Voglia di unità

Lo scandalo delle divisioni tra i cristiani fu uno dei motivi che portò papa Giovanni XXIII a convocare il concilio Vaticano II. Frutto dell’interesse del concilio per tale problema fu il decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio.
05 Settembre 1996 | di



   
   
     

In questo numero:

     

           
  • Sintesi del documento conciliare.        
  • Intervista al cardinal Franz Kà¶nig.        
  • Uno sguardo al futuro, di Giacomo         Panteghini.        
  • Dizionarietto

     

La struttura del       decreto è abbastanza semplice, ma il contenuto è molto ricco e articolato.       Consta di tre capitoli, preceduti da un breve proemio (cioè introduzione).       Il primo capitolo è dedicato ai princìpi cattolici dell`€™ecumenismo; il       secondo ne riguarda l`€™esercizio (sempre da un punto di vista generale); il       terzo, infine, tratta dei rapporti con le chiese e le comunità  cristiane       separate (cioè con gli ortodossi, i protestanti e gli       anglicani).
Nell`€™introduzione appare subito lo spirito nuovo che anima       la chiesa cattolica nel rapporto con gli altri cristiani. Si afferma       infatti che le diversità , più che sul piano della fede, sono su quello del       pensiero, della teologia. Inoltre si dice che è lo Spirito Santo stesso       che ha suscitato, e ancora anima, l`€™impegno ecumenico, il quale è tra i       «segni dei tempi» che la chiesa deve saper cogliere. Infine, si riconosce       senza chiusure, riserve o diffidenze la validità  del cammino ecumenico già        percorso in gran parte fuori dalla chiesa cattolica, invitando i cattolici       a farlo proprio «con animo lieto».

I       PRINCàŒPI

Il principio base cui ogni ecumenismo deve       rifarsi è espresso con un lungo ragionamento, denso di contenuto       teologico, che apre il capitolo dedicato ai Princìpi cattolici       sull`€™ecumenismo. Si può riassumere nel concetto di «unità  e unicità  della       chiesa»: questa, cioè, è la chiesa ideale, come Cristo l`€™ha voluta, per la       quale ha pregato e a cui ha assicurato la sua costante presenza,       rafforzata dall`€™invio dello Spirito di amore. Due gli elementi richiamati:       l`€™eucaristia, che significa e produce l`€™unità ; il sacramento nuovo       dell`€™amore-comunione, che caratterizza i veri discepoli di Cristo.
Se       questo è l`€™ideale della chiesa una e unica, come porsi di fronte alla       realtà  di una chiesa divisa? Il decreto conciliare riconosce, intanto, la       varietà  e complessità  delle cause storiche che hanno portato alle       divisioni, «talora `€“ si ammette `€“ non senza colpa di uomini d`€™entrambe le       parti». La diversità  non sta tanto nella fede, quanto nella dottrina e       talora nella disciplina. Infatti molti elementi, buoni ed eminenti, che       appartengono alla chiesa di Cristo (parola di Dio scritta, vita della       grazia, fede, speranza, carità , altri doni dello Spirito...) sono presenti       in varia, benché imperfetta, misura anche nelle diverse chiese. Così pure       sono presenti in esse, in modi diversificati, gli strumenti della grazia,       come i sacramenti; per cui esse stesse sono in qualche modo strumenti di       grazia e di salvezza. Certo, si ammette che la chiesa cattolica possiede       la pienezza della chiesa di Cristo, anche se si precisa che la pienezza       vera è solo quella escatologica, cioè della fine dei tempi, «la pienezza       della gloria eterna nella celeste Gerusalemme».
Il capitolo si conclude       trattando esplicitamente dell`€™ecumenismo, come mezzo per realizzare       l`€™ideale di chiesa una e unica. Dopo aver riconosciuto la validità  del       cammino sin qui percorso per dono e ispirazione dello Spirito Santo e aver       descritto i vari momenti e aspetti di un atteggiamento ecumenico, il       documento esprime la convinzione che alla base di ogni impegno ecumenico       ci deve essere in ogni chiesa e in ogni cristiano una coraggiosa verifica       della propria fedeltà  a Cristo, quindi la disposizione a rinnovarsi e       riformarsi continuamente.

