Un’intensa serata con i premiati

Il Premio internazionale sant’Antonio, creato nel 1998 per evidenziare persone che hanno ispirato la loro vita e le loro opere agli ideali che animarono il Santo, ha vissuto quest’anno la sua seconda edizione.
12 Gennaio 2001 | di

Il 3 dicembre scorso, nel teatro Verdi, il più prestigioso della città , è avvenuta la consegna del Premio: una riproduzione bronzea del sant' Antonio del Donatello. Quattro le sezioni previste: Testimonianza, Solidarietà , Televisione e Cinema. La manifestazione, coordinata da padre Mario Conte e presentata da Elisabetta Gardini, è stata piacevole.
La serata è stata introdotta dalla rappresentazione dell' incontro di sant' Antonio (l' attore Annibale Pavone) con Ezzelino da Romano (Francesco Paolo Cosenza), tratto dal lavoro teatrale di Paolo Pivetti, Antonio. Un atto, venti scene, interpretato con successo dalla compagnia de Il teatro dell' Arca; intervallata da musiche di Vivaldi, Benedetto Marcello, Boccherini, Bach e Sostakovic eseguite dall' Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza; impreziosita dalla presenza di tre stelle di prima grandezza della danza classica, che hanno offerto un piccolissimo saggio della loro smagliante bravura per la quale sono note in tutto il mondo. E sono: Gloria Grigolato e Andrei Vassiliev, dell' English National Ballet, vincitori del Globo d' oro al XIV Festival di Nureyev lo scorso anno, e Marco Pierin, partner sulle scene delle più celebri ballerine, da Carla Fracci a Luciana Savignano, che ha testimoniato il suo grande amore per Francesco d' Assisi e la vita francescana...

