In viaggio tra i pellegrini
I ragazzi. In Basilica Francesco, Antonio, Guglielmo, Lavinia, Daniele, Davide, Dhanvjaya ci sono arrivati a piedi. Hanno tutti tra gli otto e i dieci anni. Sono partiti alle otto e mezzo del mattino da Voltabarozzo, un paese nell’immediata cintura urbana. Tre mamme e due nonne al seguito, cartellino al collo e tanta voglia di vedere quello che per loro è soltanto «il Santo amico di tutti». «Abbiamo visto lo scheletro – dicono i ragazzi –. Ora sappiamo com’era e lo racconteremo agli altri». Tra loro c’è Antonio: si chiama così «perché i miei genitori si sono incontrati davanti alla Basilica».
Matteo, sette anni, è in coda da due ore e un quarto. «Sant’Antonio? Per me è un grande santo, me lo dice sempre la mia nonna. E se c’è tutta questa gente ci sarà un motivo. Anzi, penso che sia il più grande del mondo. Però, che fatica stare qui in coda!».
Le famiglie. In fila troviamo numerosi nuclei famigliari con bambini piccoli, spesso nascosti dal tettuccio del passeggino, calato sul viso per proteggerli dal freddo. In attesa di entrare in Basilica ci sono Annarita Cagnin con il marito Ruggero Checchin. «Da sempre abbiamo un legame speciale con il Santo – raccontano –. Ha accompagnato la nostra infanzia, la nostra giovinezza. Quando eravamo fidanzati venivamo in Basilica, poi da giovani sposi e, più avanti, con i nostri tre figli. Siamo venuti per chiedere ad Antonio di darci la forza: si viene qui, si ricaricano le pile e poi si torna a casa ad affrontare la vita di tutti i giorni».
Angela è una giovane madre. Con sé, di primo mattino, ha portato i suoi tre figli, Francesco di 13 anni e Marta e Benedetta,gemelle di 9 anni. «Sant’Antonio ha ancora molto da dire, ai grandi come ai piccoli». Poco più in là, un’altra madre. Ha i capelli corti e bianchi, che non nasconde. «Sant’Antonio è importante per me, ma soprattutto lo era per mia madre, a lui devotissima. Lei ha sempre avuto la certezza che sia stato il Santo a salvare mio figlio. Quando il bambino aveva due anni, si era versato del liquido bollente addosso. È stato a lungo tra la vita e la morte. Lei invocava continuamente sant’Antonio, era sicura che mio figlio ce l’avrebbe fatta. E così è stato. Oggi ha 39 anni». Davide ed Eva sono accompagnati dai figli Andrea e Gianmarco. «Quando ero piccolo – dice Davide – venivo con mio padre: sono esperienze che si tramandano. In un mondo così materialista hai bisogno di agganciarti a qualcosa che voli un po’ più in alto della macchina di lusso o del capo firmato. Sant’Antonio ci ha trasmesso un invito alla preghiera e alla pace. Mi ha sempre colpito il fatto che lo venerino non solo i cristiani, ma anche musulmani e induisti…».
I giovani. «Arrivo dalla provincia di Venezia. Sono qui per dire grazie – racconta Anna Paola –. I miei genitori vennero in Basilica a chiedere un dono che sembrava ormai impossibile: la mia nascita. Se esisto, è grazie a questo Santo, che ora voglio conoscere di persona». Con la loro sola presenza i giovani raccontano il senso più profondo di queste ossa scurite contenute nella piccola urna di vetro. Alessandro, musicista, arriva da Cecina. L’abbigliamento è in perfetto stile metal: capelli con la cresta e piercing sul labbro. «Lo so, non si direbbe, eppure ho molta fede – afferma –. E poi l’abito non fa il monaco. Mi trovavo da queste parti, non potevo non visitare le spoglie del Santo». «Se capiterà di nuovo sarà forse tra cent’anni – aggiunge Laura, 15 anni, che sogna di diventare psicologa –. Volevo esserci, desideravo vivere questa pagina di storia senza che me la raccontassero altri». Quella che giunge, ogni giorno senza mai una smentita, da questo fiume di giovani, è una piccola grande lezione di fede, ma soprattutto di speranza.
I primi. Ivo Toniolo è di Camisano Vicentino, ha 54 anni. È stato lui il primo pellegrino a varcare la soglia della Basilica il primo giorno dell’Ostensione. Il primo di una lunghissima, interminabile schiera di devoti che, a migliaia dopo di lui, hanno voluto incontrare, anche per pochi secondi, il loro Santo, il santo degli umili. «Sono arrivato alle tre e mezzo. A sant’Antonio mi unisce un legame che è difficile raccontare, tanto è profondo. A breve diventerò nonno. Voglio affidargli questa vita, prima ancora che venga alla luce, ma soprattutto dopo. Perché possa trovare un mondo di pace, lontano dalle guerre, dalla fame, dalla povertà». Anche il primo gruppo è vicentino. Sono giunti da Chiampo con due pullman. «Appena saputo dell’Ostensione, ci siamo organizzati, ma, viste le richieste, saremmo dovuti partire almeno con dieci pullman». Con Ivo e il gruppo di pellegrini di Chiampo, quella mattina sono più di un migliaio a riempire il sagrato prima che le porte della Basilica si schiudano per accogliere i pellegrini. Pellegrini che diventeranno oltre duecentomila alla fine dei sei giorni di Ostensione. Nemmeno gli uomini della sicurezza hanno mai visto un simile fiume ininterrotto di persone; così tante in poco tempo, e così incredibilmente ordinate, ben diverse dalle folle degli stadi e dei concerti.