LA PRATICA

Il       titolo, Esercizio dell`€™ecumenismo, non deve far pensare a suggerimenti o       direttive di tipo pratico. Siamo ancora a livello di criteri generali, di       orientamenti di fondo per la prassi; con il frequente richiamo a talune       enunciazioni di principio espresse nel primo capitolo. Si ribadisce subito       il concetto fondamentale: il vero ecumenismo riguarda essenzialemente       tutti i cristiani, pastori e fedeli; esso può nascere solo dalla piena       fedeltà  a Cristo e, quindi, dalla continua riforma o rinnovamento della       chiesa e dei singoli cristiani. È un ecumenismo di tipo istituzionale, che       riguarda la struttura, la vita intima della chiesa: leggi, disciplina, il       modo stesso di annunciare la verità .
Il decreto parla poi di un       ecumenismo spirituale. Questo si basa sempre sulla conversione del cuore e       sulla santità  di vita, per arrivare, con la grazia dello Spirito, a «una       sincera abnegazione, umiltà  e mansuetudine nel servire, e fraterna       generosità  di animo verso gli altri». In particolare l`€™ecumenismo       spirituale si concreta nella preghiera, che è l`€™anima del movimento       ecumenico. Preghiera anche (anzi, soprattutto) con gli altri cristiani,       specialmente in talune circostanze più o meno ufficiali e stabilite (fra       tutte si ricorda la settimana di preghiere per l`€™unità  dei       cristiani).
Il documento prosegue parlando dell`€™ecumenismo teologico.       Ricorda innanzitutto la necessità  della reciproca conoscenza tra le chiese       circa la dottrina, la storia, la vita spirituale e liturgica, la       psicologia e la cultura. Sottolinea, poi, l`€™importanza dello studio della       teologia e della formazione dei sacerdoti, che tenga conto dell`€™ottica e       della sensibilità  ecumenica.
Il capitolo si conclude parlando       dell`€™ecumenismo operativo. Si tratta di una cooperazione, o lavoro comune,       tra i cristiani a servizio dell`€™uomo: nella difesa della persona umana,       nella promozione della pace e della giustizia sociale, nell`€™impegno per lo       sviluppo della cultura, delle scienze e delle arti; per eliminare le       grandi sventure della fame, delle calamità  naturali e       dell`€™analfabetismo.

LE CHIESE       SEPARATE

Intitolato Chiese e comunità  ecclesiali separate,       quest`€™ultimo capitolo propone la visione cattolica delle altre chiese       cristiane, e quindi dà  l`€™avvio al rinnovato dialogo ecumenico con loro.       Due sono le parti di questo capitolo, che si rifanno ai due grandi       raggruppamenti in cui si raccolgono le chiese cristiane non cattoliche: le       chiese orientali, o ortodosse; e le chiese o comunità  ecclesiali separate       dell`€™Occidente, cioè protestanti e anglicani (per maggiori chiarimenti, si       veda il riquadro «Cristiani o cattolici?»).
Le chiese orientali sono       sentite più vicine. Di esse si ricorda il grande tesoro di cui sono       portatrici; cioè la ricchezza della loro tradizione, che si esprime nella       spiritualità , nella liturgia, nella legislazione canonica e nella       teologia. Il decreto si sofferma soprattutto a illustrare i valori della       spiritualità  e della liturgia, che possono diventare la base anche per       arrivare a ristabilire l`€™unità  con queste chiese.
Anche per le chiese e       comunità  cristiane dell`€™Occidente ci si sforza di mettere in rilievo i       valori positivi e i motivi di concordia; ammettendo, però, sinceramente       che tra esse e la chiesa cattolica esistono «importanti divergenze» anche       di «interpretazione della verità  rivelata» (divergenze, peraltro, che sono       abbastanza profonde anche tra le varie confessioni di questo vasto       raggruppamento). Valori ricordati: la comune fede in Gesù Cristo, figlio       di Dio, unico mediatore e salvatore; «l`€™amore e la venerazione e il quasi       culto delle Sacre Scritture» (con la precisazione della divergenza con i       cattolici nel comprendere il rapporto tra Scrittura e chiesa); nei       sacramenti, almeno per il battesimo («vincolo sacramentale dell`€™unità ») e,       seppure in modo parziale, nell`€™eucaristia; nell`€™impegno di una vita       cristiana intensa di preghiera, di spiritualità  e di buone opere       (nonostante divergenze nell`€™applicare il vangelo ad alcuni temi       morali).
Il decreto conclude con parole davvero ecumeniche. Il concilio       «ripone tutta la sua speranza nell`€™orazione di Cristo per la chiesa,       nell`€™amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito Santo».

