Visits Home, ritornare a casa

I viaggi in Italia sulla scia dei genitori rafforzano nei giovani oriundi l’identità d’origine e alimentano in loro l’interesse per la lingua e la cultura italiana.
17 Gennaio 2005 | di

La visita della delegazione della Regione del Veneto alla comunità  dei nostri corregionali residenti a Perth, ci ha offerto l";opportunità  d";incontrare Loretta Baldassar, professore associato presso il Dipartimento di Antropologia dell";Università  del Western Australia. Conoscevamo la professoressa per la sua partecipazione a convegni tenuti in Italia, e soprattutto per le sue recenti pubblicazioni: Visits Home "; Visite a casa, in cui riporta significative esperienze di ritorni a casa da parte di italo-australiani originari di San Fior, un paese in provincia di Treviso; e, recentemente, il volume Veneti in Australia, Sfide di storia contemporanea , edito a cura dell";Anea, l";Associazione emigrati ed ex emigrati in Australia e nelle Americhe, con il contributo della Regione del Veneto. In quest";ultimo volume "; a cui ha collaborato anche Ros Pesman, professore di Storia all";Università  di Sydney "; Loretta Baldassar, basandosi su ricerche etnografiche, oltre a presentare i problemi e le attese dei veneti della prima generazione, si sofferma su alcune questioni riguardanti le generazioni successive, come la trasformazione della loro identità  e i loro rapporti con l";Italia.
Il nostro colloquio con la professoressa Baldassar si è subito soffermato sul concetto dei ritorni, ripercorrendo il significato delle «visite a casa» di tanti corregionali residenti in Australia, che testimoniano come l";emigrazione sia un fenomeno costante, legato alle loro radici storiche. Un fenomeno che sta coinvolgendo oggi anche le nuove generazioni. «Come antropologa ho constatato che in tanti giovani, che avevano il desiderio di conoscere l";Italia, dopo la loro ";visita a casa"; sono tornati con il proposito di imparare meglio l";italiano, di mantenere le amicizie già  strette, e d";incrementare i rapporti con i parenti conosciuti nel paese dei padri "; ha sottolineato Baldassar ";. Durante la loro permanenza in Italia, è nato un rapporto non solo con il paese visitato, ma anche con la terra dei padri. Sono esperienze che trasformano e maturano le loro identità , li aiutano a scoprirsi italiani».
Segafreddo. Come mai ritiene utili queste «visite a casa» a giovani già  inseriti nella loro patria?
Baldassar.
Essendo nati e cresciuti in una Paese, come l";Australia, multiculturale e multietnico, questi giovani italo-australiani, visitando il Paese d";origine e dopo aver approfondito i loro rapporti con i loro nonni e parenti, ritornano più sicuri della loro identità . Noi, in Australia, viviamo in una società  multietnica e multiculturale: per essere «qualcuno» bisogna avere una propria identità , appartenere ad un";etnia, conoscerne la lingua e possibilmente il suo patrimonio culturale. Lo scoperta della propria identità  per un giovane italo-australiano significa acquisto di sicurezza, allargamento di rapporti con il proprio mondo etnico e possibilità  di dare un personale apporto alla cultura australiana.
Perché ha scelto di fare l";antropologa?
Non è comune trovare degli italiani nei dipartimenti universitari di Antropologia, perché la maggior parte ha scelto Medicina, Legge oppure ha continuato la professione dei loro padri. Nel Western Australia, come negli altri Stati della Federazione, molti sono i discendenti d";italiani che si sono distinti nell";edilizia o negli affari. Per gli italiani, lavorare per se stessi e con la libertà  di organizzare autonomamente il proprio lavoro, è un valore molto forte. Io ho trovato la mia strada dopo una serie di esperienze. Entrata all";Università , volevo divenire insegnante d";inglese e di una materia scientifica in un liceo; ma non essendo stato possibile percorrere quest";indirizzo, ho frequentato i corsi di Antropologia: una materia che aveva già  attirato la mia attenzione.
Dopo il terzo anno di università , con la laurea, ho continuato i miei studi sul fenomeno dell";emigrazione, ed è stato il momento in cui ho cominciato a capire e a riflettere sulla mia esperienza, come figlia di emigranti. Sono figlia di una madre australiana di nascita, discendente di emigrati lombardi; e mio padre è arrivato in Australia nel 1956 da Tarso, in provincia di Treviso, faceva parte del Laguna Veneto Club. Ricordo sempre le sue insistenze affinché partecipassi agli incontri delle associazioni venete, ma io, soprattutto quando avevo 16 o 17 anni, mi trovavo sempre in contrapposizione ai suoi desideri e rifiutavo di aggregarmi a quel «mondo culturale», legato alle sue origini.
