Una nuova economia per il mondo globalizzato

Porta la data del 29 giugno la terza enciclicadi Benedetto XVI, la prima «sociale» del suo pontificato. Il documento si situa nel solco della tradizione avviata dai Pontefici precedenti, ma contiene anche elementi innovativi.
28 Luglio 2009 | di

Riflettere sul senso e sui fini dell’economia; riscriverne le regole che hanno mostrato tutta la loro inadeguatezza; rivedere le norme del mercato orientandole al bene comune e ancorandole a un’etica che faccia della responsabilità, della giustizia e della solidarietà i suoi punti fermi; introdurre la gratuità come antidoto alla logica del profitto. Nella prima, attesissima enciclica sociale – la terza del pontificato – intitolata Caritas in veritate Benedetto XVI non propone ricette miracolistiche né accampa pretese dogmatiche, ma la convinzione che «l’adesione ai valori del cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale».

Firmata nella solennità dei santi Pietro e Paolo e resa pubblica il 7 luglio, alla vigilia del vertice del G8 dell’Aquila che in agenda aveva anche la crisi economica globale e gli aiuti ai Paesi poveri, la lettera sottolinea che la carità nella verità è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e che «senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni», rimanendo «esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale».


Innovativa nella continuità

Pur riproponendo i capisaldi della dottrina sociale della Chiesa, la Caritas in veritate è fortemente innovativa, e qualcuno ha persino proposto di assegnare il Nobel per l’economia al Papa. Una provocazione, certo. Ma l’enciclica – la cui pubblicazione data per imminente già a marzo e poi a ottobre del 2008 è stata rimandata proprio a causa della crisi – si presenta davvero come un documento imprescindibile, tanto da poter essere considerata «la nuova Rerum novarum (promulgata da Leone XIII nel 1891, ndr) della famiglia umana globalizzata», per usare le parole del cardinale Martino.

Il riferimento specifico più insistito è però alla Populorum progressio di Paolo VI (del 1967), di cui Benedetto XVI propone una rilettura. Quella lettera ignorava la globalizzazione ma in qualche modo ne anticipava avvento e dinamiche, rivelando una sorprendente modernità. Rileggerla mostra quanto poco si è fatto in questi quarant’anni e quanto resta da fare per dar voce ai «popoli della fame» che ancora oggi «interpellano in maniera drammatica i popoli dell’opulenza», come scriveva papa Montini. Ma forte è anche il legame con la Centesimus annus (1991) di Giovanni Paolo II, nella quale già si accennava alla globalizzazione. La Caritas in veritate ne affronta per la prima volta organicamente tutti gli aspetti, sostenendo che i processi in atto «adeguatamente concepiti e gestiti, offrono la possibilità di una grande redistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precendenza non era mai avvenuto».

Il testo non si sofferma su disquisizioni ideologiche e accademiche – non compaiono mai termini come capitalismo, socialismo, comunismo, proprietà privata – ma non manca di evidenziare alcuni punti fermi. A partire dalla constatazione che l’attuale modello di sviluppo, pur avendo creato ricchezza e benessere per molte popolazioni, «è stato e continua a essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall’attuale situazione di crisi». «Il profitto – aggiunge il Papa – è utile se, in quanto mezzo, è orientato a un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo». Al contrario, «rischia di distruggere ricchezza e creare povertà». In sostanza, non bisogna dimenticare che «il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, la sua integrità», e che «i costi umani sono sempre anche costi economici».


Solidarietà e fiducia: parole chiave

L’enciclica propone, quindi, alcuni correttivi dettati sia da criteri etici che da ragionevolezza economica. Si può fare impresa anche se si perseguono fini di utilità sociale e si è mossi da motivazioni non legate al profitto. E non si tratta solo del terzo settore, «ma di una nuova ampia realtà composita, che coinvolge il pubblico e il privato e che non esclude il profitto, ma lo considera uno strumento per realizzare finalità umane e sociali». E ancora. «Il principio di gratuità e la logica del dono possono e devono trovare posto entro la normale attività economica», scrive Benedetto XVI, aggiungendo che senza forme di solidarietà e fiducia reciproca «il mercato non può pienamente espletare la propria funzione».

«Il Papa sottolinea molto bene come la sola dialettica tra Stato e mercato finisce per erodere e distruggere il capitale sociale che serve all’economia – afferma l’economista Leonardo Becchetti, docente di Economia Politica presso l’Università di Roma Tor Vergata e presidente del Comitato etico di Banca Popolare Etica –. L’economia funziona quando è policentrica. Il Papa riconosce, e questa è una novità, il ruolo importantissimo di una pluralità di attori tra cui le imprese che creano valore anche se non hanno come obiettivo unico quello del profitto. Parla specificamente di responsabilità sociale d’impresa, di microcredito, di fondi e banche etiche e di corpi intermedi che, secondo il principio di sussidiarietà, contribuiscono a produrre servizi sociali ma anche quella fiducia di cui il sistema ha bisogno per funzionare. Così come ha bisogno, ed è un’altra novità, di tre ingredienti fondamentali, che per il Papa sono il dono, la gratuità e la fraternità. Questi elementi non sono solo a latere, come si pensava finora (prima l’economia e poi la filantropia), ma sono fondamentali per far funzionare gli ingranaggi del sistema economico».

«Benedetto XVI inoltre riconosce – aggiunge Becchetti – che anche quando l’interazione tra imprese che hanno fini mutualistici e sociali e quelle che massimizzano il profitto porta a delle forme di ibridazione si sviluppa una forma di contagio positivo, spingendo tutto il sistema verso una maggiore eticità. Perché è tutto il sistema a dover diventare più etico e non solo alcuni attori». In tutto questo c’è un’importante sottolineatura sul termine «etico».