     

A colloquio con il cardinale Franz       Kà¶nig

DA RIVALI A       FRATELLI

Ecco che cosa ha significato il lavoro del concilio sul       versante dell`€™ecumenismo: ne parla un cardinale che fu uno dei       protagonisti di quella ricca stagione della chiesa.

Novantuno primavere. Questo modo di indicare gli anni vissuti,       troppe volte suona eufemistico, cioè cortesemente falso, perché rughe e       acciacchi rivelano piuttosto i segni lasciati dagli autunni e dagli       inverni trascorsi. Ma nel caso del cardinale Franz Kà¶nig, arcivescovo       emerito di Vienna, l`€™espressione è del tutto azzeccata. In buona salute       fisica, ancora lucidissimo, il tratto sempre nobile e insieme affabile, il       novantunenne porporato ricorda, ancora con emozione, gli anni del       concilio, di cui fu uno dei protagonisti.
«Ero appena stato creato       cardinale da papa Giovanni, da pochi mesi successore di Pietro, quando       poco dopo, il 25 gennaio 1959, nel discorso a San Paolo fuori le mura,       ecco la sorpresa dell`€™annuncio del concilio. Fui chiamato a far parte       della commissione preparatoria. Ma il ricordo più bello è legato       all`€™apertura del concilio, l`€™11 ottobre 1962: il lunghissimo corteo dei       vescovi per piazza San Pietro; lo spettacolare colpo d`€™occhio della marea       dei padri conciliari sulle tribune allestite nella basilica; l`€™arrivo del       papa sulla sedia gestatoria... E, su tutto, l`€™enorme impressione destata       dal suo discorso carico di ottimismo, con l`€™invito ad aprire il cuore alla       speranza, senza dare ascolto ai `€œprofeti di sventura`€. Ricordo l`€™emozione       e la difficoltà  delle prime sedute e discussioni: nessuno aveva esperienza       diretta di un concilio. Fu necessario un certo periodo di rodaggio, per       prendere confidenza con... lo Spirito Santo».

Msa. Si può       dire che il Vaticano II fu un concilio ecumenico non solo nel senso       generico di «universale», cioè di adunanza di tutta la chiesa, ma anche in       quello più stretto di «impegno per realizzare l`€™unità  dei       cristiani»?
Kà¶nig. Questo scopo ecumenico in senso stretto era       stato proclamato solennemente da Giovanni XXIII già  nel documento di       convocazione Humanae salutis, oltre che nel già  citato discorso del primo       annuncio in San Paolo fuori le mura (significativamente, al termine della       settimana di preghiera per l`€™unità  della chiesa). Tra i molti testi da       sottoporre alla discussione conciliare, approntati dalla commissione       preparatoria, ben tre riguardavano l`€™ecumenismo. Furono subito rinviati al       neonato Segretariato per l`€™unità  dei cristiani (ora Pontificio consiglio       per la promozione dell`€™unità  dei cristiani), presieduto dal benemerito       cardinale Bea, perché fossero rielaborati e risistemati in un testo nuovo.       Questo fu preso in esame e discusso a fondo nel corso della seconda       sessione (1963); ripreso, rifinito e approvato l`€™anno dopo, al termine       della terza sessione.

