Una nuova primavera cristiana?

Non c’è dubbio, lo dicono i dati: la Chiesa oggi sta vivendo una situazione di povertà, di minoranza, tanto che qualcuno ha assimilato i cattolici alle razze in via di estinzione. È proprio così?
02 Aprile 2001 | di

L'Istat ha anche di recente radiografato la pratica religiosa in Italia. Se guardiamo la cosa solo dal punto di vista dei numeri, c' è poco da stare allegri. Nel 1999 solo il 36,8 per cento degli italiani si è recato una volta alla settimana in un luogo di culto (2,2 per cento tutti i giorni, 7,9 qualche volta alla settimana e 25,8 una volta alla settimana). Poiché la «pratica religiosa» non riguarda solo il mondo cattolico, ma anche le altre religioni e confessioni, e i motivi della visita al luogo di culto non sono stati indagati, facendo la tara, la pratica religiosa è ridotta al lumicino: appena un 20 per cento o poco più di italiani va in chiesa (alla messa) una volta alla settimana.
Come valutare il fenomeno? Quali conclusioni trarne? Lo abbiamo chiesto a padre Bartolomeo Sorge, gesuita, fondatore del Centro studi sociali e dell' Istituto di formazione politica «Pedro Arupe» di Palermo e direttore di «Aggiornamenti sociali», che al problema ha dedicato molti studi, tra cui alcuni capitoli di un recente libro, Per una civiltà  dell' amore, Queriniana 1996.

