Un valligiano nella City
Londra
È una delle Associazioni più vivaci del Regno Unito con circa 400 soci e un programma annuale di tutto rispetto. I Parmigiani Valtaro, giunti ormai al loro 32° anno di attività, oltre ad unire italiani originari delle valli in provincia di Parma, rappresentano uno spaccato della comunità italiana a Londra. A parlarcene è Giovanni Costa, presidente dell’Associazione, e che si avvia a concludere il suo mandato. Costa gestisce da molti anni un bar di sua proprietà nella centralissima Titchfield Street, subito dopo l’impegno quotidiano del lunch, all’ora di pranzo, durante il quale viene preso d’assalto dagli affamati impiegati della City alla ricerca di un piatto veloce ma genuino, e dagli inconfondibili sapori italiani.
Syed. Quando si trasferì a Londra?
Costa. Arrivai nel 1958 dopo aver detto addio a Borgotaro, vicino a Parma, insieme a migliaia di altri italiani, e in particolare a molti miei corregionali che ogni giorno scendevano alla stazione di Victoria pronti a sfidare la fortuna e le difficoltà per un futuro migliore per sé e per i propri familiari. Tramite uno zio ero riuscito ad ottenere il permesso di lavoro e ad inserirmi subito nella ristorazione. Le rinunce furono molte e dolorose. L’Italia era un sogno irraggiungibile. I giornali arrivavano in ritardo, il cibo italiano era costoso e raro da trovare, il sole era pallido e l’estate non arrivava mai! Ma non mi persi mai d’animo. Avevo 21 anni, ero orgoglioso e avevo una grande voglia di lavorare. Nonostante i prezzi altissimi degli alloggi e uno stipendio di 10 sterline a settimana (circa 15 euro), riuscii a mettere da parte qualche risparmio lavorando presso una ditta italiana di gelati, e poi in un prestigioso ristorante di Knightsbridge, non lontano dai grandi magazzini Harrods. Nel 1965 acquistai la casa per la mia famiglia, mia moglie Maria e le nostre tre figlie: Francesca, Barbara e Sara.
In quale momento cominciò ad interessarsi all’Associazione dei Parmigiani Valtaro?
Con il raggiungimento di una maggiore agiatezza, trovai il tempo per frequentare le attività della comunità italiana. All’epoca i nostri connazionali gravitavano intorno alla Chiesa di San Pietro a Clerkenwell Road. Si riunivano di tanto in tanto sia per mantenere i contatti con le proprie radici sia per raccogliere fondi da inviare, sotto forma di rimesse, alle famiglie rimaste in Italia, ad enti di beneficienza e alle istituzioni. Similmente, l’Associazione dei Parmigiani Valtaro, fondata nel 1975, iniziò a riunirsi in occasione delle feste religiose, per marcare tappe importanti di vita comunitaria, per raccogliere fondi. Essa collaborava anche con l’ospedale italiano (che in seguito cessò l’attività e fu venduto), si dava da fare per aiutare gli altri, non necessariamente parmigiani, e per aiutarsi a vicenda.
Quando è stato eletto presidente, e quali sono i suoi principali incarichi?
Dapprima mi iscrissi come socio e, successivamente, entrai a far parte del Comitato dell’Associazione nel 1986, offrendo il mio contributo sia all’organizzazione che all’espansione della stessa. Nel 2001 arrivò la nomina a presidente che accettai di buon grado pur essendo consapevole delle responsabilità, tra le quali il contatto diretto con le istituzioni italiane e in particolare emiliane, la ricerca di sponsor e la decisione, presa collegialmente, di devolvere gli eventuali fondi ad enti meritevoli.
Possiamo fare un bilancio di questi sei anni di mandato?
Come presidente ho cercato di tenere insieme e di far aumentare il numero dei soci, pur rendendomi conto delle difficoltà dell’associazionismo dovute ai nuovi flussi migratori più mobili, e alla tecnologia che permette la comunicazione telematica. In concomitanza con il trentennale, insieme ai miei collaboratori, in particolare agli ex presidenti Giovanni Corsini e Roberto Cardinali, siamo riusciti a riportare il numero dei soci a quello dei tempi d’oro. Ma lo sforzo richiesto per mantenerli è enorme. È difficile, per esempio, riuscire ad attirare i giovani, le seconde e le terze generazioni che si sono integrate nel sostrato culturale inglese. Spesso non riusciamo a mantenere i contatti con le famiglie che si spostano sul territorio o emigrano. Infine, è arduo attirare i nuovi flussi migratori che si appoggiano alle comunità virtuali piuttosto che alle associazioni tradizionali. Ma, pur trovandomi a dover gestire una realtà difficile, sono soddisfatto del mio lavoro.
La vostra associazione è anche nota per l’impegno umanitario.
Sì, cerchiamo di promuovere la solidarietà tra i parmigiani e, più in generale, tra gli italiani. L’Associazione, infatti, per decisione del Comitato, può devolvere un aiuto finanziario a favore di qualche connazionale bisognoso. Allo stesso modo i proventi della lotteria che si tiene durante la festa annuale vengono devoluti per qualche buona causa in Italia. Recentemente sono state raccolte oltre 50 mila sterline (circa 74 mila euro) all’ospedale di Borgotaro.
Uno dei suoi impegni, forse più ameno di altri, è l’invito ad un personaggio famoso che partecipi alla serata di gala dell’Associazione.
È vero, anche se spesso si tratta di lunghe contrattazioni. Tuttavia, i vip originari della nostra terra che contattiamo e accettano il nostro invito, sono persone sempre molto disponibili. Recentemente si sono esibiti Iva Zanicchi e l’orchestra di Franco Bagutti. Due anni fa, invece, per il trentennale invitammo Al Bano, pugliese d’origine ma amatissimo dal pubblico di ogni età e provenienza, e la serata fu un successo strepitoso.
Qual è il vostro rapporto con le istituzioni?
È senz’altro migliorato negli ultimi anni, e cioè da quando l’Italia si è accorta del grande contributo dell’emigrazione italiana nel mondo. Oggi, infatti, i media e gli organi di governo preposti, danno grande importanza alle associazioni per comprendere a fondo la natura dell’emigrazione e la sua evoluzione negli anni. Ma il rapporto più stretto, ci confida Giovanni, è proprio quello con le amate valli appenniniche. Oggi, giunto al traguardo dei settant’anni, visita regolarmente il paese natio, e spera anche di farci ritorno con Maria per poter godere i frutti dei suoi sacrifici. Se e quando dovesse decidere di trasferirsi definitivamente in Italia, lascerà a Londra il segno della propria laboriosità, con il suo bar, ritrovo di italiani e inglesi, e del suo impegno attivo nella comunità con un’associazione florida che si appresta ad affrontare i prossimi decenni nel nome della terra appenninica d’origine e, in definitiva, dell’italianità.