Un pianeta da salvare
L'inverno appena trascorso quanto a freddo non ha scherzato. Glaciale, polare, siberiano, killer... i giornalisti non hanno lesinato sugli aggettivi per qualificarlo. Non sono mancate le vittime a causa soprattutto delle eccessive nevicate: in numero limitato in Italia, più consistente in altri paesi del Nord e dell'Est europeo. Chi ha più anni sulle spalle, in verità , ricorda inverni anche più crudi, quando gli alberi, morsi dal gelo, schiattavano. È un'inquietante novità , invece, che il gelo abbia infierito nelle regioni meridionali, di solito mitigate da un lieve tepore.
Novità pari a quella della rovente estate scorsa, quando anche sulle Dolomiti, con le colonnine di mercurio oltre i 30 gradi, si boccheggiava; l'estate più torrida da quando si misurano le temperature con i termometri, un secolo circa. Ricordo il ghiacciaio della Marmolada, quando raggiungere Punta Penia aveva il sapore di una conquista:
il gigante ghiacciato ti soggiogava con il suo misterioso, immenso fascino. Oggi, frotte di gente vengono sparate lassù dalle veloci funivie ad ammirare, si fa per dire, un ammasso grigiastro, in ritirata sotto le sferza del sole.
Segno dei tempi. Di un tempo che non è più come una volta, quando le stagioni si succedevano con graduale lentezza e i valori climatici subivano mutazioni infinitesimali nel corso di secoli, mentre oggi sembrano salire a ritmo accelerato. Quelli del riscaldamento globale, ad esempio, sono mutati di un grado poco meno negli ultimi cent'anni, e potrebbero nei prossimi trenta salire di altrettanto e forse più, con conseguenze tutt'altro che piacevoli: lo affermano preoccupati, tra gli altri, i diecimila scienziati del gruppo di lavoro dell'Onu, l'Ipcc (agenzia intergovernativa sul cambiamento del clima), per i quali le estati roventi, gli inverni gelati e altre catastrofiche anomalie verificatesi negli ultimi anni sono da attribuire a queste variazioni. Non tutti gli scienziati, in verità concordano su queste conclusioni. Il professor Guido Visconti, anche lui dell'Ipcc, dice: «Sarei prudente nell'affermare che c'è un cambiamento climatico in atto. Per dirlo dovremmo essere certi che questo trend è dovuto a una causa precisa. Ricordiamoci che l'atmosfera è un sistema caotico mai studiato».Effetto serra. Per molti altri la causa, anche se non certissima ma molto probabile, c'è ed è 'effetto serra. Che non è una variabile impazzita del «sistema caotico», ma la conseguenza dell'azione dell'uomo, cioè dei gas prodotti in quantità eccessive dai combustibili fossili bruciati, petrolio, carbone e gas naturale. Una micidiale miscela di anidride carbonica, metano, protossido di azoto e idrofluorocarburi che esce dai tubi di scappamenti dei veicoli a motore, dalle ciminiere delle centrali elettriche e delle industrie pesanti... e che va a finire negli strati alti dell'atmosfera impedendo la dispersione del calore solare riflesso dal pianeta.
La Terra è avvolta da una fascia gassosa, che ha il compito di filtrare le radiazioni solari e di trattenere solo la quantità di raggi indispensabili per garantire la continuità della vita, mantenendo la temperatura media globale di +15 gradi. La Terra riscaldata riflette parte del calore nella direzione opposta attraversando l'atmosfera. Quando la densità della fascia diventa più spessa, le radiazioni non riescono più a trapassarla e vengono reindirizzate verso il basso, provocando l'inevitabile surriscaldamento dell'intero pianeta. Con inevitabili e spiacevoli conseguenze.
Ogni anno gli uomini pompano nella bassa atmosfera, quindi a soli 20 chilometri d'altezza, 6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, che intrappola il calore. Stime del Nobel Rubbia prevedono che «intorno alle metà del 2000 si dovrebbe arrivare a qualcosa come 50 o 100 miliardi di tonnellate».
