Uomo: già fatto?

Dopo aver clonato pecore, vitelli e topi... la prossima tappa dovrebbe essere (o è già stata) l’embrione umano. Enormi interessi economici si celano dietro le biotecnologie.
15 Maggio 2000 | di

Pecore, capre e vitelli: già  fatto. Maiali: ci stiamo attrezzando. Uomini: già  fatto? Infuriano le polemiche sulla clonazione umana, vale a dire la «costruzione» di un uomo in laboratorio, dopo l`€™ennesima notizia che è andata a infiammare le cronache: alla fine dell`€™anno scorso (ma la cosa si è saputa solo un paio di mesi dopo), l`€™Epo, cioè l`€™ufficio europeo che rilascia i brevetti per le varie scoperte, e che ha sede a Monaco di Baviera, ha concesso un`€™autorizzazione all`€™università  di Edimburgo per un metodo di preparazione di animali transgenici che prevede l`€™uso di cellule embrionali umane.
Come è stato possibile, visto che finora l`€™orientamento della comunità  scientifica internazionale è sempre stato di estrema cautela al riguardo? La risposta ufficiale attribuisce la cosa a un equivoco: nella richiesta a suo tempo presentata dall`€™università  scozzese, non veniva specificato che si trattava di animali «non umani». E siccome in inglese il termine animal comprende tutti i mammiferi, per estensione si può arrivare a concludere che la tecnica in questione sia applicabile pure a esperimenti con cellule embrionali dell`€™uomo, inclusa la stessa clonazione.
Altro che equivoco, ribattono alcuni. Lo sostiene soprattutto Greenpeace, la più agguerrita organizzazione ecologica mondiale. Il suo presidente italiano, Fabrizio Fabbri, accusa esplicitamente l`€™ufficio di Monaco di essersi comportato in passato «come se fosse un potentato autonomo svincolato dagli impegni presi dal Parlamento europeo». E ricorda il rilascio di un brevetto che copriva il sangue proveniente dai feti, dal cordone ombelicale e dalla placenta; inoltre, in almeno altri tre casi «la dicitura usata dall`€™Epo non escludeva l`€™estensione del brevetto agli esseri umani». Per giunta, qualche esperto sostiene che la tecnica proposta dall`€™università  di Edimburgo è già  superata (tra l`€™altro, la domanda risale al `€™94, e solo ora ha avuto risposta); esistono ormai tecniche più avanzate, per l`€™utilizzo delle quali sono state presentate le relative richieste di autorizzazione.
Ma è poi così semplice «fotocopiare» un essere umano? Teoricamente sì: si estrae un ovulo da una donatrice, e lo si feconda in laboratorio, per portarlo allo stadio di ovocita, lasciandolo sviluppare fino alla fase cosiddetta di «morula», consistente in otto cellule. Da queste vengono poi estratti i nuclei con il loro patrimonio genetico, e li si trasferisce in una nuova cellula uovo cui era stato precedentemente asportato il nucleo, ottenendo così embrioni dotati dello stesso patrimonio genetico.
È l`€™evoluzione di un cammino ormai lungo, iniziato nel 1962 da uno scienziato inglese, John Gurdon, che era riuscito a far nascere il primo animale clonato, una rana. Da allora, gli studi sono andati relativamente a rilento, subendo una fortissima accelerazione nella seconda metà  degli anni Novanta: nel `€™97 alcuni ricercatori dell`€™università  di Edimburgo (la stessa coinvolta ora nella polemica sul brevetto «umano») avevano clonato l`€™ormai celebre pecora Dolly; nel `€™98 in Virginia, negli Stati Uniti, era stata la volta di Jefferson, un vitello; subito dopo era toccato a Cumulina, un topo. E pochi mesi fa un gruppo di ricercatori sud-coreani avevano comunicato di essere riusciti a produrre un embrione umano clonato, ma di averlo distrutto quasi subito, impedendogli di proseguire nella crescita oltre la quarta cellula. Poco dopo, dalla Cina è giunto l`€™annuncio choc della clonazione addirittura di undici embrioni umani.
Chiaro che dietro tutto questo si nascondono (neanche tanto) fortissimi interessi. Gli scienziati scozzesi dell`€™università  di Edimburgo, ad esempio, hanno condotto le loro ricerche per conto di una grossa impresa australiana, la Stem Cell Sciences, che a sua volta collabora con la «Biotransplan», leader mondiale nel settore degli organi animali da trapiantare negli umani. E il valore di mercato dei prodotti che sarà  possibile realizzare con queste tecniche raggiunge quote da capogiro, tali da costituire uno dei business potenzialmente più colossali del futuro.
Ma non c`€™è solo questo risvolto, come vedremo: la clonazione potrà  rivelarsi anche molto utile all`€™umanità , per una serie di applicazioni ad ampio spettro, specie sul fronte della salute. A dimostrazione che la scienza, in sé, non è né buona né cattiva: tutto dipende da chi se ne serve. Col dovuto pessimismo della ragione, s`€™intende: di apprendisti stregoni è ricca la storia dell`€™uomo, e nulla autorizza a illudersi che la specie si sia estinta.

