«Vi racconto la nuova scuola»
Msa. Ministro, vorrei cominciare da un’esperienza personale. Sono stato più volte commissario di esame per i giornalisti. Ho trovato nei giovani molta ignoranza. Le cito due risposte tra tante: «Zanardelli? È stato presidente del Consiglio cinque anni fa». «Stalin? Mi sembra russo ma non sono sicuro». Perché oggi tanta incultura?
Gelmini. Purtroppo non sono episodi isolati e dimostrano il progressivo decadimento della qualità del nostro sistema d’istruzione. Si tratta di un problema generale che riguarda tutti gli aspetti della scuola italiana, un settore che per anni ha privilegiato il criterio della quantità, relegando in un angolo la qualità. Tante ore, molti insegnanti, troppi indirizzi ma, allo stesso tempo, nessuna valutazione oggettiva, nessun premio agli insegnanti meritevoli, nessuna razionalizzazione dell’offerta formativa. Non è esagerato quindi parlare di «emergenza educativa». Per combatterla è necessaria una vera e propria rivoluzione culturale che metta al centro due concetti chiave: il merito e la responsabilità.
Quando è cominciato il degrado?
È necessario fare un passo indietro e tornare alla data da cui dipende buona parte dei mali della nostra scuola. Il ’68 ha propagandato un egalitarismo falso e profondamente deleterio. Ha svuotato di significato i principi di merito e di autorità. Nell’illusione di una scuola più giusta e aperta a tutti, ha prodotto uno scadimento dell’offerta formativa determinando – paradossalmente – un nuovo classismo: solo i più ricchi avevano la possibilità di accedere a strutture d’eccellenza costose, spesso fuori d’Italia. Ripartiamo dal merito quindi, l’unico criterio veramente democratico.
Ma come pensa il ministro Gelmini di realizzare nella pratica questa meritocrazia?
Anzitutto con un rigore maggiore nella valutazione degli studenti, in particolare in sede di scrutini. Quest’anno, ad esempio, è stato necessario avere la sufficienza in tutte le materie per essere promossi o ammessi all’esame di maturità. In passato anche con un’insufficienza si andava avanti, trascinandosi dietro lacune che non sarebbero state mai più sanate. Dunque, di fatto, non c’era alcuna differenza tra chi studiava e chi no. La promozione diventava un meccanismo quasi automatico.
Meritocrazia anche per gli insegnanti?
Anche per gli insegnanti. L’obiettivo è legare la retribuzione dei docenti alla qualità della didattica e agli obiettivi raggiunti. Stiamo lavorando per individuare i meccanismi più efficaci per mettere in pratica questo proposito.
Qual è il bilancio del maestro unico alle elementari?
Assolutamente positivo. Abbiamo restituito agli alunni quel punto di riferimento stabile, quella guida che negli anni avevano perso. Non dimentichiamo che alla base della scelta di abolire il maestro unico non c’era assolutamente un intento pedagogico. È servito solo per aumentare il numero dei docenti quando invece diminuiva quello dei bambini. Abbiamo assunto tanti insegnanti ai quali però non riusciamo a garantire uno stipendio degno della loro funzione. Noi invece vogliamo meno insegnanti ma più preparati e meglio retribuiti.
E il bilancio della scuola secondaria?
Questo è un settore determinante, dal quale dipende il futuro dei ragazzi e il loro ingresso nel mercato del lavoro. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una proliferazione di indirizzi che ha disorientato gli studenti e le famiglie, complicando non poco la scelta delle scuole superiori. Abbiamo messo ordine, razionalizzando i percorsi di studio, mettendo fine a una frammentazione insostenibile. Sono stati rivisti i quadri orari, in linea con quelli dei Paesi europei che hanno raggiunto i risultati migliori. È stato rafforzato lo studio delle lingue straniere, di matematica e scienze. Su queste materie infatti gli studenti hanno dimostrato le maggiori carenze. Vengono incentivate poi le occasioni di stage e di tirocinio in azienda, specialmente per l’istruzione tecnica e professionale. Puntiamo molto su questo tipo d’istruzione per il rilancio del made in Italy e per formare le professionalità più richieste dal mondo del lavoro. La crisi si combatte anche così.
Leggo una sua affermazione che suona pressappoco così: mandare a casa i baroni. Le chiedo: ma come? In Italia la demagogia è una malattia molto diffusa a destra e a sinistra. Quarant’anni fa si disse: eliminiamo gli enti inutili. Sono quasi tutti rimasti.