Cuore caldo della manifestazione, la premiazione: per lo spessore umano e la valenza sociale e culturale della persone prescelte. Per il settore Testimonianza, che premia «una figura del mondo laico o religioso che dà  testimonianza di impegno concreto a favore dei diritti umani, sull' esempio di sant' Antonio», i frati del Messaggero, su indicazione dei direttori di alcune testate giornalistiche italiane e straniere, hanno scelto sister Helen Prejean, la coraggiosa suora americana che da oltre quindici anni nelle carceri di massima sicurezza degli Statri Uniti porta aiuto e conforto ai condannati a morte. Un suo libro, nel quale ha raccolto le sue esperienze nel «braccio della morte», Dead Man Walking, ha ispirato un celebre film che ha valso l' Oscar 1995 a Susan Sarandon, nelle vesti di sister Helen.
La presenza di Jane Barnabei, la coraggiosa mamma di Rocco Derek, giustiziato lo scorso settembre, dell' onorevole Fabrizio Vigni e di altri che si sono battuti per sottrare Derek all' esecuzione capitale, ha offerto momenti di forte intensità  emotiva.
Nel consegnare il Premio a sister Helen, l' arcivescovo monsignor Angelo Comastri, delegato pontificio del santuario di Loreto, già  presidente del Comitato nazionale per il Giubileo, ha ribadito anche l' impegno della Chiesa nella lotta contro la pena di morte. «Non mi scandalizzo se nel mondo c' è la pena di morte - ha detto - , mi scandalizzerei se i cristiani abdicassero al loro ruolo profetico di denunciarla e combatterla». Il ministro provinciale dei francescani conventuali, padre Luciano Fanin, ha consegnato un' offerta in denaro a sister Helen per sostenere le sua iniziative a favore degli «uomini senza futuro».
Per il settore Solidarietà , assegnato a un gruppo o associazione che opera nel volontariato, i lettori stessi del Messaggero di sant' Antonio, hanno premiato tra i sei gruppi, italiani e stranieri, proposti sulla rivista nel corso dell' anno, il Gruppo Abele, fondato da don Lugi Ciotti, impegnato da oltre trent' anni sul fronte dell' emarginazione a fianco di quanti vivono nel disagio, aiutandoli a ritrovare speranza, responsabilità , riconoscimento dei loro diritti e della loro dignità  sociale in una prospettiva di solidarietà . E anche per la forte denuncia contro i poteri mafiosi che ha procurato a don Ciotti minacce di morte. Gli ha consegnato il Premio Luciano Violante, presidente della Camera e da sempre vicino al Gruppo Abele e alle sue iniziative.
Don Ciotti nel ricevere il Premio, accompagnato da un' offerta in denaro per le sue attività , datogli dalla Caritas antoniana, si è provocatoriamente augurato l' abolizione di tutti i premi di solidarietà  perché i poveri più che di solidarietà  hanno bisogno di giustizia.
Per il settore Televisione, assegnato al personaggio di un programma televisivo rivolto al grande pubblico che, cogliendo i problemi dell' uomo d' oggi, ha dato risposte dettate da valori umani e spirituali, una giuria di critici televisivi, ha premiato alla bella attrice israeliana, Yaà«l Abecassis, per l' interpretazione fresca e solare della Madonna nel film Maria, figlia del suo Figlio, prodotto da Goffredo Lombardo e diretto da Fabrizio Costa, riuscendo, lei, ebrea, «a spiegare con un sorriso e una lacrima trattenuta, la profondità  e la verità  a più dimensioni della testimonianza di fede della prima cristiana della storia dell' uomo». «Con un' attrica diversa - è detto nella motivazione - e un' interpretazione meno attenta (e meno sincera) il film... sarebbe risultato molto diverso». Il Premio le è stato consegnato da Daniela Poggi, conduttrice di «Chi l' ha visto?».
Nel settore Cinema, dove viene premiato un personaggio che in un film ha proposto una visione del mondo ricca di valori umani e religiosi, la giuria, presieduta da Gianluigi Rondi, ha scelto un grande maestro della settima arte, che «in oltre cinquant' anni di carriera si è imposto con ineguagliabile grandezza nel cinema portoghese e mondiale». È il dinamico e vitalissimo novantaduenne regista portoghese, Manoel de Oliveira, per il film Palavra e Utopia (Parola e Utopia), che - come è detto nella motivazione - «chiude in sé i principali elementi di tutta intera la sua poetica: l' ispirazione letteraria e la sua sublimazione in immagini di un rigore esemplare».
Per altre notizie su Manoel de Oliveira rimandiamo alla rubrica Cinema, nella quale Enzo Natta traccia un documentato profilo del regista. Qui ricordiamo che Palavra e Utopia, è dedicato a padre Antonio Vieira, il gesuita che con la sua straordinaria eleoquenza, nel ' 600, si batté in difesa degli indios e degli schiavi neri in Brasile. Le sue prediche sono un monumento alla lingua portoghese e da esse de Oliveira ha tratto spunto per «creare immagini che, superando i vincoli delle consuete biografie cinematografiche - dice la motivazione - in spazi asciuttamente ricostruiti o in cornici autentiche in Europa e in Brasile, risuscitano quasi magicamente la pittura del Seicento, facendo però anche cinema e teatro. Con sapientissimo stile. Il segno, la firma di un grande».
Tra i lettori che hanno votato per la scelta del Premio Solidarietà  sono stati estratti due abbonati italiani che hanno vinto, come da regolamento, un viaggio in Portogallo, e sono Anna Maria Tommasi Zanini di Grezzana, Verona e Enza Marino di Moncalieri, Torino, e uno straniero, Maria Antonia Holmes di Londra: insieme hanno partecipato alla serata della premiazione.
La manifestazione, che ha avuto un contributo anche dal Banco Ambrosiano Veneto, Cariplo e Gruppo Intesa, è proseguita il giorno dopo, con la proiezione dei due film, Palavra e Utopia e Maria, figlia del suo Figlio, e con una intensa tavola rotonda durante la quale si sono elencati e approfonditi, con sister Helen, Jane Barnabei, l' onorevole Fabrizio Vigni e Mario Marazziti della Comunità  di sant' Egidio, tutti i motivi che rendono inutile e disumana la pena di morte. Ed è per questo che la Comunità  di sant' Egidio e centinaia di altre associazioni italiane e straniere hanno raccolto oltre due milioni e mezzo di firme, che il 18 dicembre scorso sono state presentate al Segretario generale dell' Onu, Kofi Annan, perché venga sancita una moratoria internazionale della pena di morte, perché nessuno più uccida Caino, perché esistono altri mezzi per «punirlo» e aiutarlo a ravvedersi. Traguardo difficile ma non impossibile. Comunque, la lotta continua. Come Jane Barnabei ha fatto scrivere sulla tomba del figlio, giustiziato il 14 settembre scorso dallo stato della Virginia.