Tutto questo, secondo la maggioranza dei climatologi, avrebbe già avviato un cambiamento climatico globale; lo dimostrerebbero le temperature record registrate ultimamente: dal 1980 ad oggi si sono registrati i dieci anni più caldi della storia scritta, con il 1998 decisamente al di sopra di tutti.Alcuni esempi. È assai lungo l'elenco dei recenti, micidiali, «scherzetti» attribuibili all'effetto serra. Ricordate l'uragano Mitch, il tredicesimo dell'anno nell'area caraibica, e la sua furia devastatrice abbattutasi lo scorso novembre sui cittadini del Centroamerica? Interi paesi cancellati, migliaia le vittime e l'orologio dell'economia regredito di 30-40 anni in regioni da sempre in difficoltà . Gli uragani da quelle parti non sono una novità , ma nessuno s'è abbattuto con la furia di ques'ultimo.
La violenza dell'uragano è stata attribuita al comportamento anomalo del Nià±o, una corrente calda che emerge ogni tre/sei mesi nelle acque del Pacifico tropicale provocando sconvolgimenti climatici. Ma anche l'anomalia del Nià±o potrebbe essere una conseguenza dell'effetto serra. La misteriosa corrente - spiega Hartmut Grassì, direttore dei programmi mondiali di ricerca del Wmo (World me-tereological organisation) - trasferisce il suo calore all'atmosfera e la riscalda di alcuni gradi, quanto basta per alterare i normali cicli meteorologici di interi continenti. Di solito era una moderata anomalia, ma negli ultimi tempi, accentuata dall'effetto serra, si è trasformata in un evento catastrofico che ha provocato i danni che sappiamo: eccesso di piogge da una parte e altrove una prolungata siccità che prelude alla desertificazione.
Le alluvioni in Cina sono una costante, ma quella che ha colpito il paese lo scorso anno tra luglio e agosto è stata terribile: 223 milioni le persone coinvolte, oltre tremila i morti, danni pari a 260 mila miliardi di lire.L'Antartide si squaglia. Ma a preoccupare di più è quanto sta avvenendo nell'Antartide, i cui effetti possono coinvolgere l'intero pianeta. Lì la temperatura è salita di alcuni gradi, addirittura di 11 negli ultimi 20 anni, come riferisce Ross Gebelspan, premio Pulitzer per il giornalismo. L'innalzamento della temperatura ha provocato distacchi di masse imponenti di ghiaccio, enormi iceberg come mai s'eran visti. La prima s'è mossa tra il gennaio e il febbraio del 1995 dalla piattaforma glaciale di Larsen: 72 chilometri di lunghezza, 35 di larghezza e 200 metri di spessore. Due mesi dopo una seconda enorme spaccatura aveva mandato alla deriva una montagna di ghiaccio di 65 chilometri di lunghezza. Uno scienziato argentino, testimone oculare della disintegrazione delle piattaforme glaciali, Rodolfo Del Valle, afferma: «Avevamo previsto la spaccatura della banchisa polare entro una decina d'anni, in realtà tutto è successo nello spazio di pochi mesi, mettendo a nudo rocce che per ventimila anni erano rimaste sepolte sotto seicento metri di ghiaccio». Per Del Valle la causa di ciò è chiara: è l'aumento della temperatura. Gli effetti di quanto sta avvenendo riguardano l'intero pianeta, perché lo scioglimento dei ghiacci potrebbe provocare l'innalzamento del livello del mare di un metro circa nel corso del prossimo secolo, allagando, secondo le stime dell'Epa (l'ente per la protezione ambientale degli Usa) «fino al 60 per cento delle nostre terre basse costiere». Per Venezia un'«acqua alta» senza ritorno...
Ma anche sui bacini di casa nostra la febbre del ghiaccio ha lasciato segni vistosi: i più grandi si sono ritirati di diversi metri, i più piccoli o sono già spariti o sono ridotti in condizioni pietose. Le lobby del petrolio. La gran parte degli scienziati è convinta che, a chiunque debba essere attribuita la causa di questi guai, qualcosa bisogna fare per assicurare un futuro alla Terra. C'è chi rema contro, magari perché al soldo delle industrie petrolifere. E Ross Gebelspan, nel suo libro Clima rovente delle edizioni Baldini e Castoldi, ne smaschera più di uno. È chiaro che ridurre le emissioni, ad esempio, di anidride carbonica significa ridurre, significativamente, il consumo di petrolio, con notevoli perdite economiche. I petrolieri, e non solo loro, stanno facendo il diavolo a quattro per convincerci che non c'è nessun surriscaldamento del globo, che quello che stiamo vivendo è un effetto passeggero, che non è quindi necessario, almeno in tempi brevi, prendere vie diverse. E tanto meno conveniente.