«Non basta usare questo aggettivo per garantire moralità – spiega l’economista – ma bisogna vedere qual è il tipo di etica cui ci si riferisce. Pensiamo alla crisi finanziaria in corso. Il problema è che l’etica deve incarnarsi dentro il mercato. E ciò riguarda tutti. Molto bello è il riferimento del Papa al “voto con il portafoglio”, ovvero alla responsabilità sociale dei cittadini, dei consumatori e dei risparmiatori oltre che delle imprese. Sono tutte forme di incarnazione di un’etica che non arriva dopo ma è dentro l’azione della vita economica».


Ideologia della tecnica

Non manca un’ampia trattazione dei temi legati alla tecnica. L’idea di fondo è che la crisi delle grandi ideologie politiche ha lasciato il campo a una nuova ideologia della tecnica che rischia di ridurre tutto a puro fare, sposandosi con l’incalzante cultura relativistica. Il progresso tecnico, è il monito, deve sempre trovare un orizzonte di senso, evitando quella «mentalità tecnicistica» in base alla quale il vero coincide con il fattibile. E il richiamo è ai rischi derivanti dalle manipolazioni genetiche e dalle minacce alla vita al suo inizio e al suo termine. Quanto alla tutela del creato, riproponendo il legame tra «ecologia ambientale» ed «ecologia umana», si richiama a «un governo responsabile della natura» attraverso oculate politiche energetiche e stili di vita più sobri.

Il Papa, infine, invoca una riforma complessiva dell’architettura economica e finanziaria internazionale che proceda di pari passo con quella delle Nazioni Unite e con la creazione di un’«Autorità politica mondiale» volta alla realizzazione del bene comune tenendo ben saldo il principio della sussidiarietà.

«Quest’enciclica è talmente nuova – conclude Becchetti – che alcuni commentatori mancano proprio delle categorie per spiegarla. Il Papa parla di nuove regole, ma soprattutto il principio fondamentale è che non esiste un sistema di regole efficace prescindendo dalla responsabilità degli agenti». Un richiamo importante che si spera venga accolto, visto che, malgrado la crisi non sia ancora finita, gli «squali» della finanza si sarebbero, a giudizio di alcuni, già rimessi all’opera. Come se nulla fosse accaduto.



Giuseppe Toniolo. Alle radici della dottrina sociale della Chiesa

Per chi si interessa di dottrina sociale della Chiesa, è un punto di riferimento. Stiamo parlando di Giuseppe Toniolo, economista e sociologo vissuto a cavallo tra Otto e Novecento. Uomo di «azione cattolica» in tutti i sensi, è noto soprattutto per aver promosso le Settimane Sociali dei cattolici d’Italia, delle quali si è celebrato nel 2007 il primo centenario. Il pensiero tonioliano è illuminante non solo da un punto di vista storico (egli fu, infatti, tra i massimi rappresentanti della cultura cattolica del secolo scorso), ma anche perché offre notevoli spunti di interpretazione della realtà contemporanea. Per approfondire e divulgare il pensiero e l’opera di Giuseppe Toniolo, due anni fa è sorta la Fondazione di Studi Tonioliani, con sede a Verona, presieduta dal Patriarca di Venezia, Angelo Scola, e della quale fanno parte docenti di materie economiche delle più prestigiose facoltà universitarie italiane. Di recente, in occasione del novantesimo anniversario della morte di Toniolo, la Fondazione ha curato una raccolta antologica dei suoi scritti. Un’opera particolarmente significativa perché, come afferma il professor Romano Molesti, curatore dei due volumi insieme a Stefano Zamberlan, «pur essendo Giuseppe Toniolo considerato tra i maggiori economisti e sociologi cattolici non risulta facile, per chi volesse accostarsi alla sua opera, reperire i suoi scritti. Su di lui sono stati pubblicati numerosi saggi, ma tutto sommato egli continua a essere letto poco e ciò nonostante il suo pensiero offra spunti interessanti di discussioni e prospetti in campo economico-sociale soluzioni ancora oggi di notevole interesse». «Giuseppe Toniolo – scrive il Patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, nella prefazione ai volumi – mise tutta la sua vita e la sua opera, sia quella di studioso che quella di docente che quella di instancabile laico impegnato, a servizio della costruzione di una “società di santi”». Egli sottolineò l’importanza di una testimonianza coerente di vita in coloro che sono chiamati a occuparsi della cosa pubblica, in quanto, prosegue ancora il cardinal Scola, «i veri riformatori sociali sono sempre testimoni, perché ogni autentica riforma nasce sempre come autoriforma». «So – afferma infatti Toniolo in uno dei suoi celeberrimi scritti, Se io fossi un riformatore sociale… – che l’uomo non vive di solo pane e che non è soltanto una questione di ventre la crisi sociale che imperversa. Perciò l’uomo alla caccia di dollari o avaro custode dei sudati guadagni non appaga l’ideale dell’anima mia. Essa vagheggia l’uomo riabilitato dal lavoro, non però vittima di esso: e tale che sotto la giubba dell’operaio viva pur della vita dello spirito, né dimentichi di essere marito, padre, cittadino e partecipi al flusso quotidiano del progresso sociale». Come non rinvenire in queste poche parole un’anticipazione di tutto il pensiero sociale della Chiesa, di cui proprio le encicliche sociali rappresentano l’apice?

S.F.
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017