A piedi. Il vero pellegrinaggio comporta sacrificio. Tra i pellegrini molti hanno deciso di suggellare questo momento raggiungendo a piedi Padova, e la Basilica: ognuno con la propria andatura, con o senza allenamento, perché l’importante è arrivare alla meta. Tra loro, c’è chi arriva da Abano Terme, immediata periferia della città: «Ho chiesto una grazia al Santo e dovevo arrivare dopo aver fatto un bel po’ di penitenza. Sono partito alle cinque. Non pensavo di trovare tanti fedeli».
I gruppi. C’è un silenzio che sferza l’aria. Un piccolo gruppo prega raccolto, con voce sommessa. È di Zugliano, vicino Thiene (VI). «Nella nostra chiesa abbiamo una reliquia dell’avambraccio sinistro di sant’Antonio. Da noi, poi, tanti anni fa è avvenuto un fatto miracoloso: il 13 giugno sant’Antonio ha salvato un bambino che stava morendo. Da allora lo veneriamo con due processioni: una il 13 giugno e l’altra la seconda domenica di novembre. Sono eventi molto sentiti; perfino i giovani, che spesso non credono a nulla, vengono da sant’Antonio. Tra i presenti, in tanti hanno ricevuto grazie. Tra loro una bambina di pochi mesi, che si stava soffocando con un rigurgito». Un altro gruppo arriva dalla Sicilia, uno dalla Puglia. «Noi – dice Giovanni, di Foggia – abbiamo padre Pio e quindi ho lasciato due messaggi, uno a padre Pio e uno a sant’Antonio, per la pace nel mondo. Perché dobbiamo pregare per gli altri e non solo per noi».
Dal mondo. Vengono da ogni parte d’Italia – lo rivelano tutti i dialetti –, ma anche dall’estero. I pullman segnalano la provenienza: Portogallo (il Paese natale del Santo), Austria, Belgio, Paesi dell’Est. E poi Libano e, per chi è riuscito a organizzarsi, anche Sudamerica. Serena, da sette anni guida turistica, è qui con un gruppo di portoghesi. Racconta: «Vedo gente piangere. Al di là di questo evento, c’è sempre un rapporto molto forte con il Santo. I portoghesi e i brasiliani sono molto devoti. Secondo me gli stranieri si commuovono più di noi... anche gli imperturbabili tedeschi».
Roger Marie, 45 anni, spinge il passeggino del figlioletto che, a quattro anni, parla già tre lingue. È nato a Kinshasa, nel Congo Belga, e lavora come consulente aziendale in proprio, girando tutt’Italia. Il suo legame con sant’Antonio l’ha stretto in Africa, quand’era ancora bambino. «Quante volte l’ho invocato quando ho lasciato il mio Paese e, da immigrato, ero spesso costretto a fare i conti con tante porte sbattute in faccia – dice –. Voi occidentali siete complicati, sempre di fretta. Il Santo invece è semplice, ha la stessa semplicità di noi africani: è questa che mi unisce a lui, ed è questa che chiedo per il mondo».
Il Santo di tutti. Amila e Givan, nemmeno 30 anni, sono pazientemente in fila. «Veniamo dallo Sri Lanka ma abitiamo a Padova – raccontano sorridenti –. Nel nostro Paese ci sono più di cento chiese dedicate al Santo: è una figura amatissima, molto venerata. Siamo buddisti, ma quando siamo arrivati qui a Padova non avevamo una nostra chiesa nella quale pregare. Abbiamo allora deciso di venire al Santo. Da quel momento ogni domenica ci rechiamo in Basilica, preghiamo, facciamo le offerte… in fondo, Dio è lo stesso».
I miracoli. Sono tanti, ognuno ha ricevuto qualcosa. «Mi trovavo in ospedale dopo un’operazione ed ero in fin di vita. I medici avevano già detto che non c’era più nulla da fare – racconta una signora settantenne –. So solo che il Santo mi apparve in sogno con il bambino in braccio e mi disse: “Tu non morirai”».
Pia Francesca Antonia si chiama Pia in onore di padre Pio. E Antonia perché al momento del parto aveva il cordone ombelicale che faceva ben tre giri attorno al corpicino. L’ostetrica disperava di salvarla, la madre allora invocò sant’Antonio e in quel momento la piccola si mise a piangere, viva. «Sono infermiera da trentadue anni a Padova e forse con il mio lavoro – dice – non ho deluso le aspettative di questi due santi». Marito e moglie di mezza età sono giunti in treno da Caserta. «Siamo qui – afferma lui – perché in questi giorni devo subire un trapianto di fegato. È già la terza volta che mi rimandano la data, magari è successo proprio perché potessi essere qui, adesso. Io ho fiducia».
Qualcuno è venuto per curiosità, qualche altro per turismo, finendo comunque dentro uno straordinario fiume di devozione. Quasi tutti, però, il viaggio in Basilica l’hanno pensato e aspettato come un desiderio che si compie. Lui, il Santo, ha atteso tutti. Proprio tutti. In questo lungo viaggio durato sei giorni, pur nello spazio di pochi attimi, ha incrociato le storie di ciascuno. Parlando a ognuno, ne siamo certi.