Urbino, città dell’eleganza

Tra gli stretti vicoli e i maestosi palazzi del centro marchigiano ci lasciamo affascinare dall’arte di Raffaello e dai versi di Pascoli, che ancora echeggiano per queste contrade.
23 Gennaio 2008 | di

Arrivare a Urbino da Roma fa sempre una certa impressione. Io ci sono giunta all’imbrunire, col freddo pungente e il vento di nordest, che corre senza barriere tra gli stretti vicoli.

Fermo la macchina giù, al grande parcheggio Mercatale e inizio a piedi la piccola salita. La gente è tutta infagottata tra cappotti, berretti e cappucci. Anch’io mi proteggo con un caldo giaccone, ma non ho i guanti, mi rifiuto sempre di metterli: in breve le mie mani sono gelate. Intorno, i negozi sono pieni di luci e di oggetti sfiziosi che invitano all’acquisto. Subito a sinistra vedo l’indicazione: oratorio di San Giovanni. Una lunga scalinata chiusa tra le case di mattoni rossi mi porta proprio davanti alla chiesa. Da quassù la visione è davvero toccante. Urbino con i suoi tetti storici si stende sotto di noi. Mi guardo intorno ed entro nella chiesa: gli affreschi dei fratelli Salimbeni aprono un nuovo mondo protetto da una volta piena di stelle. Le opere da non perdere sono la Crocifissione e la vita di San Giovanni Battista.

Faccio pochi passi e arrivo all’oratorio di San Giuseppe, dove troneggia il presepe di Federico Brandanti, con statue in gesso a grandezza naturale realizzate fra il 1545 e il 1550. La stanza pare una grande grotta e il bianco delle figure fa un’impressione irreale. Un mondo fuori dal mondo.


La città di Raffaello

Uscendo, le strade fredde e in discesa mi spingono ad accelerare il passo: mi scaldo fermandomi a visitare la casa di Raffaello. Qui l’artista nacque nel 1483, e vi si può ammirare il suo primo affresco, che realizzò a quattordici anni: la Madonna con il bambino. Il resto della casa, molto bella, è la tipica abitazione di persone abbienti dell’epoca, costruita attorno a un cortile con pozzo. Proprio a fianco vi era la bottega del padre di Raffaello, Giovanni Santi, anch’egli artista.

La discesa continua fino a piazza della Repubblica, il centro caotico della vita automobilistica. Potrebbe essere il salotto buono della città, e forse lo diventerà quando estrometteranno le auto. Qui sorge il Palazzo del collegio Raffaello, dove i padri Scolopi educarono, fra i molti personaggi famosi, anche un poeta come Giovanni Pascoli, che ricordò quegli anni di scuola nella famosa poesia L’aquilone. Ancora oggi mi sembra di sentire la mia voce di bambina che recita: «C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico, io vivo altrove e sento che intorno sono nate le viole…». E ora sono qui a respirare la stessa aria, anche se in una stagione diversa. Una fermata per un dolcetto nella nota pasticceria della piazza e prendo via Vittorio Veneto, per fortuna chiusa al traffico. Ovunque c’è profumo di crescie, le famose e tipiche «pizze» di farina, uova e strutto. Questa volta resisto, qualcosa di più spirituale mi attende. Cento metri in salita ed eccomi, infatti, al duomo. Ad attirarmi è la cripta, un percorso sotterraneo tra grotte ricche di opere d’arte, tra le quali l’Ultima cena di Federico Barrocci e la Pietà, opera in pietra di Giovanni Bandini.


Il maestoso Palazzo ducale

Usciti dalla chiesa madre, è il momento di piazza Rina­scimento e piazza Duca Fede­rico, che racchiudono il tesoro urbinate: il Palaz­zo di Federico duca di Urbino, conte di Montefeltro e di Casteldu­ran­te, confaloniere della Santa romana chiesa e comandan­te della Confederazione itali­ca. Solo il nome è tutto un programma. Il palazzo merita la visita non solo per le opere che racchiude, ma anche per la bellezza e tortuosità delle sue stanze. In alcuni momenti si ha l’impressio­ne di essere in un mondo fata­to, dove a ogni istante può succedere qualsiasi cosa. Ci accoglie il portale d’onore con il suo porticato. Si può scegliere se salire o scendere: ovunque c’è qualcosa da vedere. Puntiamo in alto, e siamo premiati dall’incontrare subito due opere di Raffaello, il Ritratto di gentildonna, detta la Muta, e il quadro dedicato a Santa Caterina d’Alessandria. Il secondo piano segna il passaggio di un’epoca, dai Montefeltro ai Della Rovere. L’impressione è magica: scale, corridoi, stanze, cunicoli tutti da percorrere, perdendosi come bambini.

Ci sono ancora molte cose da vedere, ma è giunta sera. Un ultimo sforzo ed eccomi alla rocca di Albornoz del quattordicesimo secolo, voluta dal cardinale spagnolo. È il luogo più adatto da cui salutare la città, abbracciandola in un unico sguardo.


Brevi. L’erba lattaia ammalia i gatti

 Emette un odore molto particolare per narici però diverse dalle nostre: è l’erba lattaia. Quando cresce nei nostri giardini non è raro vedere gli amici gatti fiutare l’aria e individuarla: la raggiungono, e iniziano a mordicchiarne le foglie e a strofinarvi sopra naso, mento e sottogola, poi vi strusciano la pancia e subito dopo la schiena. Emettono fusa e miagolii e i loro occhi diventano vitrei. Il balletto è intervallato da salti e balzi. Il gatto sembra impazzito ma felice. L’effetto può durare una decina di minuti, trascorsi i quali il micio torna perfettamente normale.

L’erba lattaia non è da confondersi con l’erba gatta che coltiviamo in casa, per permettere ai nostri amici felini di purgarsi, e che ha foglie lunghe e sottili. Assomiglia invece a una pianta d’ortica, con foglie triangolari e fiori bianco rosa. La sua crescita è spontanea, e appartiene alla famiglia della menta, col nome scientifico di Nepeta cataria, ma è più conosciuta come erba lattaia.

Quando la pianta raggiunge i diciotto centimetri ecco che fiori e foglie sono nel loro tempo balsamico ed emanano un olio insaturo: il Nepeta lattone.

A sette-otto mesi i gatti diventano sensibili a questo effluvio, mentre prima
ne sono immuni.

E pensare che, se ingerita, l’erba lattaia ha conseguenze calmanti. È quando viene aspirata che produce una sorta di incantamento, tanto simile a una bruciante febbre d’amore, di breve durata come il comportamento strano dell’animale. Finito l’effetto-odore il nostro amico, ritornato normale, è quello di sempre.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017