Ve la do io l'Italia!

Giornalista della RAI e scrittore, Angelini promuove arte e letteratura, cinema e musica del Belpaese. «Dopo l’11 settembre – dice – la Big Apple ha riscoperto il valore della solidarietà».
16 Febbraio 2006 | di

NEW YORK

Claudio Angelini, direttore dell";Istituto Italiano di Cultura di New York, è «nato» e cresciuto nel mondo della comunicazione e dell";informazione. Soprattutto nel giornalismo. Ha iniziato, infatti, a 19 anni al quotidiano Il Mattino di Napoli dov";è diventato professionista. Nel 1968 ha fatto il concorso per entrare alla RAI - Radiotelevisione Italiana, con Bruno Vespa, Nuccio Fava e il compianto Paolo Frajese.
Per alcuni anni Angelini ha lavorato al giornale radio. Successivamente è passato al TG1. Per più di vent";anni è stato corrispondente dal Quirinale, e conduttore del telegiornale. Si è occupato, in particolare, di premi letterari e ha curato rubriche come Almanacco e L";Aquilone . E non a caso: prima di arrivare al giornalismo, infatti, Angelini ha debuttato come poeta in una raccolta diretta da Salvatore Quasimodo. Ha pubblicato libri di poesie e romanzi con Rusconi, Bompiani e altri.
L";11 settembre 2001 ha cambiato la sua vita. Angelini è stato il primo giornalista italiano a dare la notizia dell";attentato alle Twin Towers.
Bettero. Com";è approdato alla guida di questo Istituto Italiano di Cultura?
Angelini.
Vivo a New York da più di otto anni. Ero venuto come capo della sede RAI dopo essere stato direttore di GR1, GR2 e GR3. Dopo i fatti drammatici dell";11 settembre 2001, ho maturato l";idea di cambiare professione anche se devo dire che quando mi chiama qualche testata della RAI per fare un pezzo, io sono felicissimo di collaborare, sia con il TG2 che con il TG1 mattina. Fare il direttore dell";Istituto Italiano di Cultura ha, in fondo, qualcosa di giornalistico perché si imposta una specie di giornale, che poi è l";evento culturale, con i collaboratori più vicini: principalmente due funzionarie molto attive e pragmatiche come Amelia Antonucci e Renata Sperandio. Diciamo che loro mettono a punto l";evento; io lo conduco e lo presento. L";unica differenza è che non vado in onda, e che l";«audience» è di alcune centinaia di persone! Constato con estremo piacere che in due anni, grazie al lavoro di tutti, l";Istituto Italiano di Cultura ha fatto passi da gigante ed è frequentato da giovani e da americani in genere. L";Istituto è passato dall";organizzazione di un evento al mese ad un evento al giorno.
Da quando lei è in carica, quali sono state le iniziative più importanti che avete realizzato?
Va detto che noi dobbiamo occuparci delle principali città  della costa est: da New York a Boston, da Filadelfia a Miami.
Incominciamo con l";arte. È buona abitudine del mio Istituto stringere saldi rapporti con le istituzioni culturali newyorkesi. Questo significa anche risparmiare parecchi soldi perché il nostro budget non è smisurato. Tra queste istituzioni ricordo il Guggenheim Museum, il Metropolitan Museum, il Moma, il Tribeca Film Festival. Al Guggenheim abbiamo inaugurato una mostra su Boccioni dando vita a una settimana «Futurista» che si è svolta in parte al Guggenheim e in parte nel nostro Istituto con musica futurista, teatro futurista e addirittura aperitivi futuristi. Non dimentichiamo che De Pero disegnò la bottiglia del Campari. E poi c";è stata la mostra dedicata a Modigliani che ha avuto un enorme successo. Abbiamo organizzato manifestazioni culturali «modiglianesche» sia all";Istituto che al Centro Primo Levi, e altrove. Più recentemente, una grande mostra dedicata al Rinascimento: da Filippo Lippi a Piero Della Francesca, e alla figura enigmatica di Fra Carnevale.
