Una donna contro la camorra
Rosaria Capacchione, giornalista de «Il Mattino» di Napoli, da più di vent’anni segue l’inquietante realtà della camorra. Oggi vive sotto scorta, ma non ha alcuna intenzione di fermarsi.
25 Febbraio 2009
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Gli uomini della scorta non la lasciano sola nemmeno un istante. D’altronde i boss della camorra gliel’hanno giurata: condannata a morte. Di minacce Rosaria Capacchione, 49 anni, giornalista de «Il Mattino» di Napoli, ne ha ricevute tante in questi anni. L’ultima, molto seria, è emersa durante la deposizione di Antonio Iovine e Francesco Bidognetti nel processo di camorra «Spartacus». Uno dei pentiti, durante le udienze, ha parlato di un piano per «sopprimere» la giornalista. Per questo il ministero degli Interni ha deciso di assicurarle una protezione, come è già successo per il magistrato Raffaele Cantone e per Roberto Saviano, autore del libro Gomorra.
Rosaria è una donna coraggiosa. Lo si vede dallo sguardo deciso, lo si sente da come parla. Riservata e ironica, a volte abbozza un sorriso. Ma quando si parla di camorra il suo volto diventa serio. Da quasi trent’anni indaga sugli affari illeciti della criminalità organizzata. Le sue precise e circostanziate inchieste realizzate in questo lungo periodo hanno dato molto fastidio ai capi clan. Oggi ancor più, da quando il fenomeno è salito alla ribalta delle cronache nazionali e internazionali con il libro e il film Gomorra.
Qualche mese fa, al ritorno dal lavoro, ha trovato l’appartamento sottosopra. Nessun oggetto di valore era sparito. Mancava soltanto una cosa: «Si erano portati via una targa assegnatami in occasione di un premio giornalistico. Un riconoscimento per il mio impegno. Un avvertimento ben preciso».
Una vita sotto scorta
La sua è una vita blindata. «Ho perso tutta la libertà che avevo – racconta – nel lavoro come nel privato. La cosa assurda è che, nel corso degli anni, avevo già subìto diverse minacce. Ma allora non c’era il fenomeno Saviano, con il suo libro. Il resto del mondo non sapeva dell’esistenza della camorra e dei Casalesi, il potentissimo clan campano. Ma poi il grande clamore di Gomorra ha cominciato a dar fastidio e le minacce sono diventate incombenti».
Anche perché il giovane autore si è ispirato a lei, ai suoi articoli, alle sue inchieste per realizzare il libro: «Lo conosco da quando era ragazzino – spiega Rosaria –. Voleva fare il giornalista. Si interessava di camorra e spesso veniva in redazione a raccogliere qualche mio pezzo».
Quando le chiedo di raccontarmi la sua esperienza di donna e giornalista in continua lotta contro la camorra, cerco di non crearle ulteriori ansie. Ma lei mi rassicura: «Non ti preoccupare, ormai sono abituata a ripercorrere la mia vicenda personale e i rischi che ne conseguono». Rosaria ha un legame intenso con la sua famiglia: «Sono loro che mi hanno trasmesso i valori per i quali mi batto ogni giorno. Mamma, fratelli e nipoti sono i più esposti e alla fine non c’entrano niente. Ma nessuno di loro mi ha chiesto di chiudere con questa esperienza. Non mi hanno mai detto: “Rosaria statti zitta”. Mai. Mia nipote – aggiunge accennando un sorriso – mi è vicina a modo suo, raccogliendo in un album le foto delle persone arrestate nelle indagini che seguo personalmente per il mio giornale».
Ogni mattina Rosaria esce di casa per recarsi al lavoro, nella redazione casertana de «Il Mattino», in pieno centro storico, seguita dagli uomini della scorta. Al giornale sfoglia i quotidiani, guarda le ultime agenzie di stampa, fa qualche telefonata e poi via, con la scorta, a raccogliere notizie, intervistare persone, confrontare dati. Sa tutto della camorra, di quello che ha combinato dal 1985 fino a oggi. E questo per i Casalesi è un serio pericolo. Per loro, Caserta deve rimanere lontana dai riflettori, perché in queste zone girano grossi flussi di denaro. «La camorra – spiega la giornalista – è come la mafia, soltanto che dei pizzini del capomafia Provenzano se ne occupa anche la stampa internazionale, mentre qui i boss agiscono nell’indifferenza, non gliene importa niente a nessuno».
Sulla scrivania c’è una copia del quotidiano per cui scrive: in prima pagina, un suo servizio sulla cattura del capo dei casalesi, Giuseppe Setola e la foto che lo ritrae subito dopo l’arresto. «Peppe Setola, che ha già una condanna all’ergastolo, sa che dal carcere non uscirà mai più – scrive Rosaria –. Eppure si è avviato verso la cella con il sorriso beffardo sulle labbra, mettendosi in posa, facendosi immortalare come un eroe. Perché eroe si sente, il Robin Hood dei camorristi di strada».