Di fatto petrolio e carbone danno vita alla principale industria della storia e il giro d'affari annuo del solo petrolio supera il trilione di dollari; i prodotti petroliferi e i derivati del carbone si usano in ogni casa, in ogni auto, in ogni fabbrica e in ogni edificio in quasi tutte le nazioni del mondo... L'industria petrolifera sostiene interamente l'economia della maggior parte delle nazioni mediorientali e vasti settori dei sistemi economici di Russia, Messico, Venezuela, Nigeria, Indonesia, Norvegia e Gran Bretagna. Dà lavoro a milioni di persone e influisce sul patrimonio di decine di milioni di investitori. Consistenti tagli nel consumo di petrolio e carbone potrebbero distruggere intere nazioni e paralizzare l'economia mondiale.
Ma poiché i danni derivati dal clima impazzito potrebbero essere ancora più atroci di questi, se non si vuole soccombere, prima o poi bisognerà scegliere fonti di energie diverse, che pure esistono. Naturalmente in modo graduale per non fare saltare tutto.Le inutili conferenze. È chiaro che le compagnie interessate faranno di tutto per allontanare il più possibile nel tempo queste scelte. E lo si vede negli scarsi risultati raggiunti nelle conferenze sui cambiamenti climatici organizzate dalle Nazioni Unite. Quella svoltasi a Kioto in Giappone nel 1997, ad esempio, doveva produrre un protocollo per limitare le emissioni dei gas che producono l'effetto serra. Contrariamente a quanto era accaduto dopo i precedenti accordi di Berlino ('95) e Rio de Janeiro ('92) i paesi che più consumano petrolio, carbone e idrocarburi gassosi avrebbero dovuto impegnarsi a rivedere il loro programma di sviluppo. Per il bene della Terra.
La disponibilità a ridurre le emissioni di gas serra è stata molto al di sotto delle esigenze reali.
Non è stata decisiva neppure la conferenza di Buenos Aires dello scorso novembre, apertasi mentre infuriava l'uragano Mitch. Raggelanti i dati forniti dai climatologi: l'effetto serra procede a velocità doppia rispetto al previsto. Scriveva il presidente emerito dell'Ipcc, Boris Bolin, su «Science», che per fare qualcosa di veramente importante bisognerebbe ridurre, da subito, del 20 per cento le emissioni che riscaldano la terra. A Buenos Aires si doveva ratificare il protocollo siglato a Kioto, lo hanno fatto gli Usa, aggiungendosi a Figi, Barbados e Antigua, che rischiano di sparire con l'innalzamento degli oceani; gli altri avevano tempo di farlo entro marzo (non sappiamo mentre scriviamo chi l'abbia fatto), ma sempre su valori inferiori a quanto richiederebbe la situazione.Le alternative ci sono. I problemi sono enormi e non esistono soluzioni semplici e immediate per risolverli. Però alcune prospettive la tecnologia le ha individuate, e chi ci ha creduto sta già incassando benefici ecologici considerevoli: con l'uso di autoveicoli a emissione zero, sono già state realizzate decine e decine di tipi che non producono i gas serra; con il ricorso a fonti energetiche rinnovabili, eoliche e solari, il cui mercato è in fermento per le importanti novità lanciate.
Per sfruttare l'energia solare, ad esempio, al posto degli ingombranti pannelli di dieci anni fa, si usano microimpianti piccoli come una tegola, ma con un'efficienza 20 volte superiore. Questi consentono al Rocky Mountain Institute, un centro di ricerca a 2000 metri d'altezza in Colorado, di pagare a fine mese appena otto mila lire per la bolletta elettrica.
La Danimarca ha potuto ridurre in maniera consistente l'emissione di anidride carbonica, grazie a sofisticati impianti di sfruttamento dell'energia del vento che producono la metà del suo fabbisogno elettrico. I danesi hanno anche realizzato vetrate per abitazioni in grado di neutralizzare i raggi ultravioletti dannosi alla salute, di respingere il calore d'estate e di accumularlo d'inverno; e inoltre specchi orientabili che permettono di illuminare spazi interni di un edificio senza tenere la luce accesa di giorno.
