Un impegno di fede

Sacerdote, costruttore di chiese, animatore, consigliere scolastico. Una vita votata al vangelo e al servizio degli altri. Un prete venuto dalla gavetta la cui esistenza è un romanzo avvincente.
05 Marzo 2003 | di

Monsignor Giuseppe Sbrocchi è nato a Roseto Valfortore, in provincia di Foggia, il 17 marzo 1922. Ed è emigrato, su invito dell'allora arcivescovo di Toronto, James McGuigan, nel 1959. Negli ultimi mesi del 2002, monsignor Sbrocchi ha fatto l'esperienza delle «fatiche» della strada e della vita. A commento della foto di copertina di uno dei suoi libri di poesie (Sbrocchi è autore di poesie, romanzi, musica), l'editore ha scritto «per via lunga, aspra e faticosa». Quando l'ho notato, ho subito pensato alla vita di «don Peppino», come lo chiama un amico sacerdote di Toronto quando mi telefona per sapere come sta. Io ritengo di avere avuto la fortuna di conoscerlo bene proprio vivendoci insieme durante la sua malattia e parziale immobilità  in ospedale, e poi nella casa della Parrocchia della Trasfigurazione dove lo abbiamo ospitato come sacerdote e come amico.

Non so nemmeno come sia nata questa amicizia e questo rispetto reciproco. Mentre lui compiva a fatica il cammino di «resurrezione», e io gli davo una mano, parlavamo, lo ascoltavo tra una medicina e l'altra, ridevamo, domandavo... e ho imparato ad apprezzarlo, credo anche a capirlo un po' di più del poco che sapevo. Non è facile capire una persona. Perché ci sono tante cose che non si vedono, che non si sanno. Cercare di capire una persona è come leggere la Divina Commedia di Dante o ascoltare una sinfonia. Quello che si vede è niente rispetto a quello che non si vede ma che pure fa parte della storia e della realtà  di una persona. Ogni persona andrebbe letta come si legge un'opera d'arte. Sapendo che non si arriverà  mai a capirla fino in fondo perché solo chi l'ha pensata e creata potrebbe definirla. In genere l'artista, quello vero, non si arrischia e preferisce il silenzio pieno di rispetto.

Cuore ingrato

È una specie di autobiografia romanzata. Cuore ingrato è uscito mentre monsignor Sbrocchi era in ospedale per i soliti problemi che a vent'anni, in genere, non ci sono. Mi aveva chiesto di scriverne una prefazione. Cuore ingrato narra la vicenda di Pasqualino Gentilcuore, un ragazzo costretto ad emigrare con la famiglia dalla Calabria in Puglia; la sua vita fino al matrimonio con Serena, il viaggio in Canada e a Toronto dove incontra don Benvenuto. Don Benvenuto? Mi ricorda tanto lui, monsignor Sbrocchi: nel lavoro di don Benvenuto che accoglie e aiuta i nuovi che arrivano con la valigia, ma soprattutto con tanta «anima». E queste «anime di emigrati», come le chiama affettuosamente monsignor Sbrocchi, ...pardon, don Benvenuto, cantano O sole mio, e seminano tanta civiltà , piena di calore umano. Questo calore trasforma le cose e le persone, diventa cultura.

In una delle sue poesie, Dall'Italia, c'è una sintesi delle regioni italiane. È interessante vedere come in ogni quartina, monsignor Sbrocchi entrava nel cuore di tutta questa gente in viaggio che sbarcava a Toronto con sogni e speranze. È questa gente che ha fatto il Canada e Toronto.

Mentre leggevo Cuore ingrato, ho sentito che in Pasqualino Gentilcuore e in don Benvenuto, monsignor Sbrocchi aveva trasferito la sua esperienza, la storia della nostra comunità  come lui l'aveva vissuta e sentita. C'è tutto: musica, cultura, fede, amore per la famiglia, rischio, coraggio, tenacia, avventure e disavventure, ecc.

Nel titolo Cuore ingrato "; la canzone napoletana che Pasqualino cantava sempre "; ho sentito un po' della tristezza, quasi nostalgia, che ci avvolge tutti quando ci sembra di non aver fatto abbastanza. O, almeno, quando abbiamo l'impressione che quanto abbiamo cercato di fare non sia stato apprezzato.

