noi, quello che riguarda la possibilità di realizzare qualcosa, di fare ciò che più ci piace o ci riesce meglio. E, necessariamente, sulle condizioni «minime» perché questo possa accadere. Sentivo, quindi, il bisogno di ragionare su questioni quali l’uguaglianza, le opportunità e le diversità. Come si possono coniugare, tenere insieme uguaglianza e libertà? E uguaglianza e diversità? E diversità e opportunità?
L’errore più banale è considerare questi termini come oppositivi; ritenere cioè che sia necessario operare una scelta tra di essi, invece che approfondire i modi in cui queste singole istanze possano essere integrate tra loro, e quindi cooperare per un obiettivo condiviso. In quanto, e non credo di sbagliarmi, è come se questi termini contenessero già in sé il medesimo risultato e, in mano nostra, fossero gli strumenti per costruire e garantire le condizioni necessarie alla piena realizzazione di ciascuno. Ecco perché devono essere conservate e alimentate, non potendole mai considerare come date una volta per tutte. Sono dell’idea che se uno tra uguaglianza, opportunità e diversità soccombesse in nome degli altri, quegli stessi cambierebbero di segno, allontanandosi dal loro significato più vero. Ne andrebbe così della nostra capacità di progredire nella realizzazione di un sistema davvero democratico.
Ho il timore che negli ultimi anni si sia diffusa un’idea piuttosto minimale di democrazia, che non prevede l’esercizio della stessa se non come partecipazione elettorale e che si risolve nella delega, anche questa sempre più svuotata di senso (le liste elettorali, ad esempio, sono decise altrove). Essa invece è letteralmente il risultato delle nostre azioni e relazioni e del modo in cui le intendiamo; è nelle nostre mani, non funziona per meccanismi che si auto-riproducono e si mantengono sempre uguali. Siamo noi che determiniamo il suo funzionamento e le forme di questo funzionamento, l’equilibrio fra le varie istanze di cui parlavamo prima.
Il termine «democrazia» è ricco di tante sfumature delle quali è difficile dare un’unica definizione, ma, a mio avviso, può essere così sintetizzato: democrazia non è trattare tutti allo stesso modo, ma ognuno secondo le sue possibilità e abilità. Come vedete, i tre termini di partenza, ovvero diversità, opportunità e uguaglianza (nelle differenze), si ritrovano tutti in quest’unica «formula».
Scrivete se siete d’accordo con questa definizione o anche solo per raccontare dei «gesti» di democrazia, come sempre a claudio@accaparlante.it o cercando il mio profilo su Facebook.