Una nuova missione per le nostre Missioni

In Germania ci sono 85 missioni e due in Svezia, per un totale di 84 sacerdoti. Ma l'età media è elevata e la mancanza di giovani sacerdoti obbliga a ripensare il loro ruolo, sulla base della pastorale migratoria.
16 Ottobre 2009 | di

Magonza
«Le nostre Missioni verso una nuova missione» è il tema che la delegazione ha scelto quest’anno per il convegno delle Missioni cattoliche italiane in Germania e Scandinavia. Nella sua relazione il delegato nazionale don Pio Visentin sdb ha ricordato che nelle 85 Missioni di Germania e nelle due svedesi operano 84 sacerdoti – dei quali 60 di nazionalità italiana e 24 di altra nazionalità – affiancati da 5 diaconi, 18 suore e 29 collaboratori e un numero crescente di volontari.
Una presenza rilevante. Ma l’età media dei sacerdoti è di 66 anni, mentre i decessi, i rientri di sacerdoti giovani e il non invio di nuovi missionari da parte della Chiesa di partenza fanno pensare che non vi siano i presupposti fisiologici per continuare a gestire le Missioni nel solito modo, obbligandole a ripensarsi.
Da una parte i missionari deplorano un distacco della Chiesa italiana. In una lettera inviata al Segretario generale della Cei, scrivono: «In questo ultimo periodo sentiamo lontani i nostri vescovi italiani. Cosa sta succedendo? Ci sentiamo quasi abbandonati, alla deriva. Percepiamo poco valorizzato il servizio che stiamo svolgendo come se non servisse più». D’altro canto essi sperimentano da parte della Chiesa tedesca una rinnovata attenzione per le Missioni di altre madre lingua. Sembra crollato il muro della diffidenza reciproca. Numerosi vescovi tedeschi mettono in luce l’apporto positivo e l’originalità di tante scelte portate avanti con coraggio dalle Missioni. «I rappresentanti delle istituzioni della Chiesa locale ribadiscono oggi che la vitalità della Chiesa e delle sue strutture territoriali non possono fare a meno delle comunità italiane e della loro vivacità, perché la trasmissione e l’esperienza della fede appartengono a quegli ambiti di vita che sono strettamente legati alla cultura e alla lingua. Il confronto e la rivendicazione – sostengono i missionari – stanno lasciando posto alla riflessione condivisa e a nuovi cammini sperimentali e multiculturali».
Seduzione reciproca
Per portare avanti quello che il teologo belga Paul Tihon definisce come seduzione reciproca, la Chiesa locale, confrontata con una società sempre più pluriculturale, intende modificare il suo atteggiamento vivendo in pienezza la nota della cattolicità e divenendo guardiana gelosa di tutte le differenze. Ma anche le Missioni devono imboccare la strada della conversione. Lungi dal chiudersi in se stesse, devono fare ponte con le comunità territoriali.
Accanto al rinnovamento delle Missioni, occorre anche riflettere sul fatto che alcune posizioni «tradizionali» dovranno chiudere. Ciò non deve comportare la cessazione del ruolo significativo dei cattolici di cultura religiosa non autoctona all’interno di una parrocchia o di una unità pastorale, chiamate a celebrare e praticare la vitalità pluriforme della cattolicità. La Chiesa locale invita i battezzati di altra madre lingua a non rinunciare alla loro identità religiosa specifica per non essere privata della loro ricchezza ed originalità. I migranti cattolici, infatti, non sono un prodotto biodegradabile. Tornano attuali le parole della Commissione pontificia Iustitia et Pax: «L’uguaglianza non significa uniformità. È necessario saper riconoscere la diversità e la complementarietà delle ricchezze culturali e delle qualità morali degli uni e degli altri» (La Chiesa di fronte al razzismo, n. 23, 1988).
