Violenza: la peggiore

Il bambino che ha subìto abuso sessuale deve saperlo dimostrare in modo chiaro per essere creduto da giudici, rivivendo più volte l’ignominia patita.L’adulto deve imparare a conoscere i comportamenti con cui il minore tenta di esprimere questa sofferenza.
10 Maggio 1998 | di

Nelle aule dei tribunali, sempre più di frequente, si tengono processi che sono una tragedia nella tragedia: si tratta di bambini che hanno subìto violenza sessuale, spesso all'interno della famiglia, da parte di genitori o di adulti che erano, o meglio, avrebbero dovuto essere, un riferimento affettivo ed educativo per loro.

Il bambino, o la bambina, costretti a sottostare agli impulsi sessuali di un adulto, sicuramente portatore di gravi disturbi affettivi e sessuali, devono dimostrarlo in modo chiaro e preciso per essere creduti dai giudici. Diventano, così, testimoni del danno patito. Il più delle volte il bambino o la bambina-vittima è anche l'unico testimone dei fatti. Nessun altro era vicino a loro quando subivano questa violenza che tanto profondamente incide sull'equilibrio della personalità , compromettendone un sano sviluppo.

E la loro testimonianza, nelle aule del tribunale, è fondamentale.

Nella maggioranza degli abusi si tratta di bambine verso cui si rivolgono le distorte attenzioni sessuali del padre o di chi ne fa le veci.

È una violenza che suscita in noi emozioni fortissime, spesso così insopportabili da spingerci a negare gli avvenimenti ('Non è vero... non può essere possibile... È una persona così perbene, così affettuosa, quel papà ... devo ammettere che è un violento, ma è impossibile che arrivi a tanto'), a pensare che forse sono il frutto della fantasia della bambina ('Come può una bambina tanto piccola ricordare... si sarà  sognata... Avrà  guardato troppo la televisione'), o addirittura a ritenere la rivelazione di abuso il frutto di una deliberata volontà  di mentire ('Sarà  stata spinta dalla mamma a dire queste cose... Vorrà  vendicarsi perché il papà  non le compra i giocattoli... Vuole mettere in cattiva luce suo padre).

E quando si riesce a tenere a bada la tendenza a negare realtà  così terribili, che fanno dubitare della nostra capacità  di adulti di metterci dalla parte dei bambini per proteggerli e sostenerli; quando si ammette che la bambina è stata violata nella sfera più intima da chi invece avrebbe dovuto proteggerla, si affaccia un'altra tentazione. Quella che simili spinose questioni vanno risolte in famiglia, sono 'segreti di famiglia' di cui non è bene parlare, che ogni famiglia deve risolvere al proprio interno ('Ha giurato alla moglie che cambierà  e non lo farà  più... Non si può rovinare la famiglia... La bambina capirà  che il papà  in fondo le vuole bene'). Sono pericolose conclusioni, che cercano di mettere una pezza sul problema, rischiando di farlo incancrenire.

L'abuso sessuale, quando si è verificato, deve essere affrontato con chiarezza, ponendo al riparo la piccola vittima, aiutandola nelle forme più adeguate ad affrontare il terribile trauma, garantendole quel percorso giudiziario certo non facile, ma il solo in grado di consentirle le prime condizioni per pareggiare i conti dell'ingiustizia patita.

L'offesa è tanto più grave quando non pubblicamente riconosciuta, tanto grave da caricare ancora di più la vittima di sensi di colpa prolungati. Infatti la bambina, proprio perché abusata da una persona con cui esiste un legame affettivo, si sente ingiustamente responsabile dell'accaduto. C'è bisogno, oltre a un intervento psicologico mirato e prolungato, di una voce forte, quella del giudice, che dichiari che la colpa è tutta dell'adulto.

Il fatto che i processi sono lunghi, che la bambina spesso è costretta a raccontare più volte le violenze patite (alla polizia, al giudice per i minori, al giudice del tribunale penale) ed è in questo modo costretta a ripercorrere la violenza, è altra questione: riguarda le lentezze e le mancanze di comunicazione dei luoghi dove si amministra la giustizia. Tuttavia, il fatto che la giustizia è lenta e chieda prove ripetute, non deve farci desistere dal richiedere giustizia.

Solo quando l'adulto ammette le sue colpe e affronta la pena che la società  prevede, solo allora, pur con la massima comprensione umana, si può affermare di aver imboccato la strada della giustizia.

Può essere emblematica la storia di una bambina abusata, che chiameremo Sara.

Nel corso della sua lunga storia di abusi sessuali, Sara ha lanciato molti segnali circa la sua sofferenza, come sa e può, perché, da prestissimo coinvolta in giochi sessuali dal padre, non sa distinguere il bene dal male. Per lei l'abuso diventa problema quando si fa violenza fisica. Sara è piccola, il suo linguaggio è un linguaggio infantile. E questo si rivela uno svantaggio. Quando qualcuno comincia a chiedersi se la bambina non sia esposta a gravi abusi, subito la smentita, peraltro accolta dagli operatori, che a Sara non è il caso di prestare attenzione: è piccola, ha troppa fantasia, spesso dice delle bugie e si inventa le cose. Chi lo dice è il padre abusante, una persona nota, inserita socialmente, che si esprime con un linguaggio chiaro e convincente. Sa ben difendersi. Per molto tempo viene creduto.

Perché il linguaggio infantile vale meno? Certo, il linguaggio del bambino è pieno delle sue emozioni di gioia o di paura, è costruito in forme molto personali, cosicché spesso il bambino parla in codice, ma questo non deve impedire la credulità  di un bambino che soffre.

Troppo spesso con i bambini abusati si esprime la comoda convinzione che il bambino è bugiardo. E magari lo è, ma non perché si inventa le violenze, ma perché si sente così in colpa che, da una parte, vuole aiuto e, dall'altra, cerca in tanti modi di nascondere la propria terribile situazione. Tanto più che, se c'è possibilità  e capacità  di menzogna considerando il bambino e l'adulto, questa è prima di tutto appannaggio dell'adulto.

Oggi non è più pensabile che un operatore ritenga impossibile l'abuso sessuale; deve invece conoscere con quali comportamenti il bambino tenta di esprimere questa sofferenza.Questo è un modo per uscire dall'adultocentrismo.

Centro contro il maltrattamento

Il Caf - Centro di aiuto al bambino maltrattato e alla famiglia in crisi. È un Centro privato, appoggiato dal comune di Milano, attivo dal 1979. È una struttura ausiliaria dei Servizi territoriali: non li sostituisce, ma offre un servizio specialistico per il recupero terapeutico sia del minore maltrattato che della famiglia maltrattante. Agisce perciò in due direzioni: pronto soccorso contro le violenze in atto, sottraendo i bambini ai maltrattamenti e ospitandoli in un ambiente sereno; intervento sulle famiglie in crisi, individuando i motivi della violenza e mettendo in atto strategie terapeutiche che ne interrompano il circuito ripetitivo.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017