Msa. Nonostante i raduni oceanici del Giubileo, pare che la comunità  dei cattolici in Italia sia minoranza, non solo perché i dati dicono che la frequenza ai riti religiosi e ai sacramenti riguarda uno sparuto 2025 per cento, ma perché il cristianesimo non orienta più la vita dei singoli e della società . Ritiene questa analisi rispondente al vero oppure no, magari perché quello che avviene nella mente e nel cuore delle persone non può essere oggetto di statistiche?
Sorge.
Io credo che sia vero. È visibile che c' è una caduta nella pratica della vita cristiana, almeno come l' abbiamo conosciuta ai tempi del cristianesimo sociologico (della «cristianità »), quando si nasceva cristiani, le leggi erano cristiane, la pratica della vita era sostanzialmente cristiana. Non saprei dire se questo modo di essere cristiani per tradizione culturale fosse un bene o un male. Di certo, ora la situazione è cambiata. In ogni caso è chiaro che la fede non si può misurare con le statistiche, né ieri, né oggi, né mai. La mia impressione è che stiamo andando verso una fede qualitativamente superiore, però numericamente più ridotta. D' altra parte, Gesù stesso l' ha detto: «La porta che conduce alla vita è angusta e quanto pochi sono quelli che la trovano!».
Quali potrebbero essere le cause di questo fatto: la Chiesa che non ha saputo dare valida testimonianza della propria fede? Il cristianesimo con la sua morale, ritenuto religione inadeguata ai tempi? Gli effetti perversi di una concezione della vita che non conosce altri orizzonti all' infuori dell' avere, del godere delle persone e delle cose senza riferimenti etici di sorta? O altro ancora?
Penso che un po' tutte queste cause insieme costituiscano un elemento di risposta. Tuttavia, quando si parla della Chiesa, oltre agli aspetti temporali e storici, occorre tenere presente l' esistenza del mistero. Nella Chiesa, infatti, opera una presenza straordinaria di Dio, che trascende le cause di natura temporale e umana. E poi è visibile che, di quando in quando, in coincidenza soprattutto con le grandi crisi epocali, lo Spirito Santo che guida la storia riconduce la Chiesa alla purezza delle origini. Così è avvenuto, per esempio, alla caduta dell' impero romano: il mondo è cambiato ed è nata una Chiesa povera. Altre svolte significative si sono avute con l' avvento dell' umanesimo, con la rivoluzione francese, con la rivoluzione industriale e con la fine della modernità  e l' avvento del postmoderno... In tutti questi casi la Chiesa ha vissuto un periodo di purificazione; le sono stati tolti i privilegi, le sicurezze mondane, il danaro ed è stata riportata alla povertà . Si assiste, insomma, a un periodico intervento di Dio, che riporta di continuo la Chiesa alla purezza delle origini. Del resto, anche le similitudini evangeliche richiamano l' immagine di una Chiesa povera e minoritaria. Gesù la paragona al fermento, non alla pasta; ogni volta che la Chiesa corre il pericolo di trasformarsi in pasta, il Signore la purifica e la fa ritornare fermento.
È quello che sta avvenendo anche oggi. I «segni del nostro tempo» convergono nell' indicare il ritorno dei tempi apostolici. Infatti, siamo in presenza di un neopaganesimo non molto diverso dal paganesimo con il quale si confrontarono i primi cristiani. La nostra ansia di oggi di fronte alle sfide della cultura materialistica dilagante non è molto diversa da quella dei primi apostoli: come avrebbero mai potuto dodici poveri pescatori confrontarsi con la cultura pagana dei potenti romani e cambiarla? Erano un' esigua minoranza, un piccolo gruppo di persone disarmate e senza studi... Eppure il miracolo si compì, perché erano portatori della Parola che salva.
Un altro segno, tipico dei tempi apostolici, che ritorna ai nostri giorni e sul quale il Papa ama spesso richiamare l' attenzione, è il grande numero di martiri della fede. Non ve ne sono stati mai tanti come nel ventesimo secolo.
In una parola, tutto lascia intravedere che ci troviamo alla vigilia di una nuova straordinaria stagione cristiana, grazie alla purificazione di una Chiesa che negli anni della «cristianità » era divenuta troppo sicura per il favore dei potenti, che godeva di numerosi privilegi grazie ai concordati con gli Stati, che aveva l' appoggio dei ricchi... Tutto questo è finito. Ma non è un male. È una grande benedizione. È una grazia. Perché la vera forza della Chiesa non sta nei soldi, non sta nel potere, non sta nei privilegi. La forza della Chiesa è la Parola di Dio, è la santità  dei suoi figli, è la sua povertà . Come ai primi tempi apostolici.
C' è chi ritiene che l' essere minoranza, piccolo gregge, sia la condizione ideale per i cristiani: pochi eletti è meglio che tanti e svogliati; ma c' è anche chi non si dà  pace e si agita per far aumentare il numero dei credenti. Chi ha ragione? Esistono altre vie d' uscita che diano senso al fatto che oltre a piccolo gregge, i cristiani devono essere lievito, piccolo seme di nuovi germogli?
Molti cedono alla tentazione che amo definire «la tentazione dell' Arca di Noè». Noi siamo nell' Arca - pensano - , siamo privilegiati e ci salviamo; se gli altri non vogliono venire, peggio per loro! Rimangano pure in balia dei marosi e in bocca ai pescecani! No! Non è questo il cristianesimo. Gesù è morto per tutti. E finché vi sarà  un fratello o una sorella che non conoscono ancora il Signore, non mi darò pace. Buttiamoci, piuttosto, in mare, diamo una mano a chi affoga. Gesù è morto per tutti. Usciamo dal tempio, andiamo per le strade, nelle discoteche, nelle carceri, là  dove l' uomo nasce, cresce, si intontisce e muore; dove si interroga, spera, è disperato; nei luoghi da cui Cristo è escluso... Lì dobbiamo andare.