Abbiamo dato enorme spazio al cinema: abbiamo invitato il regista Bernardo Bertolucci a presentare The Dreamers; poi abbiamo dedicato retrospettive a Vittorio Gassman. Abbiamo avuto Marco Bellocchio, e poi Vittorio de Seta: il regista di Banditi a Orgosolo che in Italia è stato un po"; dimenticato mentre in Francia e negli Stati Uniti è molto amato. E poi tanta letteratura. Recentemente abbiamo fatto confrontare alcuni giovani autori italiani che hanno pubblicato con la casa editrice Minimum Fax, con alcuni loro coetanei americani. Abbiamo dedicato la Settimana della Lingua Italiana a William Weaver che è stato il traduttore di importanti autori italiani: da Gadda a Umberto Eco. A Weaver è stata conferita anche un";onorificenza del governo italiano.
Siamo attivi anche in campo musicale: abbiamo presentato Salvatore Licitra, Placido Domingo. Abbiamo contribuito a portare due volte, qui a New York, Umbria Jazz. Abbiamo co-organizzato lo spettacolo di Renzo Arbore alla Carnegie Hall.
Sul piano scientifico, siamo intervenuti ad un convegno medico a Miami. Qui abbiamo organizzato anche un festival di poesia che desideriamo ripetere.
Personalmente sono grato agli esponenti di due Istituzioni culturali molto importanti, qui a New York, come l";Italian Academy della Columbia University, il cui direttore è David Freedberg, e la Casa Zerilli-Marimò, la cui presidente è la baronessa Mariuccia Zerilli-Marimò, e il cui direttore è Stefano Albertini. Penso che non ci debbano essere rivalità  tra istituzioni italiane che operano in America ma che si debba collaborare attivamente. Ed è quello che stiamo facendo.
Che cosa significa fare cultura italiana a New York? Incontrate difficoltà ? Siete in competizione con altre realtà , anche diverse dalla vostra?
Credo di avere un certo vantaggio rispetto ad altri possibili direttori. Io stavo qui a New York già  da sei anni quando fui nominato direttore dell";Istituto Italiano di Cultura, e molte persone le conoscevo già . Come, per esempio, il responsabile dell";arte italiana al Metropolitan Museum, Keith Christiansen. Poi, avendo fatto per tanti anni il giornalista in Italia, conoscevo tante persone del mondo culturale italiano. L";altro vantaggio è che New York ama la cultura italiana; magari ha bisogno che la cultura italiana si presenti bene e che l";Istituto sia molto attivo. New York ama anche la moda e la nostra alta tecnologia. Non dimentichiamo che la Casa Bianca ha comprato dall";Italia l";elicottero del presidente degli Stati Uniti!
Quali sono le iniziative più importanti di questo 2006?
Due mostre al Metropolitan Museum: una dedicata a Beato Angelico e l";altra ad Antonello da Messina. Comunque ricalcheremo lo schema degli anni precedenti: una stretta collaborazione con i Musei che ho citato prima, ma anche con il Chelsea Art Museum dove stiamo portando alcuni giovani artisti italiani che ci sono stati segnalati dal presidente della Quadriennale di Roma. È importante organizzare iniziative dentro l";Istituto, ma è altrettanto importante promuoverle anche fuori, per avvicinare il pubblico, per avere una cornice più internazionale, più americana, più newyorkese; e anche per interessare i giornali di New York che si muovono di più quando un";iniziativa si svolge al Metropolitan piuttosto che all";Istituto.
Voi organizzate corsi di cultura, di lingua italiana, di cucina?