Si tratta del decreto Unitatis redintegratio,       che riassume la posizione del concilio circa l`€™ecumenismo.
Sì, ma non è       l`€™unico documento conciliare che parla di ecumenismo. Essenziali, per       esempio, per il riconoscimento del valore e dei valori delle altre chiese       e per i rapporti di fraternità  e collaborazione con esse, sono le       indicazioni contenute nella costituzione sulla chiesa, Lumen gentium. Da       ricordare, poi, la Gaudium et spes, specialmente per il dialogo con le       religioni non cristiane e con i non credenti. A questi ultimi due tipi di       dialogo sono dedicati due documenti specifici: la dichiarazione Nostra       aetate (sulla relazione della chiesa con le religioni non cristiane) e la       dichiarazione Dignitatis humanae (sul diritto alla libertà        religiosa).

Qual è la novità  più rilevante e qualificante       del decreto sull`€™ecumenismo, che è ritenuto tra i più importanti del       concilio?
In primo luogo, direi proprio la presa di coscienza       della gravità  del problema ecumenico. Cito solo una frase che sta       all`€™inizio del decreto: «La divisione non solo contraddice apertamente       alla volontà  di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la       santissima causa della predicazione del vangelo a ogni creatura». Ora, più       che singole affermazioni o considerazioni, la cosa davvero nuova è il       cambiamento di mentalità  che questo decreto introdusse nella chiesa. I       cristiani delle chiese separate non sono più visti come rivali o       antagonisti, ma come veri fratelli. Ci si mette al loro fianco per       camminare insieme. Dialogo e collaborazione sono il nuovo atteggiamento       della chiesa cattolica. Questo vale anche nei confronti del movimento       ecumenico, in particolare del Cec (Consiglio ecumenico delle chiese), che       da parte cattolica fino allora era stato dapprima osteggiato e poi visto       con diffidenza e molte riserve. Anzi, il concilio afferma esplicitamente       che il movimento ecumenico è sorto «per grazia dello Spirito Santo»;       quindi, «esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei       tempi, partecipino con slancio all`€™opera ecumenica». Naturalmente senza       perdere l`€™identità  cattolica.

Come fu il cammino del       decreto? Questa novità  sostanziale richiesta ai cattolici, di cambiare       radicalmente atteggiamento e mentalità , non sollevò timori e opposizioni       nei padri conciliari?
In realtà  le contestazioni non       mancarono, e anche molto vivaci e ostinate. I più conservatori (cito per       tutti la figura più nota del cardinale Ottaviani) accusavano il testo       proposto di indifferentismo, relativismo (cioè, tutte le chiese e le fedi       sono uguali, non ve n`€™è una vera e assoluta) e di irenismo (cioè, cercare       una pacificazione a qualsiasi costo, anche sacrificando verità  o pincìpi       giudicati assoluti, perciò irrinunciabili). Secondo costoro, veniva messa       in discussione e in pericolo la stessa fede cattolica. Gli oppositori si       rivolsero, addirittura, direttamente al papa, perché intervenisse e       bloccasse il testo in discussione. Ma Paolo VI ha sempre lasciato la       massima libertà  ai padri conciliari, accettando la decisione della       maggioranza di accogliere il testo. Peraltro, al momento della votazione       finale, tutti furono sorpresi della esiguità  dei voti       contrari.

Oltre a questa nuova mentalità  che il concilio       propone, qual è la base profonda, il nucleo centrale del vero       ecumenismo?
Ricorderei soprattutto due concetti tra loro       connessi. Il primo riguarda il rinnovamento e la riforma della chiesa, per       una maggiore fedeltà  alla sua vocazione: qui sta la spinta e la garanzia       di un cammino autenticamente ecumenico. In secondo luogo, la conversione       del cuore, «poiché `€“ afferma il decreto `€“ il desiderio dell`€™unità  nasce e       matura nel rinnovamento della mente, dall`€™abnegazione di se stessi e dal       pieno esercizio della carità ».
Vale la pena di ricordare che per oltre       mille anni la chiesa è stata sostanzialmente unita. La prima grande       frattura («scisma», con termine greco) risale, infatti, al 1054, con il       distacco da Roma dei patriarcati orientali, che diventarono la chiesa       ortodossa. Passarono altri secoli prima delle grandi divisioni, nel       Cinquecento, delle chiese riformate (luterane e calviniste) e della chiesa       inglese (latinamente, anglicana). Ricostituire l`€™unità  non è, quindi,       impossibile; anche se è un cammino lungo, difficile, che deve coinvolgere       non solo i vescovi e i teologi, ma anche tutti i semplici       fedeli.