Ricordo che un giorno, uscendo dall'Ospedale dov'ero andato a visitare monsignor Sbrocchi, una signora mi riconobbe nell'ascensore e mi chiese cosa stessi facendo. Quando le risposi che avevo fatto visita a monsignor Sbrocchi, le si illuminarono gli occhi e tutta commossa mi disse: «Oh, don Giuseppe, è stato un padre per tutti noi. Me lo saluti tanto». In quei mesi io stavo lavorando nella Parrocchia di St. Wilfrid, la Parrocchia dove Sbrocchi era stato dal 1976, per 21 anni, fino alla pensione. Praticamente l'aveva ricostruita, sia come Chiesa che come Comunità . Di ognuno conosceva nome, indirizzo e numero di telefono, da dove venivano, quanti figli avevano e cosa facevano.

 Canti di gioia

Una signora di nome Lucia che tiene conto delle nostre stanze in parrocchia, e che proviene dallo stesso paese di monsignor Sbrocchi, mi raccontava che lui, da piccolo, era «tremendo». Un po' di quest'attitudine, unita ad un simpatico senso dello humor e all'intraprendenza, lo hanno sempre accompagnato. Lo si nota anche adesso che non è più piccolo. Questa intraprendenza, trasformatasi in attività  pastorale, è quello che ha contrassegnato le vicende di Sbrocchi dovunque ha prestato servizio. Ha avuto anche molti riconoscimenti, onorificenze e premi; poco se dovessero indicare la misura della genialità  e dell'attività  di una persona. Nell'estate prossima uscirà  un suo libro in inglese che ha scritto con l'aiuto del fratello, il professor Leonardo, sull'emigrazione degli ultimi cinquant'anni. Sarà  interessante e magari anche un po' polemico. Sbrocchi è un inventore di regole che, a volte, si scontrano con altre regole: il servizio agli italiani nella chiesa di Santa Chiara, negli anni Sessanta, spesso ignorati e quasi emarginati; poi la decisione di aprire San Nicola nel 1967. Nessuno ci credeva e gli avevano anche predetto un esaurimento nervoso. San Nicola prospera ancora, oggi in mano ai francescani. E le scuole cattoliche? Ne aprì, direttamente o indirettamente, ben sei. Nel 1982 il Provveditorato Cattolico gli riconobbe ufficialmente questo merito. Poi San Wilfrid, la sua anima per tanti anni. Ancora si commuove quando entra in quella chiesa. E in mezzo a tutto questo: libri di poesie, racconti, un romanzo autobiografico, presto una storia dell'emigrazione e una raccolta di pensieri religiosi... E la musica. Nella dedica al libro di musiche pubblicato nel 2001 a Ottawa con il titolo Cantate al Signore con canti di gioia, scrive: «A mio padre (Domenico Filippo) che per oltre quarant'anni fu organista ufficiale della chiesa Collegiata di Roseto Valfortore (Foggia), e a mia madre Concetta Ronca che come luce nel cammino di numerosa famiglia seppe inculcare nel cuore dei figli un canto perenne di lode al Signore».

L'ultima sua composizione musicale è quella che sarà  cantata per l'inaugurazione della nuova chiesa di Santa Chiara, a Woodbridge, in primavera. Una chiesa bellissima, tra Weston Road e Rutherford, frutto della collaborazione di architetti italocanadesi e il parroco, Fr. Gianlucio Borean. Quest'ultimo è figlio spirituale di monsignor Sbrocchi. Con lui è cresciuto e si è formato al servizio pastorale. Nella casa della famiglia di Gianlucio, Sbrocchi trovava alloggio quando agli inizi della chiesa di San Nicola, nel 1967, aveva solo «polvere per cibo e lacrime per bevanda», come sempre racconta.

La vita di sacerdoti come monsignor Giuseppe Sbrocchi non si può leggere solo per quello che fanno, per come lo fanno o per quello che avrebbero dovuto fare. Davanti a Dio non andranno le loro cose. Andranno loro, l'unico sacrificio che sarà  gradito a Dio: la loro vita, loro nella nudità  della loro fede. Fede a volte faticosa, impolverata. Ma vera fede: quella che sposta le montagne.                                       

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017