   
   
  DON LUIGI CIOTTI            

«La solidarietà  è uno strumento per raggiungere la giustizia».    

 Fermo don Luigi Ciotti nella hall   di un albergo, poche ore  prima che venga consegnato al Gruppo Abele , da lui fondato nel 1975, il Premio sant' Antonio. Non si sottrae alle domande, nonostante la fretta. Deve spedire un' e-mail a Napoli, ma molla tutto e si siede in un angolo, spegne il cellulare e ascolta. Lo sguardo attento, la parola pronta. Capisci che nel momento in cui ti concede un po' del suo tempo, lo fa per davvero: è lì per te, completamente, non si lascia distrarre da altre cose.
Si dice sorpreso per questo riconoscimento, che accetta di buon grado, «nonostante non ami i premi», perché gli è stato attribuito  dai lettori del «Messaggero di sant' Antonio». Gente qualunque, come quella per cui lui ha speso la vita. «Penso sia un riconoscimento per tutto quello che in questi 35 anni è stato fatto dal Gruppo Abele, non per capacità  di qualcuno, ma per l' impegno di tutti - afferma  . Lo ritengo un contributo di giustizia. Perché le nostre scelte, gli impegni, le fatiche e le speranze di tutti questi anni hanno avuto come obiettivo la risposta alla fame e sete di giustizia di cui parla il Vangelo».
 «Per noi la solidarietà  è solo uno strumento per giungere alla giustizia - continua don Ciotti - . Intendiamoci: la solidarietà  è importante. È reciprocità , attenzione agli altri. Ma è solo una faccia di quella medaglia che si chiama giustizia; l' altra è la legalità . 
Se la persona che soffre va accolta sempre e comunque, è però necessario saper andare anche oltre:       dobbiamo cogliere i bisogni della persona, non i problemi; capire e dare voce alle ragioni della sofferenza, non occultarle. E questo significa avere attenzione per gli 'esclusi', ma anche per gli 'inclusi'; significa creare cultura per la giustizia. 
In questo spirito, il Premio sant' Antonio rappresenta per noi uno stimolo a proseguire sulla strada intrapresa».
     

Sabina Fadel

 

   
   

   

YAE¨L ABECASSIS           

«Ho capito che cosa vuol dire essere cristiano».     

Msa. Dal tuo punto di vista, chi è Maria?
Yaà«l Abecassis. È un simbolo di purezza, di libertà  e di capacità  di seguire la propria voce interiore. Maria sempre se stessa. Sceglie come e dove vuole vivere, nonostante la società  del suo tempo tenti di reprimerla. È poi profondamente madre. La madre di tutti noi.
Quale parte del suo carattere ti ha       impressionato di più?
La sua luce, la sua fede e il suo ottimismo.Lei non conosce depressione ed è sempre aperta alla speranza. Tutta questa forza lei la dona al figlio e a tutti noi. La adoro.
Come ti sentivi quando la interpretavi?
Piena di energia. Recitavo come fossi lei, seguendo quello che avevo dentro, senza giudicare. È stata un' esperienza importante della mia vita.
Cosa ti ha fatto scoprire di te il       recitare questa parte?
Che ho molta compassione dentro di me. Io sto facendo questa professione non solo per me ma per gli altri, per trasmettere qualcosa attraverso la mia arte. Ecco perché sono molto contenta di aver ricevuto questo premio: se qualcuno ha trovato che il mio lavoro passa dei messaggi allora vuol dire che sono sulla giusta strada. Questo mi rende felice.
Una volta hai detto che dopo aver       partecipato a questo film, hai finalmente capito che cosa vuol dire essere un cristiano. Ce lo puoi spiegare?
 Beh, non proprio. Ho capito qualcosa in più della vostra religione. Per esempio che è la religione della comunicazione, della socialità . Se essa fosse un' evoluzione  dell' ebraismo, io la troverei molto buona. 
È più semplice, più popolare, dà  valori basilari senza la pressione che l' ebraismo esercita sulle persone.
Hai bisogno di ascolto e lo trovi. Hai bisogno di speranza e la trovi. Senza       complicazioni.

G.C.

SISTER HELEN PREJEAN           

Venti conferenze al mese contro la pena di morte.