La nuova evangelizzazione, dunque, non consiste nel calcolare quanti siamo, se pochi o tanti, se una regione è più «cristiana» dell' altra. Dobbiamo evangelizzare di nuovo anche le nazioni di antica cultura cristiana. Tornano i tempi apostolici. Siamo chiamati a realizzare una nuova inculturazione della fede. Non possiamo rinchiuderci nelle nostre sacrestie a gustare le nostre certezze e la nostra fede, cantando salmi e inni spirituali, rallegrandoci di essere tra i salvati. Questa è la negazione dell' Incarnazione, della spiritualità  della strada propria di ogni vero cristiano. Andiamo per le strade, portiamo a tutti la buona novella, ovviamente rispettando sempre sia la libertà  delle coscienze, sia l' ora e il modo che Dio stesso sceglie per comunicarsi a ciascuno.
L' essere minoranza può offrire qualche opportunità  nuova, rispetto ai tempi in cui ufficialmente il cristianesimo era più o meno seguito da tutti?
Penso di sì. L' opportunità  maggiore consiste nel favorire il primato della qualità  e della santità  sulla quantità  e sulle strutture. La Chiesa è soprattutto mistero di comunione dell' uomo con Dio e con i fratelli. Poi è anche struttura. L' essere minoranza, il non avere più le grandi strutture - si chiudono conventi, seminari, collegi e ospedali - non deve essere inteso come una ritirata, né deve sminuire la fede e il coraggio; semmai, deve aumentarli. Infatti, la fecondità  apostolica sta nella qualità  e nella santità , più che nelle strutture. Lo Spirito ci chiede innanzitutto di rinnovare noi stessi, prima delle strutture.
Può essere significativo, per esempio, avere presente quanto è successo con la vita religiosa. Prima del concilio di Trento, non si concepiva una vita religiosa, vissuta fuori dai monasteri. Dopo Trento, «esplode», invece, la vita religiosa attiva e di massa, dedicata al servizio apostolico diretto nelle scuole, negli ospedali, negli istituti di assistenza, nelle missioni... La vita monastica non scompare; ma, pur diminuendo di numero, acquista nuovo splendore sul piano qualitativo (si pensi, per esempio, al Carmelo, alla Certosa, a tanti altri ordini di vita contemplativa).
  I fedeli laici, che aspiravano a una più profonda spiritualità , non avevano altra via che farsi sacerdoti, oppure entrare in un ordine religioso o seguirne la spiritualità  rimanendo nel mondo. Oggi, dopo il concilio Vaticano II, la vita religiosa di massa è in forte diminuzione: non esistono più le grandi comunità  di una volta, e le vocazioni scarseggiano; molte opere si devono chiudere per mancanza di forze. Eppure, non per questo la Chiesa è in crisi. Infatti, non solo stanno nascendo forme nuove di vita consacrata, ma - grazie al Concilio - oggi la Chiesa ha acquisito una maggiore consapevolezza del suo essere «popolo di Dio». Oggi sappiamo che esiste una spiritualità  propria dei laici, che vi sono istituti di consacrazione laicale nel mondo, dove la sequela di Cristo non è meno radicale di quanto lo fosse nella vita religiosa classica. Questo fatto è un vero arricchimento per la Chiesa.
Ma è assolutamente vitale per la Chiesa e i cattolici essere anche una forza rilevante nel quadro politico e culturale della società , sullo stesso piano o in concorrenza con altre forze?
La presenza sociale della Chiesa è un elemento fondante: «Voi siete una città  posta sopra il monte», ha detto Cristo. E una città  posta sopra il monte non si può nascondere. Ancora una volta, il Concilio ha chiarito bene in che senso la rivelazione cristiana ha necessariamente una ricaduta culturale, sociale e anche politica. Il Vangelo - ha spiegato - illumina l' uomo, gli fa conoscere la sua dignità  trascendente e i valori fondamentali; svela all uomo il senso della storia. Pur non essendo una cultura, perché ha un' origine soprannaturale, trascendente, la Parola di Dio ha, però, bisogno della cultura. Se la luce della rivelazione non diventa discorso umano, la Parola rimane muta. Quindi, l' inculturazione della fede è necessaria. Del resto, anche Gesù annunciò la Parola nella cultura ebraica; poi, per opera degli apostoli, il Vangelo fu tra dotto nella cultura ellenica, quindi, in quella latina. Oggi ormai sappiamo che è necessario tradurre il messaggio in tutte le culture.
Ora, la cultura non rimane mai un fenomeno astratto, da salotto, ma diventa sempre comportamento, etica, ispira la vita. Vi è, dunque, una mediazione dalla fede alla cultura, dalla cultura alla vita sociale, alla polis. Pertanto, è inevitabile che la Chiesa annunciando il Vangelo faccia «politica», nel senso più alto del termine. Annunciando la visione cristiana dei diritti umani, della qualità  della vita... mette in crisi i sistemi disumani, mette in crisi anche le strutture politiche che si discostano dai valori evangelici.
Daremo gloria a Dio, rispettando la laicità , l' autonomia delle realtà  temporali, illuminando le regole (laiche) della convivenza civile con la luce che viene dal Vangelo. Quest' opera di mediazione spetta ai laici, i quali, illuminati dal Vangelo e dalla dottrina sociale della Chiesa, passando attraverso la loro professionalità , compiranno con coerenza scelte che sono laiche e tali devono rimanere, senza clericalismi o confessionalismi. In tal modo, pur essendo minoranza, la presenza sociale della Chiesa non perde affatto di forza, non diviene marginale.
Infatti, essere minoranza non vuol dire affatto essere marginali. Sono cose diverse. Per usare le similitudini evangeliche, il sale è minoranza; sarebbe immangiabile un cibo tutto pieno di sale. Minoranza è anche il lievito nella pasta. Eppure, né l' uno né l' altro sono marginali. Il sale dà  sapore a tutto il cibo, il lievito fa fermentare tutta la massa. La fecondità  del cristiano non si misura in termini quantitativi o numerici, ma sul piano della qualità . Ovviamente, in democrazia il consenso è importante, ma sono i valori e le idee che trascinano.

