Una casa comune da costruire con cura

Lo straordinario cammino compiuto nel mezzo secolo trascorso dalla firma del trattato che ha sancito la nascita della Cee rimane ancora carico di incognite. Ma sarebbe davvero un peccato rinunciare a un sogno che ha unito milioni di persone.
22 Marzo 2007 | di

Erano partiti, mezzo secolo fa, in 160 milioni di persone; oggi sono quasi mezzo miliardo. Contribuiscono per oltre un quinto al prodotto interno lordo, cioè alla ricchezza, del mondo, e concorrono per il 18 per cento al commercio internazionale. Hanno 27 bandiere diverse e altrettante lingue, ma abitano assieme: sono loro a costituire oggi la casa comune europea. E alle loro porte bussano già persone di altri Paesi, che chiedono a loro volta di entrare. Ne ha fatta di strada, l’Europa unita, che il 25 marzo scorso ha festeggiato la firma del trattato istitutivo, siglato a Roma nel 1957: allora, attorno al tavolo, c’erano i rappresentanti di Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo. Oggi i soci membri sono diventati 27, con l’ingresso, l’1 gennaio scorso, di Bulgaria e Romania; e nella lista di attesa figurano Croazia, Macedonia, Albania, Serbia, Bosnia, Ucraina, Georgia, Armenia, Bielorussia, Turchia.
Davvero un’Europa senza confini, salvo Svizzera e Norvegia, i soli Paesi che hanno deciso di restarne fuori; e sembra comunque un evento storico, se si pensa che fino alla caduta del muro di Berlino (1989) il vecchio continente era tagliato anche fisicamente in due da quella che veniva chiamata la «cortina di ferro»: Occidente di qua e comunismo di là, decenni di guerra; fredda, ma pur sempre guerra.


Italia: la prima indecisa

È stato un lungo e faticoso cammino, e fin da subito, anzi da ancora prima: pochi sanno che in partenza fu l’Italia a frenare per qualche anno prima della firma del ’57, e per un motivo ben preciso.
Di un’Europa unita si era cominciato a parlare fin dal 1948, ma con uno schema che prevedeva una Germania sotto stretto controllo delle altre potenze, di fatto subordinata a loro. Scelta comprensibile, visto le due guerre mondiali esplose nella prima metà del secolo e il ruolo tedesco in entrambi i casi; ma miope, secondo un europeista convinto come Alcide De Gasperi, all’epoca presidente del Consiglio. Il quale respinse l’impostazione con una motivazione ben precisa: «Se non riusciremo a creare qualche struttura alla pari con i tedeschi, non so di che colore sarà la loro camicia tra dieci anni (allusione alle “camicie brune” di Adolf Hitler: ndr), ma non sarà certamente un colore democratico». Passò la sua tesi, ma ci vollero ancora anni di lavoro per arrivare all’accordo del 1957, preceduto nel 1951 dalla nascita, a opera degli stessi sei Paesi, della Ceca, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio.


Una stagione difficile e tesa

Era una stagione comunque segnata dalle fortissime tensioni esplose tra i Paesi vincitori all’indomani della conclusione della seconda guerra mondiale. Da un lato c’era l’Europa che stava con l’Occidente, specie attraverso l’adesione alla Nato (l’Alleanza Atlantica con principale partner gli Stati Uniti); dall’altro quella che faceva capo all’Unione Sovietica, con un’intesa sancita dal Patto di Varsavia.
Un anno prima, nel 1956, l’insurrezione ungherese era stata stroncata con i carri armati sovietici. E quella piccola creatura nata a Roma sembrava fragile e condannata a una vita precaria, anche per la mancanza al tavolo della firma di un Paese come la Gran Bretagna. Non a caso, essendo politicamente debole, quella prima Europa nasceva soprattutto su basi economiche, segnalate anche dal nome scelto: Cee, Comunità economica europea. E si è dovuto aspettare fino al 1993 per poter cambiare la ragione sociale, passando alla Ue, Unione europea, sancita dal trattato di Maastricht. Ma ancor oggi la dimensione prevalente rimane legata all’economia: dall’1 gennaio 2002 è entrata in vigore la moneta comune, l’euro, ma il tentativo di darsi una vera e propria Costituzione unitaria per il momento è bloccato, a causa dei referendum che in Francia e in Olanda hanno respinto l’approvazione del trattato costituzionale siglato, sempre a Roma, il 29 ottobre 2004.
Alle ultime elezioni per il Parlamento europeo, quelle del 2004, si è registrata una forte diminuzione dei votanti in dodici dei vecchi Paesi membri. In altri Stati rilevanti, a partire dalla Gran Bretagna, l’esito dei referendum francese e olandese ha indotto a congelare le procedure di voto. Un recente sondaggio di Eurobarometro ha segnalato che il 45 per cento dei cittadini della Ue, dunque poco meno della metà, è contrario a un’unificazione piena. E c’è chi pensa che sia stata troppo precipitosa l’apertura simultanea a dieci nuovi Paesi nel maggio 2004, mentre è diffusa l’idea che si stia dando vita più a un’Europa delle banche e della finanza che a una dei popoli. Dunque, le celebrazioni del mezzo secolo di vita sono segnate da una serie di interrogativi che chiamano in causa il futuro stesso della casa comune. Lo prova, tra le altre cose, il fatto che solo dieci Paesi della Ue su venticinque hanno deciso di aprire i rispettivi mercati del lavoro senza restrizioni: il che significa che nei rimanenti quindici i lavoratori degli altri Stati dell’Unione continuano a essere considerati extracomunitari.


