Vittima di pace

Monsignor Bologna, dopo l’8 settembre 1943, rimase in mezzo alla sua gente, e tra loro morì sotto i bombardamenti. Il suo martirio ci aiuta a vedere l’inutilità di ogni guerra.
22 Ottobre 2013 | di

«Ognuno resti al suo posto: in mezzo ai propri fedeli, accanto alla propria chiesa. A prezzo di qualunque sacrificio. È dovere di giustizia e di carità! Le nostre popolazioni ce ne saranno grate: il nostro esempio sarà di conforto e di edificazione. Mai come ora avremo ancora occasione di mostrare il nostro spirito di abnegazione, la nostra assoluta dedizione al bene delle anime. Ricordate, e il nostro ricordo sia per ognuno di noi alto ammonimento: bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis» (il buon pastore dà la propria vita per le sue pecore, ndr).

Sono le mirabili parole dettate con forza evangelica ai suoi preti, subito dopo l’8 settembre 1943, da un santo vescovo di Campobasso-Bojano, monsignor Secondo Bologna. Quelle parole divennero profezia, poiché egli cadde pochissimi giorni dopo, il 10 ottobre di quel 1943, uno degli anni più cruenti della guerra, che vide la progressiva dissoluzione del regime fascista, il collasso dello Stato e la disperazione della nostra gente.
 
Nel 2013 ricordiamo i settant’anni da quei terribili eventi. La storia è «maestra», pur avendo non molti discepoli... Noi, a Campobasso, abbiamo la fortuna di ricordare monsignor Bologna, vescovo in Molise solo dal 1940, ma che lasciò un ricordo perenne di fortezza e di fedeltà. Originario di Cuneo, all’avanzata in città delle truppe canadesi, presentendo aria di vendetta da parte dei tedeschi e intenzione di bombardamenti sulla città da parte degli alleati, il 10 ottobre 1943, nella Messa in cattedrale, ebbe a dire un’espressione che lo rese martire e santo nel cuore della sua gente: «Signore, se per la salvezza di Campobasso occorre una vittima, prendi me, ma salva il mio popolo». E il Signore lo prese in parola. Infatti, la sera, al temine di una convulsa giornata spesa in svariate inutili trattative di pacificazione, mentre, con un’eroica suora accanto, recitava il rosario nella cappella dell’episcopio, fu colpito alla testa da una bomba, una delle poche cadute in città. Portato nella vicina caserma, spirò poco dopo, a 45 anni, mentre la suora sarebbe morta il giorno dopo, martire anch’essa per la pace. La sua uccisione provocò in tutti, tedeschi e alleati, un’immensa impressione, tanto da fermare ogni rappresaglia e ogni bombardamento. Oggi lo possiamo dire con chiarezza: fu lui dal cielo a salvare la città, proprio come aveva chiesto al Signore. Vittima di pace per il suo popolo.
 
A settant’anni dall’evento, noi ne facciamo grata memoria, attualissima, anche per prepararci a vivere la giornata della pace che si svolgerà proprio a Campobasso la notte del 31 dicembre, e che avrà come tema, datoci dalla bella figura di papa Francesco, Fraternità, fondamento e via per la pace. Campobasso è stata scelta dalla Cei come «città di pace» per tutto l’anno 2014, proprio in occasione del centenario della prima guerra mondiale del 1914-’18. C’è ancora chi la chiama «la grande guerra». È un termine evocativo che nasconde però la triste realtà, quella che, invece, il saggio e mite papa Benedetto XV ben comprese, definendo il conflitto l’«inutile strage». E non si dica che è solo questione di nomi. Provate a chiamare l’evento del 1914-’18 «inutile strage» anziché «grande guerra» davanti a una platea di ragazzi a scuola. Provate a vedere nella guerra, in ogni guerra, non gli aerei in volo, ma la fame, la miseria conseguente, l’inutilità provocata da tanto spreco di risorse sottratte allo sviluppo.

Per costruire la fraternità, allora, non servono bombe, ma occorre chi si sacrifica per gli altri, chi si offre per primo a lavare i piatti e a pulire i bagni, chi perde tempo e denaro per la crescita altrui. Occorrono, cioè, delle vittime! Con un cuore grande, gratuito, mite. Come quello di Gesù. Come quello del santo vescovo Secondo Bologna. 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017