   
   

   

UNO SPARUTO 20%      

         Nel 1999 il 26 per cento degli italiani dagli 11 anni in su - dicono i dati Istat - ha frequentato un luogo di culto almeno una volta alla settimana. In particolare, il 2,2 per cento si è recato tutti i giorni in chiesa, il 7,9, qualche volta alla settimana, il 25,8, una volta alla settimana. I meno assidui hanno visitato una chiesa qualche volta al mese. Il 16,7 per cento e il 30 per cento qualche volta l' anno. Infine, il 14,4       non vi si è recato mai.(Dati Istat, dicembre 2000).

  I CRISTIANI DELLA LINFA      

        «Secondo le statistiche, il numero di coloro che frequentano       regolarmente la messa alla domenica è ridotto. L' influenza pubblica dei pronunciamenti della Chiesa è scarsa, soprattutto sul terreno morale. Pochissimi sono i cristiani che, nelle parrocchie e nei gruppi, si impegnano veramente a testimoniare il Vangelo e a costruire la comunità . Qualche anno fa, riferendomi ad alcuni studi statistici con dotti a livello europeo, parlavo di cristiani della linfa,         del tronco,       della corteccia e infine di coloro che come muschio stanno attaccati solo esteriormente all' albero. Ebbene, i cristiani della linfa, quelli cioè visibilmente coinvolti e partecipi (sempre lasciando al Signore il giudizio sull' intimo dei cuori), sono una percentuale bassa. E non pochi sono oggi coloro che non cercano nel cristianesimo, ma altrove, una risposta alle loro domande di senso». (Carlo Maria Martini,   Il seme, il lievito e il piccolo gregge).

 


   
   
     

SE NE PARLA
LA CULTURA PUà’ AIUTARCI A CRESCERE?

Intervista a Francesco Bonin    i, responsabile del Servizio nazionale per il progetto culturale.     

  Msa. Ha ancora senso parlare di progetto culturale cattolico in Italia?
Bonini.
        Credo di sì, anche se è più giusto parlare di «progetto culturale orientato in senso cristiano». Al di là  dei numeri, che sono poi abbastanza significativi, comunque i praticanti sono superiori anche alle possibili attese. L' identità  dell' Italia è strettamente legata alla civiltà  cristiana e alla presenza attiva dei cattolici, nel passato, nel presente e nel futuro.
        Una via indispensabile per vivere al meglio il passaggio verso la globalizzazione, verso l' apertura delle frontiere:frontiere di tipo mentale ed economico-sociale. Per questo, l' identità  cattolica è un aiuto per uscire bene da questo confronto e fare in modo che non sia distruttivo, ma faccia comunque crescere il paese in quanto tale.
Il fatto che i cattolici siano diventati una minoranza all' interno del paese, cosa significa?
         Le statistiche ci dicono che quella dei cattolici praticanti è certamente una minoranza rispetto al complesso degli italiani, ma è sicuramente la maggioranza relativa di coloro che professano qualcosa. Questa constatazione della minoranza non può essere un alibi: per i cattolici, per chiudersi in se stessi; per il       paese, per dimenticarsi del rilievo strutturale della cultura e della tradizione cristiana nel complesso dell' identità  italiana.
      In che modo si può ovviare a una critica mossa alla cultura cattolica di non riuscire a farsi capire da tutti e di essere poco portata verso il sociale?
      È certamente un' obiezione valida. Ma si può rimediare attraverso la testimonianza concreta, il linguaggio della vita e delle opere, che è più direttamente percepibile. Ovviamente, su questo tema ci sono molte cose da comunicare, la maggior parte delle quali non viene compresa.
    Ecco perché, comunque, bisogna essere meno verbosi e meno referenziali nel linguaggio: in parole povere, è necessario «smontare» il linguaggio tecnico interno alla Chiesa.

     

Fabrizio Condò

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017