Sono solo alcune indicazioni. Di certo ce ne sono molte altre capaci di rivoluzionare in modo positivo la qualità della vita. Ogni rivoluzione costa, ma questa vale più di un sacrificio: il non farla toglie speranza e avvenire alle future generazioni. Tocca ai giovani prendere in mano la situazione e lottare con decisione perché i vecchi politici e i vecchi potentati escano dalla sterpaglia degli equivoci e degli interessi per pensare seriamente e decisamente al futuro della Terra. Questa è una delle svolte più decisive che i giovani si attendono dal Duemila. Non dobbiamo deluderli.
ALCUNI ESEMPI PER CAPIRE CIO' CHE STA AVVENENDO
Pioggia. L'autunno 1998 ha segnato il record degli ultimi 100 anni in Toscana, Lombardia e Liguria (350 millimetri in poche ore per 10 volte in due mesi) e nel Centro Europa. Abbondantissime le nevicate d'inverno, con rapidi aumenti di temperatura e conseguenti, rovinose, slavine. Temperatura. La.temperatura media annua della Terra, 15 gradi sopra lo zero, è salita quest'anno di 0,14 gradi: l'aumento più alto da quando si effettuano queste rivelazioni. La scorsa estate il caldo ha raggiunto livelli record, e così il freddo l'inverno successivo. Ghiacciai. Negli ultimi dieci anni i ghiacciai alpini del versante italiano si sono ridotti del 70 per cento, su quello di Francia, Svizzera, Austria e Slovenia, del 35-45. Mentre nell'Antartide masse enormi di ghiaccio si staccano, con frequenza inusitata, dalla piattaforma di Larsen andando alla deriva. Livello del mare. Da oggi al 2030 si stima che lungo le coste italiane possa crescere da 8 a 29 centimetri il livello del mare. Per la laguna di Venezia è previsto un aumento di mezzo metro. Molte isole negli oceani, come le Figi, Barbados, Antigua potrebbero scomparire. Foreste. Ogni anno vengono tagliate e bruciate foreste per una superficie di 84 mila chilometri quadrati, pari a quella dell'Austria. Il 1998 è stato un anno record con 90 mila chilometri quadrati distrutti, in un momento in cui la Terra ha più che mai bisogno di ossigeno. |
LO SVILUPPO SOSTENIBILE
di Laura Pisanello e Claudio Zerbetto Nei primi anni Settanta si cominciò a parlare di «sviluppo sostenibile» che può essere definito il complesso di azioni che migliorano la qualità della nostra vita, rimanendo nei limiti di carico degli ecosistemi che ci sostengono, senza compromettere cioè la possibilità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni. |
«PACHACUTI»: LA SVOLTA ECOLOGICA NELLE MANI DEI GIOVANI di Giulia Cananzi I soli oggi ancora capaci di progettare in grande, di uscire dall'individualismo che caratterizza le società opulente, di prendersi le responsabilità politiche per cambiare in senso ecologico e solidale l'economia sono i giovani del mondo. Del Sud e del Nord, indistintamente. A loro è rivolto un progetto di ampio respiro organizzato dall'Associazione internazionale «Noi ragazzi del mondo» in collaborazione con la Comunità internazionale di Capodarco, che avrà il suo culmine allo scoccare del nuovo millennio. |
LE REGOLE DEL CONSUMO CRITICO
di Sabina Fadel La regola d'oro in tal caso è quella che gli ambientalisti chiamano la regola delle «quattro R», cioè ridurre, recuperare, riciclare, rispettare. |
A COLLOQUIO CON VITTORIO CANUTO NON TUTTO È PERDUTO di Alessandro Bettero Il professor Vittorio Canuto, torinese di nascita, è laureato in Fisica. Vive e lavora da più di trent'anni negli Stati Uniti dove insegna Dinamica dei fluidi e turbolenza alla Columbia University di New York; fa parte dello staff scientifico del Goddard Institute, un organismo della Nasa che si occupa di climatologia. Da vent'anni il professor Canuto è advisor (rappresentante) della Santa Sede all'Onu. Msa. Qual è la situazione del clima a livello globale, siamo alle so-glie di una sauna planetaria? |