Al termine del quarto anno di università , dovendo scrivere una piccola tesi, scelsi proprio la mia esperienza vissuta: la contrapposizione tra le generazioni. Iniziai con una serie di interviste ai figli di soci del Laguna Veneto Club e con mio stupore riscontrai che si autoidentificavano come figli d";italiani, mettendo in crisi l";atteggiamento che invece io avevo avuto negli anni della mia giovinezza. Ho capito l";importanza che il Club aveva per lo sviluppo di questi giovani e il ruolo che per essi aveva il paese nativo dei loro genitori o nonni. Quelle interviste mi hanno suggerito di approfondire il tema scelto, continuando i miei studi; e per convincere mio padre che s";attendeva un mio inserimento professionale, gli promisi che sarei andata in Italia. Una promessa, questa, che egli aspettava da anni! Ricordo sempre quello che mi diceva quando mi contrapponevo ai suoi desideri: «Di sicuro diventerai più italiana se vai in Italia!». Ed è successo proprio così.
Com";è stato possibile che tanti veneti, da contadini siano divenuti piccoli o grandi imprenditori?
Anche prima della loro partenza i veneti erano dei contadini-lavoratori, con esperienze d";emigrazione in Europa. Ricordo i gelatai e quanti andavano a lavorare nei Paesi europei come stagionali, per i quali sia la campagna come il lavoro in fabbrica o in miniera faceva parte della loro vita. L";Australia era per i veneti un";altra «Merica», anche se più lontana degli altri Paesi, dove il lavoro invece che stagionale divenne permanente. Ma le mie ricerche rivelano che venendo in questo continente la loro emigrazione rimase «stagionale» perché oggi, dopo 40 o 50 anni d";emigrazione, essi, se hanno la possibilità , ritornano in Italia ogni anno oppure ogni due anni. È un fenomeno di ritorno che si trasmette dai padri ai figli, ed è sentito come un obbligo morale, legato alla tradizione storica dell";emigrazione del Veneto. La loro esperienza della «visits home», della «casa» sentita come famiglia e centro di affetti, è interessante: quando sono in Australia, vogliono ritornare nel proprio paese, e quando sono in Italia pensano alla casa in Australia. Un conflitto presente in tanti emigranti.
Quali prospettive vede per le giovani generazioni?
Nei miei studi ho trovato che i discendenti d";italiani "; di seconda o terza generazione "; non si autoidentificano come italiani secondo la regioni d";origine dei loro padri, ma secondo l";«italianità  australiana». Le prime generazioni hanno formato le loro associazioni e i loro gruppi secondo le esperienze che condividevano o il dialetto che parlavano, mentre le generazioni native un po"; perché la società  australiana li ha integrati, formano amicizie e comunità  molto più ampie, senza distinzioni tra regioni e del Nord e del Sud Italia. I dati statistici ci offrono la differenza tra i matrimoni delle prime generazioni, che avvenivano anche per procura tra membri dello stesso paese o territorio, dai matrimoni delle nuove generazioni che avvengono ancora tra italiani, ma non della stessa regione.
C";è anche la possibilità  di costruire una rete di rapporti tra le nuove generazioni e le regioni italiane se da parte di queste vengono programmati e realizzati dei programmi con garanzia di continuità . Sono positive le visite culturali, gli stage e gli interscambi tra i giovani dei due Paesi: iniziative già  inserite nei programmi di alcune regioni. In Paesi multiculturali come l";Australia, il Canada o gli Usa, le seconde e le terze generazioni possono avere un";identificazione italiana anche senza la lingua. Parlano tra loro in inglese, però si autoidentificano come italiani di varie provenienze.
Recentemente, nel New South Wales, è sorto un gruppo di giovani di seconda e terza generazione con attività  di animazione sociale e culturale. Gestiscono un programma radiofonico, in inglese, ed hanno pubblicato anche un libro: Doppia identità , con una copertina quanto mai innovativa. Sono i nuovi Wog , un appellativo con cui un giorno si chiamavano gli italiani con significato dispregiativo, divenuto oggi un appellativo d";orgoglio e di vanto, titoli di libri e di programmi Tv.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017