Una meta comune: ripartire da Cristo
La pastorale migratoria concepita come scambio reciproco di doni per far risplendere di cattolicità il volto della Chiesa locale non può, tuttavia, ridursi a questo. Il dono più prezioso che ogni battezzato porta con sé è la fede. «La Chiesa peregrinante per sua natura è missionaria» (AG, 2). Il cardinale Kasper spiega: «Missione significa ripartire, oltrepassare i confini, allargare gli orizzonti. Perciò, la missione è il contrario dell’autosufficienza e del ripiegamento su se stessi, della mentalità dello status quo e di una concezione pastorale che ritiene sufficiente continuare a fare come si è sempre fatto. Oggi il business as usual non basta più» (W. Kasper, Tornare al primo annuncio. Discorso tenuto al Congresso del Ccee sulla catechesi in Europa, «Il Regno – Documenti», 11, 2009). Non è più possibile una pastorale di conservazione e di difesa dell’esistente. Ricuperare il primato della evangelizzazione significa accantonare una volta per tutte l’assillante ricerca sulle strutture da dare alle Missioni e puntare con coraggio sull’essenza della pastorale missionaria oggi.
Ci si trova ad una svolta significativa per la vita delle Missioni che operano in Germania. L’urgenza dell’annuncio cristiano, il rinnovamento missionario delle comunità, il ritrovare strade per farsi vicini alle persone, il tenere sveglie tradizioni e sensibilità religiose che favoriscano l’attaccamento alla fede, sono gli elementi chiave della nuova visione di missione. Essa prende coscienza di essere divenuta lievito nella massa. Si tratta di un tempo straordinario per le Missioni investite, pur nei limiti strutturali e la fragilità delle persone, con l’immane compito di rievangelizzare un’Europa che non sente più nostalgia di Dio. Rivolgendo il loro impegno specifico ai migranti, l’unica priorità è l’annuncio del Vangelo. Paolo scriveva: «Guai a me se non evangelizzo» (1Cor 9, 16). «La fede si rafforza donandola», affermava Giovanni Paolo II nel 1990 (RM, 2), sottolineando come la missione fosse «ben lontana dal suo compimento».
Migranti battezzati, da assistiti a protagonisti
Imboccando la strada della rievangelizzazione, il centro dell’attenzione non è più la struttura ma la persone. I migranti divengono i protagonisti della vita della Chiesa locale, lievito, agenti di comunione e di solidarietà nella massa. Le Missioni si impegnano ad aiutare il migrante battezzato a scoprire questa sua vocazione e ad approfondire il ruolo della sua cultura e della sua fede nel cammino della sua vita personale, familiare, sociale ed ecclesiale. Le Missioni sollecitano il migrante battezzato ad uscire dal «guscio» e tentare prossimità e relazione. Da un discorso «italo-centrico» si passa ad una visione «mondo-centrica», cattolica; da un’identità statica ad un’identità dinamica.
È stata questa nuova concezione che ha indotto durante il convegno i missionari a mettersi in ascolto dei laici, che hanno raccontato le loro esperienze di collaborazione, di comunione e di annuncio del Vangelo sia nel contesto delle Missioni animate dal missionario sia là dove il prete italiano non è più presente. Un cammino affascinante che dissipa una certa aria di stanca e il timore di insignificanza e di invisibilità. Si rivela vincente la pedagogia di Dio: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni» (Gioele 3,1 – 4).
Un bilancio
La pastorale migratoria si trasforma in un rinnovato tempo di grazia. Provocati dall’urgenza della evangelizzazione, laici e preti celebrano coralmente la cattolicità e la missionarietà della Chiesa locale, di cui si sentono parte vitale. Sebbene non manchino disagi e conflitti, le Missioni scoprono una significatività e responsabilità nuove. La diffusione della «buona novella» ai migranti e con i migranti esige però un rinnovato impegno nel campo della formazione cristiana degli adulti. Da tempo le varie zone pastorali della delegazione stanno lavorando in questo settore, anche se vanno individuate nuove piste e garantito un maggiore coordinamento, tenendo presenti soprattutto gli animatori laici che vivono in diaspora Scrive san Bernardo: «L’amarezza della Chiesa è amara quando è perseguitata dai tiranni, più amara quando è divisa dalle eresie; ma l’amarezza della Chiesa raggiunge il suo culmine quando essa se ne sta tranquilla in pace». Le Missioni in Germania, preti e laici battezzati, intendono continuare a vivere un’esistenza esodale. Non si sentono credenti tranquilli ma agonici, perché il lavoro è ancora tanto.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017