Un film su Antonio una sfida da vincere
Il Santo. Il Santo per eccellenza, per antonomasia. Il Santo e basta. Senza bisogno di aggiungere il nome perché è il più amato, il più implorato. Al punto da meritarsi l'appellativo di «santo dei miracoli». Eppure, nonostante la straordinaria devozione di tutta la cristianità , la vita e l'opera di sant'Antonio non hanno dalla loro la notorietà che meriterebbero.
La prova di questo squilibrio la offre il cinema. Se alla figura di san Francesco d'Assisi sono stati dedicati molti film (firmati da Enrico Guazzoni, Roberto Rossellini, Liliana Cavani, Franco Zeffirelli, ma anche dall'americano Michael Curtiz, dal messicano Pedro G. Calderon e da Pier Paolo Pasolini, che al Poverello d'Assisi e al suo messaggio di pace dedicò la sequenza di Totò e Ninetto Davoli in Uccellacci e uccellini ), sant'Antonio può contare pochissime testimonianze a suo favore e questo perché - contrariamente alla vicenda umana e religiosa di san Francesco, di rapida presa emotiva oltre che di immediata comprensione - ci troviamo di fronte a un personaggio non facile da rappresentare. Per tanti motivi, non ultimo quello della sua cultura, della sua profonda dottrina, di una fine eloquenza e della sua guerra contro l'usura, madre dell'empietà e della povertà , peccato contro la carità , ma anche un nemico spesso senza volto e senza nome.
La difficile impresa di una rappresentazione drammaturgica, capace di superare i limiti dell'agiografia e di una messa in scena di tipo devozionale, è stata sperimentata da Antonello Belluco - con la co-regia di Sandro Cecca - con il film Antonio guerriero di Dio .
Figlio di profughi istriani, nato e cresciuto a Padova, fin da bambino Antonello Belluco ha convissuto con la familiarità che lo legava intimamente al santo di cui porta il nome, sempre invocato e pregato. Al suo debutto nella regia del lungometraggio a soggetto, dopo più di vent'anni trascorsi in quella solida scuola di formazione che è lo spot pubblicitario, c'era un debito di riconoscenza da pagare. Antonio guerriero di Dio è nato così: come un atto di ringraziamento, ma anche come una sfida, contro la crisi del cinema, contro le tendenze del mercato dove trionfano la commedia leggera, i film fracassoni o quelli trasgressivi, contro le difficoltà produttive e distributive. E anche questo è stato un omaggio a sant'Antonio, che si è battuto senza paura contro il mondo del suo tempo.
Contro gli oppressori di ogni tempo
«Rampollo dell'aristocrazia di Lisbona, Antonio rinuncia al suo rango e ai beni del mondo. Per amore di Dio prende i voti ed entra fra gli agostiniani, poi indossa il saio di Francesco d'Assisi e sceglie di stare in mezzo ai poveri per infondere loro coraggio e speranza». Così Antonello Belluco presenta il personaggio portato sullo schermo. «In un mondo medioevale fatto di fame, malattie, ingiustizie e violenze d'ogni tipo, Antonio si erge a difensore degli oppressi, dei deboli e degli umili. Non teme di scontrarsi con potenti, tiranni, signorotti prepotenti e corrotti. La gente riempie le piazze per ascoltare la sua parola e della sua santità c'è già certezza quand'è ancora in vita. Tant'è vero che salirà all'onore degli altari soltanto undici mesi dopo la sua morte. La più rapida canonizzazione nella storia della Chiesa».
Il film inizia con il terribile naufragio sulle coste siciliane della nave sulla quale, proveniente dall'Africa, sta viaggiando Antonio. La sua meta è Assisi, dove incontrerà Francesco. Sulla stessa nave c'è Fibonacci, mercante e matematico di Pisa, che porta con sé un tesoro...
Sulla ricerca di questo tesoro (che assumerà diverse sembianze per chi lo cerca: il denaro, il sapere che dà potere, la fede) si sviluppa il film, raccontato come un «giallo» e strutturato attraverso il lungo flash-back di frate Folco, un ladro diventato poi l'inseparabile e fedele amico di Antonio, che sulla tomba del santo ne racconta la vita rievocando la sua lotta contro l'usura. Il tenace impegno del Santo in questo campo rende quanto mai attuale Antonio guerriero di Dio , perché ancora oggi l'usura è causa di tante tragedie, perché la si pratica su larga scala accumulando immense ricchezze nelle mani anonime di grandi multinazionali; sottraendo beni al Sud del mondo; tagliando risorse ai Paesi poveri per distribuirle sotto forma di dividendi agli azionisti di grosse società internazionali; traendo enormi profitti dallo sfruttamento del lavoro minorile e dell'emigrazione clandestina.
La scelta dei luoghi, la scenografia, i costumi, restituiti in un contrasto di splendore e realismo esaltato dalla fotografia di Gino Sgreva e dalle musiche di Pino Donaggio, fanno di Antonio guerriero di Dio un film di notevole presa spettacolare. Impreziosito dall'interpretazione, nel ruolo del Santo, dello spagnolo Jordi Mollà , un attore di vasta esperienza, che ha lavorato in una ventina di film, alcuni dei quali girati a Hollywood. Doppiandosi da solo, Mollà ha spruzzato il suo italiano di inflessioni lusitane che lo rendono simile alla lingua parlata da Antonio. Al suo fianco il bravissimo Paolo De Vita, nel ruolo di Folco.
Un film al quale si possono anche muovere appunti e rilievi, ma che evita la trappola dell'immaginetta oleografica. Accompagnato, fra l'altro, durante la lavorazione, da alcuni segni che fanno pensare: uno splendido arcobaleno durante la scena dei funerali di Antonio; le sardine spuntate all'improvviso mentre si girava il miracolo dei pesci; due corvi arrivati a loro volta inaspettati durante la scena della festa in piazza. Come quelli raffigurati, nel film, sulla bandiera portoghese della nave che stava portando Antonio verso l'Italia.