Sugli enti inutili questo governo ha fatto quello che nessun altro esecutivo aveva realizzato. La manovra economica elaborata dal ministro Tremonti prevede un taglio consistente che parte dagli enti e interessa anche i costi della politica. E le resistenze che vengono opposte dimostrano che c’è l’intenzione di andare fino in fondo. Per quanto riguarda i cosiddetti «baroni», la riforma dell’università all’esame del Parlamento contiene una serie di norme per rendere più trasparente il meccanismo dei concorsi attraverso il sorteggio, per la valutazione della didattica e del lavoro di ricerca dei docenti. I rettori, inoltre, potranno restare in carica al massimo per due mandati, in modo da non cristallizzare posizioni di potere all’interno degli atenei. Le università dovranno adottare un codice etico per evitare conflitti di interesse. Chi non adotterà sistemi trasparenti e gestirà male le risorse si vedrà ridurre i finanziamenti.
Ho davanti a me la classifica delle 100 migliori università al mondo. Ma nessuna italiana.
È il risultato di politiche sbagliate e di riforme mai realizzate. L’autonomia, ad esempio, è uno strumento importante ma non può affatto essere slegato dal principio della responsabilità. Troppi atenei non hanno dato conto del loro operato, moltiplicando corsi inutili, sedi distaccate, o utilizzando in modo improduttivo i soldi pubblici. Anche per questo motivo dobbiamo chiudere l’era degli interventi a pioggia.
Chi scorre l’elenco delle scuole e università inglesi (un librone di trecento pagine) trova tutte le notizie utili per le famiglie. Anche la retta. Si va dalle 16 mila alle 70 mila sterline annue. È una scuola classista, è vero. Ma vengono messe in palio centinaia di borse di studio.
Questo è un punto che mi sta particolarmente a cuore. Abbiamo già destinato 135 milioni di euro per le borse di studio da assegnare ai capaci e meritevoli. In questo modo riusciremo a garantire un sostegno a oltre 180 mila studenti. Nella riforma dell’università, inoltre, abbiamo previsto uno speciale fondo per il merito che ci consentirà di erogare presititi d’onore a tassi molto bassi.
C’è un controllo sui libri di testo? In altre parole si possono bloccare i libri che deformano o comunque non parlano di determinati episodi storici? Penso al tema di quest’anno sulle foibe, un argomento di cui per anni non si è parlato.
Non c’è dubbio che per molti anni la sinistra abbia condizionato il mondo della scuola, esercitando una sorta di egemonia culturale. È venuto il tempo di affrontare la storia in modo oggettivo, senza condizionamenti ideologici di nessun colore. Nell’ultimo esame di maturità è stata proposta, per il tema storico, proprio una riflessione sulle foibe. È un capitolo della memoria del nostro Paese, per troppo tempo sottaciuto.
Per gli studenti extracomunitari, classi miste o separate? L’integrazione come viene affrontata?
In modo pragmatico, lontani da qualsiasi pregiudizio. È stato inserito il tetto del 30 per cento per gli alunni stranieri nelle classi. È un modo per distribuire meglio la presenza di studenti immigrati nelle scuole ed evitare la formazione di classi ghetto, che rappresentano un pericolo per l’integrazione e per lo sviluppo della didattica. In questo modo gli studenti possono interagire meglio con i loro compagni e superare tutte le difficoltà legate all’apprendimento della nostra lingua.
Quanti corsi di laurea sono stati veramente eliminati?
Abbiamo registrato una riduzione di circa il 20 per cento dei corsi di laurea. E gli atenei andranno avanti nella razionalizzazione se non vorranno perdere i finanziamenti. Non possiamo più permetterci corsi di laurea con un solo iscritto.
Guardiamo al futuro: le prossime tappe della riforma della scuola italiana?
Il prossimo passo sarà collegare lo sviluppo della carriera dei docenti agli obiettivi e ai risultati raggiunti. Oggi la progressione avviene solo per anzianità e non tiene affatto in considerazione l’impegno e la capacità degli insegnanti.
La riforma Gentile nacque da una precisa filosofia culturale. Qual è la filosofia che regge la riforma Gelmini?
Ogni provvedimento fin qui adottato si ispira ad alcuni principi chiave: il merito e la valutazione. Senza dimenticare precisi valori di riferimento: la centralità della persona, la responsabilità e la libertà.
La scheda
Mariastella Gelmini, nativa di Leno (BS), 37 anni, una figlia, è deputata dal 2006, prima nelle file di Forza Italia poi del Pdl, e ricopre oggi la carica di ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Laureata in giurisprudenza, ha al suo attivo un’intensa carriera politica fin dalla cosiddetta «discesa in campo» di Silvio Berlusconi: presidente del consiglio comunale di Desenzano del Garda, assessore al territorio della provincia di Brescia, consigliere regionale in Lombardia. Il suo nome è legato alla riforma della scuola e dell’università italiana. La riforma complessiva della scuola sarà un lungo processo per mettere lo studente italiano alla pari con gli studenti dei Paesi più progrediti d’Europa, e per introdurlo con maggiori possibilità nel mondo del lavoro.