Come fu accolto nella chiesa cattolica il decreto       Unitatis redintegratio?
Inizialmente ci fu addirittura una       grande euforia, come per tutto il rinnovamento conciliare. Tuttavia, in       molti paesi la gran parte dei cristiani comuni non furono forse abbastanza       coinvolti. Non mancarono, poi, crescenti malumori e timori in tanti       fedeli; in parte anche dovuti al fatto che le novità  conciliari spesso       sono state introdotte dall`€™alto, quasi imposte, senza la dovuta       preparazione e le necessarie spiegazioni utili alla loro comprensione e       assimilazione. Specie nei paesi in cui il confronto con altre chiese       cristiane è più vivo e continuo, alcuni cattolici temettero di perdere la       loro identità , addirittura il loro prestigio.
Però ci fu anche una       parte della chiesa che giudicò troppo timide le aperture, troppo guardingo       il confronto e troppo lento il processo di unità . Pochi anni fa proprio in       Italia, in piazza San Marco a Venezia (ricordo ancora l`€™acqua alta...),       una persona mi chiese, preoccupata, quando si sarebbe celebrato un nuovo       concilio, un Vaticano III, per risolvere i nuovi problemi della chiesa,       tra i quali anche la sempre aperta divisione tra i cristiani. Ho risposto       che sarebbe stato già  abbastanza se si fossero letti, assimilati e attuati       i documenti del Vaticano II.

Ci furono anche delle       conseguenze concrete sul piano operativo e dei fatti?
Le       conseguenze furono molte. Il decreto impresse una grande accelerazione       all`€™azione ecumenica dei cattolici. Il Segretariato per l`€™unità  dei       cristiani istituì diverse commissioni di dialogo bilaterale con le varie       chiese, che portarono a grandi passi in avanti, anche se ignorati dal       grande pubblico. Lo stesso spirito che ispirò la Unitatis redintegratio,       portò all`€™attenzione rispettosa e al dialogo con i credenti di altre       religioni e con i non credenti; anzi, furono istituiti due appositi       organismi («segretariati»). Altro momento fondamentale fu il Direttorio       per l`€™applicazione delle decisioni del concilio Vaticano II       sull`€™ecumenismo (Ad totam ecclesia). In senso più largo, ma anche più       profondo, può considerarsi frutto di questa nuova mentalità  ecumenica il       grande incontro di tutti i capi delle grandi religioni, tenutosi ad Assisi       proprio dieci anni fa. Ma molti gesti e documenti dell`€™attuale papa       sarebbero incomprensibili se non ci fosse stato questo documento del       Vaticano II. In particolare mi sembra significativa l`€™enciclica Ut unum       sint, in cui il papa si dichiara pronto a discutere anche il suo ruolo di       «primato», se questo può essere di qualche ostacolo nel cammino verso       l`€™unità .

Il messaggio del concilio dunque, è ancora       attuale?
Certo. Ho appena citato l`€™azione e i documenti di       papa Wojtyla. Illuminante, a questo proposito, la recente lettera       apostolica Tertio millennio adveniente. Il papa, dopo aver ribadito (n.       18) che il Vaticano II è stato «un evento provvidenziale», afferma che «in       nessun altro concilio si è parlato con altrettanta chiarezza dell`€™unità        dei cristiani, del dialogo con le religioni non cristiane...» (n. 19).       Parlando, poi, della preparazione al grande giubileo, precisa: «Tra i       peccati che esigono un maggiore impegno di penitenza e di conversione,       devono essere annoverati certamente quelli che hanno pregiudicato l`€™unità        voluta da Dio per il suo popolo» (n. 34). Quindi anche per l`€™appuntamento       della chiesa con il Duemila, l`€™impegno ecumenico risulterà  essenziale e       qualificante.