Verità e giustizia
Cercare la verità e garantire la giustizia: è questo il compito che Rosaria si è imposta il primo giorno che ha cominciato a scrivere. Per lei questo lavoro è diventato una vera e propria missione: «È quello che dovrebbe fare ogni giornalista – aggiunge –. Occorre entrare nei dettagli della notizia non solo per sapere “chi e che cosa”, ma anche “perché” accade tutto ciò. Soltanto spiegando i “perché” possiamo fare un buon servizio ai nostri lettori e inseguire la verità. Forse così le cose potranno cambiare». Per le strade di Napoli, Caserta e degli altri centri della zona, gruppi di giovanissimi esibiscono potenti moto, auto di grossa cilindrata. Vestono griffati e hanno un tenore di vita al di sopra delle loro possibilità. Non tutti, per fortuna, ma il rischio di finire nel giro è notevole. La camorra assume manovalanza proprio tra i giovani e la prospettiva del denaro facile diventa per molti un’attraente illusione. A Caserta, i Casalesi impongono il loro potere a colpi di kalashnikov: un impero che frutta un mare di soldi e che in un ventennio ha mietuto centinaia di morti.
Rosaria lavora con coraggio per rompere questo sistema instaurato dai boss «che influenzano e controllano l’economia di tutta la Penisola, da Casal di Principe al centro di Milano». Il nostro discorso va naturalmente all’ultima vicenda che ha creato clamore internazionale: l’emergenza rifiuti. Rosaria ha lavorato anche su questo fronte per far luce sulle implicazioni della camorra. «Il problema dell’emergenza rifiuti a Napoli – precisa la giornalista – non è da collegare ai singoli clan. Anche perché la camorra è una struttura parassitaria. Molti anni fa ha capito che i rifiuti portavano ricchezza e per questo si è inserita nel sistema degli smaltimenti. Per quanto mi riguarda, cerco di denunciare gli affari dei singoli clan».
La solidarietà di Napolitano
Nel covo del latitante Setola i carabinieri, al momento della cattura, hanno trovato anche il libro di Rosaria, L’oro della camorra. Stupita? «Mi sarei meravigliata se ci fosse stata una copia di Topolino. I boss sono molto interessati alle pubblicazioni e agli articoli che parlano di loro. Mi ha stupito, invece, che nel covo del boss ci fosse un libro di Giovanni Paolo II».
Solidarietà Rosaria ne ha ricevuta soprattutto dagli amici e dai colleghi. Poca dai politici e parlamentari, tranne qualcuno. Ma, a nome delle istituzioni, l’ha chiamata il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che le ha manifestato la propria gratitudine per il lavoro che sta compiendo in nome della legalità e a servizio della collettività.
Chiedo alla giornalista se secondo lei si riuscirà un giorno a sconfiggere la camorra. «Sarà difficile, anche perché è entrata in profondità nella vita sociale di questa terra. Ma sicuramente si può fare molto, a cominciare da un sistema pubblico pulito e trasparente, che analizzi a fondo l’assegnazione degli appalti e la provenienza del denaro». Ai politici, Rosaria chiede però «un maggiore impegno per proteggere i cittadini dalle insidie della camorra». Come? «Promuovendo un’economia pulita, che sia il prodotto della legalità. Oggi è l’economia “sporca” la vera minaccia. È qui che vive e prolifera la camorra, contagiando anche i giovani». Lei intanto fa la sua parte: informa e cerca di far capire come funzionano, oggi, le cose. Sperando che qualcosa cambi, che i cittadini onesti si ribellino.
Le chiedo se non ha mai pensato di mollare tutto. Rosaria ricorda allora una delle tante interviste a Giovanni Falcone: una giornalista aveva chiesto al magistrato chi glielo faceva fare di impegnarsi in un lavoro così rischioso. E lui: «Soltanto lo spirito di servizio». E un’altra gli aveva domandato: «Mai avuto momenti di scoramento, tentazioni di abbandonare questa lotta?». «No, mai» aveva risposto Falcone. «Ecco – conclude Rosaria – vorrei soltanto avere questo suo coraggio. Poi, alla mia età non si cambia. Non mi piego. Prima o poi anche la mia vita finirà. Anche perché non morirò se mi uccideranno, ma se smetterò di cercare la verità».
Zoom. Il coraggio della denuncia
L’oro della camorra è il titolo del recente libro scritto dalla giornalista per le edizioni Rizzoli. Il volume, frutto di vent’anni di esperienza, racconta «come i boss Casalesi siano diventati potenti manager che controllano l’economia di tutta Italia attraverso gli appalti, la grande distribuzione, il cemento e gli investimenti». Gli affari hanno bisogno di silenzio, così si utilizzano i morti e il sangue per distrarre l’attenzione.
«La camorra – spiega l’autrice – è considerata una cosa da pagliacci, uno spettacolo. Ma è un problema grave per l’Italia. Non più e solo vendette efferate, morti ammazzati, faide di paese: il nuovo volto della criminalità organizzata campana ha il colore dei soldi, si radica nei corridoi di Palazzo, si nasconde e prolifera dietro l’anonimato delle operazioni finanziarie». Il libro, ha dichiarato il coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Franco Roberti, sottolinea «l’importanza della memoria». Perché, come testimonia la giornalista de «Il Mattino», «guai a dare forza al silenzio. Fino a quando qualcuno è in grado di parlare, bisogna avere la forza della denuncia».
Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017