Voglia d'Italia tra le nuove generazioni
«L’epopea migratoria italiana costituisce un’enorme risorsa per il nostro Paese». Sembra una frase retorica, «di circostanza» ma non è affatto così se pensiamo all’enorme successo che hanno in ogni parte del mondo i nostri prodotti: la pizza, i vini, l’olio, il Parmigiano Reggiano, l’aceto balsamico, la pasta, la mozzarella, il caffè espresso, la dieta mediterranea. E molto altro ancora. Paesi come Germania, Francia, Spagna o Gran Bretagna possono forse vantare un repertorio così ampio di successi planetari? Sarebbe fuorviante pensare che tutto ciò sia frutto di una grandiosa campagna pubblicitaria perché nessuna società di marketing sarebbe stata in grado di portare al successo un tale numero di prodotti nei cinque continenti.
Sono stati proprio i nostri emigrati, invece, a «imporre, generazione dopo generazione, i prodotti della loro terra d’origine nei Paesi in cui si sono stabiliti, attraverso una colossale operazione di marketing (che al «Sistema Italia» non è costata assolutamente nulla) messa in atto da questi nostri particolari «ambasciatori» ai quali va riconosciuto anche questo merito, affatto secondario. Non deve stupire, allora, se la capitale mondiale della pizza non è più Napoli bensì San Paolo, in Brasile, con l’incredibile numero di oltre 6 mila pizzerie che sfornano ogni mese 43 milioni di fragranti «cerchi di pasta» guarniti nei più svariati modi.
Ma la presenza italiana nel mondo è una risorsa anche in altri settori. Pensiamo al turismo: se ogni anno solo una piccola parte degli «italiani nel mondo» – un numero difficilmente calcolabile, ma molto vicino ai 100 milioni – decidesse di fare un viaggio di ritorno nella terra delle origini con la famiglia o con gli amici, creerebbe un giro d’affari tutt’altro che trascurabile. E pensiamo, ancora, alla diffusione del nostro patrimonio culturale, della nostra musica e della nostra lingua.
Tutto ciò costituisce – o, meglio, costituirebbe – una grande opportunità di ulteriore crescita per il nostro Paese se fossimo finalmente in grado di valorizzare questo immenso patrimonio (umano, prima di tutto) che abbiamo in Australia, in Canada, negli Stati Uniti, in tutto il Sud America, in Europa e perfino in Sud Africa.
Purtroppo non siamo ancora in grado di farlo perché di questo fondamentale capitolo della nostra storia non sappiamo poi molto. A partire dal boom economico degli anni Sessanta – che coincide, di fatto, con la fine degli esodi di massa all’estero – abbiamo progressivamente dimenticato il nostro passato di popolo «con la valigia in mano»; i nostri genitori non ce ne hanno parlato, e a scuola nessun professore ne ha mai fatto cenno.
Dopo anni di assoluta indifferenza e di colpevoli dimenticanze, a tutti i livelli, l’ultima possibilità per riportare all’attualità il valore della presenza italiana nel mondo è nelle mani delle nuove generazioni: ragazzi italiani e giovani d’origine italiana i quali, insieme, possono iniziare a scrivere un nuovo capitolo di questa storia.
Sul versante italiano ci sono segnali confortanti. Un anno fa, il 9 marzo 2009, è stata presentata alla Camera dei Deputati la Proposta di legge n. 2267 dal titolo «Norme per la conservazione e la diffusione della memoria dell’emigrazione italiana». Partendo dalla considerazione che i grandi flussi migratori sono stati il fattore di più profondo cambiamento della società italiana e l’esperienza di più intensa e diffusa internazionalizzazione che gli italiani abbiano conosciuto, il progetto prevede l’introduzione della storia dell’emigrazione nel piano dell’offerta formativa degli istituti scolastici di ogni ordine e grado. Di fatto, qualora la proposta – il cui primo firmatario è l’onorevole Fabio Porta – dovesse diventare Legge, la diaspora degli italiani nel mondo diventerebbe a tutti gli effetti materia d’insegnamento obbligatorio in tutte le scuole del nostro Paese.
Se volgiamo lo sguardo al di là dell’Oceano, i segnali sono altrettanto confortanti in quell’enorme bacino d’italianità che è il Brasile. Nel Paese più italiano del mondo (sono oltre 30 milioni i discendenti dei nostri emigrati), sono proprio i giovani delle nuove generazioni a dimostrare una rinnovata «voglia d’Italia», nonostante si tratti di ragazzi che appartengono alla terza, quarta e quinta generazione. Intatta, rispetto a nonni e bisnonni, è rimasta la passione, il richiamo quasi ancestrale al Paese delle origini che è testimoniato dal numero di adesioni a corsi di lingua, cultura e tradizione italiana curati dalle numerose Associazioni presenti sul territorio e dagli Istituti Italiani di Cultura di Rio de Janeiro e San Paolo.