CHI È IL CARDINAL Kà–NIG

Franz       Kà¶nig è nato nel 1905 nella Bassa Austria. Sacerdote dal 1933, è stato       nominato arcivescovo di Vienna nel 1956. Creato cardinale nel primo       concistoro di papa Giovanni, fu uno dei protagonisti del Vaticano II ed       ebbe un ruolo di primo piano nella chiesa del dopoconcilio. In       particolare, tenne i contatti con le chiese non solo cattoliche dell`€™Est       europeo sottoposte alla persecuzione dei regimi comunisti. Convinse il       cardinale Mindszenty a lasciare Budapest, in modo da favorire il ritorno a       rapporti normali tra Ungheria e Santa Sede. Nel 1965 fu messo a capo del       Segretariato per i non credenti, la cui opera portò, fra l`€™altro,       all`€™importante documento del 1968 sul dialogo con gli atei. Nel conclave       del 1978 fu tra i più accreditati «papabili» per succedere a papa Montini.       Nel 1985 si è ritirato dalla guida della diocesi e vive in un decoroso       appartamento del pensionato per anziani Sankta Katharina, a       Vienna.

CRISTIANI O CATTOLICI?

L`€™universo       delle chiese cristiane comporta una profusione di termini che spesso       diventa confusione. Alcuni chiarimenti potranno essere       utili.
Cristiano: (dal greco Khristòs: unto, consacrato; corrispondente       all`€™ebraico mashià : messia) è chi professa la fede in Gesù Cristo, figlio       di Dio e salvatore (e solitamente ha ricevuto il battesimo). I cristiani       si suddividono in diversi gruppi (chiese, confessioni, comunità        ecclesiali). Ecco i principali:
Cattolici: (dal greco katholikos:       universale) si presentano come la chiesa cristiana in senso pieno,       riconoscendo al vescovo di Roma (papa) il primato effettivo come       successore di Pietro.
Ortodossi: sono le chiese orientali che si sono       separate dalla chiesa latina (romana) nel 1054 per divergenze su talune       verità  di fede, ma non solo... (il termine «ortodosso», comunque, vuol       dire «di retta fede»); non riconoscono il primato del papa e non accettano       i dogmi proclamati dopo la separazione da Roma. Ogni chiesa nazionale è       «autocefala» (indipendente), ma al patriarca di Costantinopoli è       riconosciuto un primato d`€™onore. Ci sono anche chiese ortodosse antiche,       che si sono separate dalla chiesa, ancora indivisa, al tempo dei grandi       concili di Efeso (431; contro Nestorio) e di Calcedonia (451; contro       Eutiche). Sono le chiese nestoriane (dette anche assire o siro-orientali),       che vivono ancora in Iran, Iraq, India e Cina; e le chiese monofisite (in       greco monos: unico e physis: natura, cioè affermano che in Cristo non ci       sono due nature, ma soltanto una), che sono: la chiesa copta egiziana, la       chiesa copta etiopica, la chiesa siro-occidentale (nata appunto in Siria e       Palestina, ora dispersa in Iran, Iraq e India) e la chiesa       armena.
Protestanti o evangelici: (perché fanno del Vangelo e della       Bibbia il loro punto di riferimento essenziale) è il nome dato in genere       ai cristiani che con la Riforma di Lutero e Calvino si sono staccati da       Roma nel Cinquecento. Si distinguono tra: luterani, soprattutto in       Germania e in parte dei paesi scandinavi; riformati (in senso più stretto,       si rifanno alla dottrina calvinista), sono presenti in Svizzera, in       Francia (dove sono chiamati ugonotti), in Scozia e parte dell`€™Inghilterra       (dove sono detti presbiteriani) e in Scandinavia. Vicini alle posizioni       dei riformati sono i valdesi, diffusi soprattutto in Italia.
Anglicani:       (dal latino Anglia: Inghilterra) rappresentano la chiesa ufficiale       inglese, staccatasi da Roma con Enrico VIII nel Cinquecento. Hanno subito       influenze luterane e calviniste, ma in molti aspetti sono più vicini alla       chiesa cattolica, specialmente per la liturgia e l`€™organizzazione       ecclesiastica (ci sono anco

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017