Venezuela. Cuore mediterraneo
La sua vita ha i colori di tre bandiere. Quella verde-bianco-rossa italiana, che lasciò nel 1987, ancora bambino; quella bianco-rossa della Danimarca, che lo ha accolto nella formazione umana e professionale; quella giallo-rosso-blu del Venezuela, dove oggi ha messo radici. Per Andrea Taddei la parola «emigrazione» fa rima con «viaggio», e non solo per la sua vita da globetrotter. Da 17 anni, infatti, guida gli spostamenti di migliaia di passeggeri della compagnia aerea Alitalia. Una vita con la valigia sempre in mano, quella di Taddei: Dublino, Stoccolma, Varsavia e Sofia sono solo alcune delle città che lo hanno ospitato. Archiviata l’Europa, da qualche mese questo cittadino del mondo ha messo la sua esperienza al servizio dello scalo di Caracas, presso il quale è direttore Alitalia per il Venezuela, i Paesi Andini, i Caraibi e il Centro America. Un ruolo importante per un italiano di seconda generazione, padre di un ragazzo di 11 anni e fortemente legato alla sua terra d’origine.
«Lavoro per l’Alitalia dal 1995. Anche se la mia vita itinerante ha inizio molto prima, nel 1987, quando assieme alla famiglia lasciai Napoli per stabilirmi in Danimarca. Fu un passo non semplice. Solo la compattezza della famiglia e il supporto di alcuni nostri parenti già residenti in Danimarca ci permisero di superare le iniziali difficoltà di ambientamento», confida Taddei.
«I miei familiari più stretti – prosegue – risiedono ancora a Copenhagen. Con loro ho un rapporto sincero e molto forte; sono il punto fermo della mia vita. A Napoli invece continuano a vivere zii, cugini e tanti amici. Negli anni passati, lavorando e vivendo in Europa, andavo spesso a fare loro visita. Ma ora, a 13 ore di volo dall’Italia, un ritorno in tempi brevi diventa impegnativo. La distanza però aiuta a concentrarmi sulla realtà venezuelana. Qui, specie in ambito lavorativo, ho già conosciuto molti connazionali. La comunità italiana del Venezuela è davvero molto unita».
Andrea Taddei incarna il nuovo corso di una compagnia che punta alla crescita nell’area, soprattutto facendo leva sul ricco potenziale degli italiani residenti nella zona venezuelana, andina e caraibica. «Per lavoro sono diventato cittadino del mondo, ma dentro mi sento italiano al 101 per cento. Con me porto l’orgoglio di una cultura che vorrei trasmettere alle future generazioni. Credo che sia mio figlio (nato dall’unione di un italiano e di una danese) sia i miei nipoti, abbiano dentro di loro quella scintilla di italianità che ci rende unici. Quanto a me, non ho mai rinunciato alla tradizione gastronomica, che rappresenta uno dei punti essenziali del patrimonio italiano. Non solo cucino piatti mediterranei in casa ma, quando è possibile, li promuovo tra amici e conoscenti in giro per il mondo. Sono un sostenitore del made in Italy: oltre allo stile e alle tradizioni che contraddistinguono il nostro Paese, sento di rappresentare con orgoglio un’azienda che in questi anni sta ricambiando la fiducia di chi ha creduto nel marchio italiano».