 

   
   
PER NON PERDERSI NELLO SPAZIO            

Lost in space, è il titolo di un celebre film di fantascienza: «perduto nello spazio». Ma è anche un rischio tremendamente reale, specie per gli astronauti che devono lavorare all`€™esterno dei loro veicoli: basta un movimento errato, e si viene spinti lontano, con una prospettiva di non riuscire a fermarsi e di trovarsi, quindi, a fluttuare vagabondi nel cosmo. Un pericolo tanto più temibile per gli astronauti che in futuro si troveranno frequentemente a operare al di fuori della stazione spaziale internazionale di cui è prevista, a tempi brevi, la costruzione.
Per evitarlo, la Nasa ha messo a punto un dispositivo di salvataggio inserito nello zaino che ogni astronauta porta con sé sulle spalle, e che contiene una serie di sistemi di sopravvivenza e di telecomunicazione. Se una persona durante il lavoro nello spazio dovesse darsi inavvertitamente una spinta che lo allontani dalla base spaziale, il sistema entrerebbe immediatamente in funzione, azionando piccoli getti a razzo che consentirebbero all`€™astronauta di mantenere una posizione stabile, senza volteggiare nel vuoto. A quel punto, da un portellino dello zaino uscirebbe un joy-stick con delle leve, che consentirebbero alla persona di dirigersi di nuovo verso la stazione spaziale.

   
   

   

   

   

   

 

   

   

   

   

   

 

   

   

   

   

   

 

   

   

   

   

   

 

   

   

   

   

1938 Lo scienziato nazista Hans Sperman propone di estrarre il nucleo da una cellula uovo e       rimpiazzarlo con il nucleo di un`€™altra. 1952 Primi esperimenti, senza successo, di clonazione sulle rane: le loro cellule uovo sono molto più grandi di quelle dei       mammiferi e quindi più facili da manipolare 1997 Dolly è il primo mammifero della storia clonato a partire da un individuo adulto. I ricercatori del Rosin Institute di Edimburgo hanno prelevato il nucleo di una cellula mammaria di una pecora adulta e lo hanno trasferito in un ovulo privato del suo nucleo.
1962 John Gurdon dell`€™università  di Cambridge rimpiazza il nucleo di una cellula uovo di una rana con quello di un`€™altra rana. Ma l`€™embrione non riesce a superare lo stadio di girino. 1984 Steen Willadsen a Cambridge, in Gran Bretagna, ottiene cinque pecore tutte       uguali suddividendo un unico embrione: è una tecnica che si definisce embryo splitting 1999 Un veterinario di un laboratorio di Porcellasco, nel cremonese, clona un toro.
2000 La società  britannica PPL Therapeutics, la stessa della pecora Dolly, riesce a clonare per la prima volta una cucciolata di maiali. Si chiamano Millie,       Christa, Alexis, Carrel e Doctom e sono clonati da cellule di un animale adulto.
   
   

   

L`€™OFTALMOSAURO: CHE OCCHI!      

S i chiama oftalmosauro, ed  è un grande rettile   marino vissuto da  90 a 250 milioni di  anni  fa: grandissimo,  se si considera che il solo diametro degli occhi era di 22 centimetri, il maggiore mai registrato in un animale vertebrato.
La sua scoperta si deve a un gruppo di ricercatori canadesi e statunitensi. Dagli studi fatti, risulta che era lungo quattro metri, e pesava poco meno di una tonnellata.
I grandi occhi gli consentivano di vedere molto bene anche nell`€™ambiente buio in cui viveva, fino a 500 metri di profondità : grazie a quelle dimensioni,
infatti,  poteva immagazzinare una maggior quantità  di luce nelle cellule fotoricettrici della retina, e quindi  orientarsi meglio negli abissi marini. Per avere un`€™idea di quanto fosse potente la sua capacità  visiva, si può ricorrere agli stessi criteri con cui si misura l`€™apertura del diaframma nelle macchine fotografiche: ne  risulta  una capacità   visiva        
compresa tra 0,76  e 1,1  contro  lo 0,95 degli animali notturni,  il 2,1 delle  specie diurne,  il 2,8 degli obiettivi fotografici standard in commercio, e lo 0,4 delle modernissime macchine fotografiche digitali.

FASCI DI LUCE CONTRO       L`€™INVECCHIAMENTO      

F asci di luce sincrotrone consentiranno agli scienziati di mettere a punto nuove armi contro       l`€™invecchiamento. Sorgenti di luce che si estendono dall`€™infrarosso ai raggi X sono, infatti, i veri e propri occhi con i quali un gruppo di biologi dell`€™università  britannica di Daresbury stanno studiando i meccanismi molecolari con cui alcune sostanze, come enzimi e sosia degli estrogeni presenti nelle piante, possono rivelarsi efficaci nel ritardare       l`€™invecchiamento e nel combattere malattie dal forte impatto sociale come quelle cardiovascolari, alcune forme di tumore e l`€™osteoporosi.
Le sostanze allo studio, in pratica, agiscono contrastando l`€™azione dei radicali liberi, i principali responsabili dell`€™invecchiamento cellulare e della degenerazione dei tessuti. Uno degli obiettivi più ambiziosi è arrivare a scoprire come agisce un enzima particolarmente efficace, il cui studio sta aprendo nuove vie nella prevenzione e cura degli attacchi di cuore, dei parti prematuri e delle malattie neurologiche. A rendere quest`€™enzima particolarmente interessante sono le ricerche condotte sui moscerini della frutta, da cui è emerso che gli insetti con alti livelli dell`€™enzima stesso riescono a vivere il 40 per cento più a lungo dei loro simili.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017