L";Istituto ha una parte che è abbandonata da tanti anni: il basement che doveva essere completamente ristrutturato. Lì volevo fare le aule per i corsi di lingua e cultura italiana. Solo che non abbiamo i fondi per fare i lavori di ristrutturazione. La lingua italiana attualmente va molto forte, e non c";è neanche bisogno che l";Istituto la diffonda attraverso i suoi corsi perché vengono fatti dalla scuola italiana, e da tante altre istituzioni. Però, trovo giusto che anche il nostro Istituto si dia da fare, e organizzi dei propri corsi. Naturalmente, invitando a farli la Dante Alighieri o altre associazioni con professori italiani. Il corso può rendere molti fondi, e noi ne avremmo bisogno se non altro per finanziare i lavori di ristrutturazione della parte dell";edificio che dovrebbe servire ai corsi, non solo di lingua ma anche di teatro, cinema, gastronomia, moda. Sono convinto che troveremo qualche sponsor che ci aiuterà .
Abbiamo parlato di Claudio Angelini giornalista, direttore dell";Istituto Italiano di Cultura, e anche autore di poesie. E ora con un libro in uscita. È vero?
Sì, è un libro in arrivo, ma lo devo ancora limare. Era già  ultimato due anni fa. Solo che arrivai a Roma e mi rubarono il computer dove c";era l";originale con i dischetti, e anche la copia dattiloscritta. Quindi l";ho rivisto. Devo dire che scrivere qui in America non è facile. Qui si è assordati da un";altra lingua. Leggere un libro in italiano diventa strano: uno deve disconnettersi da questa realtà , chiudersi nella propria casa, nel proprio guscio, e ritornare alle origini. Il mio è un romanzo soprattutto sull";America anche se l";ho scritto in buona parte in Italia.
Da quando lei è qui, come ha visto cambiare questa città  passando attraverso quel momento catartico che è stato l";11 settembre 2001?
È vero, è stato catartico. Io sono arrivato in una città  che mi sembrava molto presuntuosa, arrogante, con un consumismo portato alle estreme conseguenze, perfino ostentato. Ho letto un articolo interessante su un giornale americano che diceva che la democrazia, in fondo, può diventare anche nemica del consumismo, e il consumismo può essere un nemico della democrazia. Non so se tutto questo sia vero; certamente nella New York in cui sono arrivato nel 1997, c";era un senso di potere, di superiorità , di arroganza che adesso non c";è più. L";11 settembre ha mitigato il carattere dei newyorchesi, e ha suscitato una forza in più: quella della solidarietà .
Come visse quel giorno?
Mi ricordo che stavo bevendo un caffè prima di andare alla RAI, quando la mia segretaria mi telefonò e mi disse: «Guardi che sono dalle parti delle Twin Towers, e una delle due torri è incendiata». Allora accesi la televisione e guardai la CNN che si era subito collegata. A quei tempi lavoravo soprattutto per il TG2. Così chiesi subito la linea per un";edizione straordinaria. Ma mi fu risposto che non si poteva fare una straordinaria per ogni incendio che colpiva un grattacielo. Allora io dissi: «Guardate che questo non è un incendio normale». Fui facile profeta. E infatti stavo camminando nervosamente per strada quando mi squillò il telefonino e mi dissero: «Ma come, non sei già  in postazione?». Così cominciai una telecronaca un po"; confusa perché non si sapeva che c";era un aereo che si era schiantato contro una delle Twin Towers. Poi vidi l";altro grattacielo che prendeva fuoco. Devo dire che ero l";unico giornalista in quel momento in redazione: alcuni erano in vacanza e altri non avevano avuto la fortuna di essere stati avvisati dell";incendio alle Twin Towers. Seguii l";evolversi dei fatti: il primo aereo, il secondo aereo, quello contro il Pentagono, il quarto aereo in Pennsylvania. E mi rendevo conto, mentre parlavo e mi arrivavano le notizie, che stava succedendo qualcosa di terrificante. Due mesi dopo, riuscii a prendermi un po"; di riposo: avevo lavorato giorno e notte per TG1, TG2, TG3, per il giornale radio. Quando salii su un aereo dell";Alitalia, guardai mia moglie e scoppiai in lacrime perché finalmente mi ero reso conto che avevo assistito al fatto più sconvolgente della mia vita.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017