I dati che abbiamo raccolto negli Stati di San Paolo, Minas Gerais, Santa Catarina, Paraná e Rio Grande do Sul confermano che i corsi di lingua italiana, organizzati in vari livelli, sono frequentati prevalentemente da giovani che appartengono a una fascia d’età compresa fra i 18 e i 35 anni. «Imparare l’italiano – ci dice Andréa Saffioti della UIM, l’Unione degli Italiani nel Mondo di San Paolo – è un passo fondamentale per poter accedere alle tante opportunità offerte dalla doppia cittadinanza, come ad esempio quella di frequentare Università e altri centri di specializzazione in Italia. E, a differenza di altre lingue – prosegue Saffioti – l’italiano ha in sé qualcosa di familiare, di molto vicino».
Anche Luiz Carlos Piazzetta, storico presidente de «La Piave Fainors» nella regione dell’Alto Uruguay, nel Rio Grande do Sul, ci conferma il successo dei corsi di Lingua e cultura italiana fra le nuove generazioni, e ci dice anche qualcosa di più sulle aspettative dei giovani gaúchi di origini italiane. «Se fino a qualche anno fa i ragazzi italo-brasiliani guardavano al Bel Paese come a una nazione che poteva offrire opportunità di lavoro con buoni guadagni, soprattutto se rapportati ai salari brasiliani, oggi l’Italia (e più in generale l’Europa) viene vista prima di tutto come un’opportunità dove poter frequentare master, corsi di perfezionamento, per poi ritornare in Brasile. I passi in avanti fatti dal nostro Paese negli ultimi anni li hanno evidentemente convinti che il futuro è qui da noi, e non più in Europa o negli Stati Uniti».
Quanto alle iniziative regionali dedicate alle nuove generazioni di oriundi, Piazzetta, che è anche presidente del «Comitato Veneto del Rio Grande do Sul», fa notare che queste devono essere rapportate alla realtà brasiliana. «È assurdo che certi progetti siano limitati alla terza generazione di discendenti. Basterebbe conoscere, almeno per sommi capi, la storia dell’emigrazione italiana in Brasile per capire che la terza generazione di oriundi, qui da noi, è composta da gente che ha superato abbondantemente i 50 anni. Se dall’Italia arrivano progetti rivolti ai giovani brasiliani d’origine italiana, è necessario che questi facciano riferimento alla quarta e alla quinta generazione, altro che terza!».
Restando nel Rio Grande do Sul, è interessante ricordare i successi dei corsi di Lingua e cultura italiana promossi dall’ACIRS di Porto Alegre: se nel 1992 l’Associazione aveva poco più di 3 mila alunni iscritti, negli ultimi anni ha superato abbondantemente quota 17 mila. Il riconoscimento della cittadinanza italiana rimane, anche fra le nuove generazioni di oriundi, una delle maggiori aspirazioni, ma non è la sola. Ce lo conferma ancora Piazzetta che, nella sua Erechim, nel Rio Grande do Sul, ha dato vita alla «Gioventù Veneta», un’Associazione molto vivace che conta un centinaio di iscritti tra i 18 e i 39 anni: «i nostri ragazzi e ragazze vogliono diventare cittadini italiani, ma sentono soprattutto il bisogno di entrare in contatto con i loro coetanei in Italia, scambiarsi informazioni, viaggiare, conoscere i luoghi d’origine».
Tornando a San Paolo, una delle Associazioni più attive della metropoli è la «Gioveb», presieduta dalla ventiseienne Camilla Meneghello. Con 250 iscritti, ma con un bacino d’utenza che raggiunge un migliaio di giovani, l’Associazione paulistana realizza una serie di attività che vanno dai corsi di Lingua a progetti di formazione (in collaborazione con il Ministero del Lavoro italiano) e viaggi-studio. Gianni Boscolo, per anni motore dei veneti di San Paolo, ci conferma la tendenza di questi ultimi tempi: «i nostri ragazzi oggi guardano all’Italia come un Paese dove andare ad approfondire le proprie conoscenze, e non più per andarci a lavorare, cosa che peraltro, viste le esperienze poco felici del passato, noi non ci sentiamo di incentivare. Sarebbe bello che anche i giovani italiani provassero maggiore interesse per il Brasile».