Una cornice d’eccezione per venerare il corpo del Santo
La Cappella nella quale in questo mese saranno esposte alla venerazione dei fedeli le spoglie mortali di sant’Antonio (poste sopra la teca che custodisce la tonaca del Santo) è stato l’ultimo edificio del complesso basilicale a essere costruito, elemento aggiunto (e si vede bene) a una struttura architettonicamente già ben definita da circa tre secoli. A sollecitarne la costruzione, l’esigenza di collocare in un luogo adeguato le reliquie e i cimeli più o meno sacri acquisiti nel tempo dalla Basilica come segno di devozione e di riconoscenza al grande Taumaturgo, e presenti in grande quantità nei più diversi siti del santuario.
L’esigenza aveva sortito nel tempo vari progetti, rivelatisi via via inadeguati, come quello – approvato nel 1665 dai massari della Veneranda Arca – che prevedeva di adibire la Sala del Capitolo a sacrestia e trasformare la sacrestia allora in uso in «santuario delle reliquie». Solo una ventina d’anni dopo religiosi e Arca del Santo decisero di fare sul serio, indicando stavolta la Sala del Capitolo, debitamente ristrutturata, come luogo adatto a ospitare le reliquie.
Circa la progettazione non sappiamo con precisione come siano andate le cose. Di fatto, però, si sa che alla fine a realizzare l’impresa venne incaricato il genovese Filippo Parodi, uno dei migliori allievi di Gian Lorenzo Bernini, il fantasioso scultore e architetto che, con i suoi capolavori (il colonnato della Basilica di San Pietro è uno di questi), aveva strabiliato Roma. E così nel 1690 la Sala del Capitolo si trasformava in cantiere. Ma i lavori si interruppero subito. Problemi di ordine statico e la scarsa illuminazione convinsero a cercare un’altra soluzione. Fu presa in considerazione la Cappella delle Stimmate di san Francesco, situata al centro del deambulatorio della Basilica, e dotata di una piccola abside. Lo spazio era esiguo, ma si poteva abbattere l’absidiola e prolungare la Cappella nel «luoco contiguo, detto il Paradiso» (il cimitero dei frati).
Il Parodi si mise all’opera per realizzare un nuovo progetto, che consegnò il 20 dicembre 1690, completo in ogni dettaglio. In esso la Cappella assegnata diventava il vestibolo di un nuovo grande edificio che si sviluppava interamente all’esterno della Basilica. Il progetto venne rapidamente approvato e i lavori, iniziati subito, durarono a lungo, dal 1691 al 1694, ma al loro compimento Padova poteva vantare una delle più splendide realizzazioni del barocco italiano.
All’esterno l’edificio (perimetro circolare con 13 metri di diametro e 20 di altezza) risultava in armonia con l’architettura della Basilica, quasi un suo completamento. A copertura il Parodi aveva realizzato una cupola tronco-conica sulla quale si innalzava, raccordata da volute, una lanterna con alcune finestre che facevano piovere discreta luce nella Cappella. Ma nel 1739 la cupola a lanterna, per problemi statici, venne demolita e sostituita con una semisferica, simile alle altre sette che coprono il santuario. All’interno, invece, si presentava con un’orditura indipendente, ispirata allo stile del tempo, il barocco, con tutta la sua spettacolare dovizia di ornamenti, di fregi e di sfarzo, attenuata però da influssi cinquecenteschi, che conferivano alla costruzione grande eleganza e armonia. Inizialmente la Cappella aveva otto finestre, ma quattro di esse sono state in seguito chiuse per far posto ai bassorilievi in stucco di Pietro Roncaioli da Lugano.
La gloria del Santo
Suggestivo e di grande effetto scenico l’apparato che custodisce le reliquie. Su di un impianto sopraelevato e staccato dalla struttura dell’edificio, il Parodi ha creato un andito, delimitato da una ringhiera che regge sei statue, raffiguranti quattro virtù (Fede, Penitenza, Umiltà e Carità), san Francesco che contempla il Crocifisso e san Bonaventura con un libro in mano.
L’andito precede il fondale tra le cui arcate il Parodi ha ricavato tre nicchie per i preziosi reliquiari, sormontate da una fastosa «gloria», composta da un arco trionfale che fa da cornice a sant’Antonio rapito in estasi. Tutt’intorno, secondo il gusto del tempo, schiere di angeli, grandi e piccoli, svolazzanti o intenti a suonare o cantare.
Il Tesoro
Reliquie e cimeli – più di un centinaio in tutto – vennero collocati nelle nicchie solo nel 1745, quando l’opera del Parodi, per vari motivi riveduta e corretta, poté dirsi conclusa. Sull’autenticità di alcune reliquie i dubbi sono legittimi, ma sono indubbi la preziosità e il valore storico della gran parte di essi e delle loro custodie, che costituiscono un vero tesoro, tale da giustificare il nome con cui la Cappella viene anche indicata, Cappella del Tesoro, appunto.
La lingua del Santo, la più preziosa delle reliquie qui esposte e di comprovata autenticità, è inserita in uno splendido reliquiario di argento dorato, alto 81 centimetri, realizzato tra il 1434 e il 1436 da un discepolo del Ghiberti, Giuliano da Firenze. È un lavoro raffinato, tutto trafori e decorazioni, perfetto nelle proporzioni e di assoluta eleganza.
Il mento del Santo, invece, è posto in un reliquiario a foggia di busto scintillante di smalti e pietre preziose. Eseguito nel 1349 su ordinazione del cardinale Guido di Montfort, il reliquiario ha avuto l’onore della cronaca nel 1991, quando alcuni malviventi della banda del Brenta riuscirono a trafugarlo, gettando nello sconforto i devoti di tutto il mondo. Brillante e rapido il recupero del prezioso reperto.
In bella mostra turiboli in argento dorato; una navicella portaincenso foggiata a veliero con equipaggio e attrezzature minuziosamente raffigurati; una pisside ornata di 23 preziosi cammei; un calice d’oro tempestato di smeraldi donato da Maria Amalia d’Austria (1733), pellegrina a Padova, mentre un ostensorio di eccellente fattura realizzato verso la fine del 1400 e donato dal cardinal Girolamo Basso custodisce tre spine della corona di Cristo.
Vi è anche, trattenuto da guarnimenti d’argento, il bicchiere scagliato per terra, e rimasto intatto, da un eretico che aveva sfidato il Santo. Si possono ammirare ancora la mazza turchesca, in argento dorato, finemente lavorata e con la sommità trapuntata di pietre turchine, donata dal re polacco Giovanni Sobieski, e il reliquiario del braccio sinistro di sant’Antonio, ex voto per la guarigione (1672) di Vittorio Amedeo II di Savoia. Tra gli altri «tesori», una lettera autografa di san Giuseppe da Copertino datata 1650; un biglietto firmato da san Vincenzo de’ Paoli, e un biglietto con firma di sant’Alfonso de’ Liguori (1765).
In tempi più recenti sono stati aggiunti reperti della ricognizione della tomba del Santo avvenuta nel 1981, come la casula che avvolgeva i resti mortali del Santo, due sigilli del 1263, i cartigli di pergamena cuciti sui drappi che avvolgevano il feretro, e la tonaca del Santo ricomposta in una bacheca. Un prezioso e originale reliquiario, infine, opera dello scultore Carlo Balljana, raccoglie i resti dell’apparato vocale del Santo, rivenuti anch’essi nella stessa ricognizione.