Un futuro ancora incerto

Dunque, la Ue è a un bivio decisivo per il suo stesso futuro. Da un lato, le si prospetta la possibilità di diventare ancora più grande, e quindi di parlare con una voce unica sulla scena mondiale, a partire dall’economia; dall’altro, deve fare i conti con paure, resistenze e diffidenze anche di vasta portata (un esempio per tutti: le spaccature profonde sul sì o il no all’adesione della Turchia) che rischiano di comprometterne la natura stessa, o quanto meno di condannarla a una paralisi di fatto, in cui le scelte determinanti resteranno in capo a ogni singolo Stato membro.
Per arrivare a una risposta chiara e certa, occorre stabilire «chi fa cosa», e come garantire decisioni democratiche in un’Unione composta da ventisette Stati membri e mezzo miliardo di cittadini. Proprio per rispondere a questo interrogativo di fondo, nel 2002 è stata siglata una Convenzione sul futuro dell’Europa, da cui dovrebbe scaturire un nuovo trattato. Il condizionale è di rigore, perché il percorso si è rivelato irto di ostacoli; e la controprova si è avuta con l’approvazione del nuovo bilancio comunitario 2007-2013, che alla fine si è rivelato un documento al ribasso nel quale gli interessi nazionali hanno finito per prevalere sullo spirito d’insieme.
Per tutti questi motivi, lo straordinario cammino compiuto nel mezzo secolo dalla firma di Roma, e che appena tre anni fa con l’ingresso di dieci nuovi Paesi sembrava avviato a un traguardo prestigioso, rimane oggi carico di incognite. Ma proprio i grandi sforzi compiuti dalla piccola schiera di europeisti che all’indomani della guerra credettero fortemente in un’Europa unita nella pace, meritano di non essere lasciati cadere. Se è evaporato l’entusiasmo, non per questo deve venir meno la concretezza della ragione e della volontà, specie in un Paese come l’Italia che di quel progetto è stato tra i soci fondatori. La casa comune è stata comunque costruita: sarebbe assurdo e soprattutto colpevole lasciarla andare lentamente in rovina.



Notes. Le tappe del cammino



1951: Belgio, Paesi Bassi, Lus-semburgo, Germania, Italia e Francia danno vita alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca).

1957: con i trattati di Roma gli stessi Paesi fondano la Comunità economica europea (Cee) e la Comunità europea per l’energia atomica (Euratom).

1967: vengono unificati gli organi delle tre Comunità: ora c’è una sola Commissione europea, un solo Parlamento europeo e un solo Consiglio dei ministri.

1973: entrano Danimarca, Gran Bretagna e Irlanda.

1979: viene eletto per la prima volta a suffragio diretto il Parlamento europeo.

1981: entra la Grecia.

1986: Portogallo e Spagna.

1993: entrata in vigore del trattato di Maastricht; nasce l’Unione europea

1996: aderiscono Austria, Finlandia e Svezia.

2002: l’1 gennaio entra in circolazione l’euro.

2004: ingresso di Repubblica Ceca, Cipro, Malta, Ungheria, Polonia, Estonia, Lituania, Lettonia, Slovacchia, Slovenia. Allo stesso anno risale la firma del trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa.

2007: Bulgaria e Romania.



Appunti. Come funziona l’Unione europea


Le decisioni nell’Unione europea vengono prese da tre diverse istituzioni:

- la Commissione europea, braccio esecutivo della Ue, che propone le leggi, le politiche e i programmi d’azione, ed è responsabile dell’attuazione delle decisioni del Parlamento e del Consiglio; è formata da membri designati dai singoli Stati membri, e dura in carica cinque anni; l’attuale presidente è il portoghese Josè Manuel Barroso, prima di lui il ruolo era stato ricoperto dall’italiano Romano Prodi; ha sede a Bruxelles;

- il Parlamento europeo, eletto direttamente dai cittadini degli Stati membri, che esercita un potere legislativo, ha il potere di bilancio (dunque può decidere sulle spese dell’Unione), e attua un controllo democratico su tutte le istituzioni della Ue e in particolare sulla Commissione; la sede ufficiale è a Strasburgo, ma sessioni straordinarie si tengono a Bruxelles;

- il Consiglio della Ue, principale organo decisionale dell’Unione, rappresenta la voce degli Stati membri ed è composto dai ministri dei singoli Paesi competenti sulle varie materie di volta in volta in discussione (ad esempio, la difesa, l’economia, l’istruzione, l’ambiente); adotta le leggi europee, coordina le politiche economiche generali degli Stati membri, conclude accordi internazionali a nome dell’Unione, approva il bilancio della Ue assieme al Parlamento europeo, elabora la politica estera e di sicurezza comune, coordina la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale; ha sede a Bruxelles; la presidenza viene assunta a turno ogni sei mesi dal presidente del Consiglio di uno degli Stati membri (attualmente la presidenza è ricoperta dalla Germania).

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017