Msa. Che cosa significa per un uomo essere nel braccio della morte?
Sister Helen.
Condannare un uomo a morte significa degradarlo a spazzatura di cui disfarsi. Oltre alla paura, il condannato deve dominare il senso del nulla, la ferita mortale alla sua dignità . Ogni essere umano invece meriterebbe più rispetto della peggiore azione che può commettere. 
Per di più tra le cinque persone che ho accompagnato all' esecuzione capitale, due erano certamente innocenti: Joseph O' Dell e Dolby Williams.
Eppure molti di loro intraprendono un cammino di redenzione...
Tutti i condannati intraprendono un cammino spirituale. Non si tratta solo di un ritorno a Dio per paura ma di una profonda ricerca di senso. Lottano contro la disperazione e hanno bisogno di un volto che parli loro della luce e dell' amore di Dio. Tutti cambiano. O' Dell temeva di essere vinto dalla paura, affrontò la morte con un coraggio sovraumano pur sapendo di essere innocente. 
La via spirituale di Patrick Soniai fu diversa: era tormentato dal rimorso per ciò che aveva fatto e quella divenne la sua redenzione.
Perché la giustizia americana non tiene conto di questi profondi cambiamenti?
Perché la pena di morte è sempre stata negli Stati Uniti un fatto politico. Un candidato che vuole apparire duro e spietato contro il crimine, si dimostra favorevole alla pena capitale. Se a questo si aggiunge che molti americani non vivono in contatto con le difficoltà  dei poveri, e dunque non conoscono le radici del crimine, è chiaro che per loro sarà  più facile liquidare il problema chiedendo la forca. Succede così in tutto il mondo. Per questo dedico molto tempo a sensibilizzare l' opinione pubblica. Anche 20 conferenze al mese in tutto il paese. 
E la mentalità  sta cambiando: molta gente ora sa che in America sono stati uccisi degli innocenti e che chi è povero non si salva perché non può permettersi un buon avvocato.
Lei ha accompagnato negli ultimi attimi alcuni condannati. Che sentimenti aveva in quei momenti e che cosa chiedeva a Dio?
Non c' è esperienza più terribile che entrare in una stanza e trovarti di fronte un essere umano, vivo e vegeto, perfettamente consapevole che fra qualche ora sarà  ammazzato. Respiri il suo terrore. È assurdo. Non è come andare a trovare un malato terminale che si spegne lentamente. Allora penso che devo vivere secondo per secondo insieme a lui, non posso permettermi la disperazione altrimenti non lo aiuto. Chiedo a Dio che dia a me la forza di sostenerlo e a lui il coraggio e il conforto per affrontare ciò che gli sta succedendo.
Giulia Cananzi

               

   
JANE BARNABEI      

«Nonostante mio figlio Derek sia stato giustiziato, la lotta contro la pena di morte continua».

Msa. Che cosa pensa riguardo alla pena di morte?
Jane  Barnabei.
 Penso che sia una disgrazia per l' uomo. Se Gesù vivesse oggi sarebbe il primo a combatterla. Non so come possa un cristiano essere a favore di una cosa del genere.
È vero che suo figlio avrebbe potuto salvarsi se avesse confessato l' omicidio di quella ragazza. Perché non lo ha fatto?
Gli avevano prospettato questa soluzione. E oggi sarebbe vivo. Ma non ha voluto, perché si sarebbe assunto la tremenda responsabilità  di un omicidio che non aveva commesso. All' inizio ho  cercato di persuaderlo ad accettare: come mamma volevo soltanto che avesse salva la vita. Pensavo che, una volta uscito dal carcere, avrebbe potuto lottare e dimostrare la sua innocenza. Ma Derek mi ripeteva: «Mamma, non posso farlo... I miei figli potrebbero pensare che sono un assassino. I sono innocente».
Crede che l' esecuzione di Derek servirà  a qualcosa?
 Certamente. Ma la cosa più importante è che lui lo credeva. Derek ha davvero sacrificato se stesso. Pensava che qualcuno avrebbe capito e avrebbe fermato questa ingiustizia. Lui pensava che la pena di morte sminuisce ognuno di noi. Ogni volta che un uomo viene ucciso, un pezzetto di noi muore con lui.

Claudio Zerbetto

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017