Voleva preti santi e dotti
I bergamaschi non lo lasciarono partire di nascosto come avrebbe voluto. Accompagnarono fuori dalla città , con un immenso corteo, il loro vescovo, Gregorio Barbarigo, trasferito a Padova. Nobili finemente bardati e semplici popolani, tutti commossi, lo salutavano mentre percorreva in carrozza le contrade che tante volte aveva attraversato nelle visite pastorali.
Il Barbarigo, di cui si celebra quest'anno il terzo centenario della morte, giunse a Padova il 22 giugno del 1664. Qui riprese a girare con zelo infaticabile e visitò più volte le 320 parrocchie della diocesi. Cominciò dai paesi più lontani: da Bassano all'altopiano di Asiago, convinto che una visita pastorale fosse molto più efficace di qualsiasi altra forma di apostolato. Era un modo per raggiungere tutte quelle trecentomila anime - tante ne contava allora la diocesi - di cui sentiva di dover rendere conto a Dio.
Durante quelle visite pastorali, particolarmente faticose per le sue cagionevoli condizioni di salute, il vescovo portava con sé la Summa teologica di san Tommaso e l'Imitazione di Cristo. Gli serviva per meditare sulla passione; era certo che l'apostolo di Cristo dovesse soffrire. Il vero apostolo è un 'perdente'. Anch'egli ebbe gravi difficoltà : a Padova fu subito osteggiato dal capitolo della cattedrale che temeva il suo rigore morale e il suo tentativo di attuare le riforme volute dal concilio di Trento. Non fu compreso da tutti perché le sue idee si proiettavano ben oltre il XVII secolo in cui ebbe la ventura di vivere. Ma proprio per le idee innovative, il rigore morale e la condotta esemplare ha ancora molto da dire ai giorni nostri.
Gregorio Barbarigo nacque da nobile e illustre famiglia veneziana. Al seguito dell'ambasciatore veneziano Alvise Contarini fu in Westfalia, dove conobbe Fabio Chigi, che, divenuto papa col nome di Alessandro VII, lo vorrà ripetutamente a Roma.
Fu un vescovo santo, lungimirante e illuminato che seppe coniugare scienza e fede, teologia e carità . E la carità fu il vero segno distintivo del Barbarigo. Riformò la diocesi, eliminando abusi, restaurando la disciplina nel clero e nei monasteri; organizzò scuole di catechismo per bambini e adulti; della preparazione dei futuri sacerdoti fece una vera e propria missione e del seminario un fiore all'occhiello.
Nel 1669 acquistò, con la vendita di tutta l'argenteria della diocesi, l'ex convento di Santa Maria in Vanzo, che trasformò in seminario. Si preoccupò di dare ai seminaristi e ai superiori un regolamento. 'Io vado pensando di farmi degli operaii a modo mio e di aggiunger però al seminario giovani in età , capaci di studiar casi di coscienza, predicar insegnar dottrina, come ricerca il concilio di Trento nei seminari', scriveva in una lettera al padre. Per realizzare ciò si ispirò a san Francesco di Sales e agli Acta ecclesiae mediolanensis di san Carlo Borromeo, tenendo ben fermo 'nessun altro programma che questo: il Vangelo, la vita, la grazia, la carità fraterna'.
I padovani capirono subito di che tempra fosse l'uomo, che cominciò col riformare, prima di quella degli altri, la condotta sua e di quanti gli erano vicini. Visse 'lontano da ogni pompa, che alla fine nel vescovo non è necessaria'. Per lui ricercò solo povertà , penitenza e preghiera. Ai domestici ingiunse di distribuire il pane dei poveri con gentilezza perché 'non sembrasse che si faceva la carità , quando invece la si riceveva'.
Allora tanti preti erano implicati nelle faccende temporali, altri finivano per essere oziosi, negligenti nella predicazione. Ma il Barbarigo voleva preti santi: 'Gli ecclesiastici - scriveva in un singolare Editto per i sacerdoti implicati in affari, datato 1683 - chiamati nella sorte del Signore, si come sono strettamente obbligati per il carattere clericale ad attendere alle cose spirituali, così ai medesimi incombe strettissimo debito d'astenersi da negozi temporali, disdicevoli a chi ha per ufficio di servire all'Altissimo con Preci, Salmi, e quotidiani Sacrifici'.
Gregorio Barbarigo guardò sempre al futuro: fu riformatore ed estimatore di Galileo. 'A Bergamo - dice monsignor Claudio Bellinati, direttore della Biblioteca capitolare di Padova, autore di diversi libri sul Barbarigo, tra cui una biografia e una raccolta di discorsi e scritti al clero (Gregoriana Libreria Editrice) - il vescovo ha avuto il coraggio di chiamare come segretario Cosimo, il nipote di Galileo, dopo che questi era stato condannato. Aveva capito che c'era un mondo nuovo che si stava aprendo: quello della scienza'.
Che le sue idee fossero innovative lo dimostrano i suoi trattati di educazione seminaristica: le Institutionum epitome e la Ratio studiorum. Il Barbarigo introdusse i chierici allo studio del greco, inaugurò la scuola di Storia ecclesiastica e di Matematica. Fece costruire una specola, dotata di cannocchiali, compassi e globi: tutto questo con quasi un secolo di anticipo rispetto all'università patavina!
In seminario introdusse anche lo studio dell'ebraico, dell'arabo, del persiano, del turco perché preoccupato della conversione dell'Oriente, tanto che lo si può considerare uno dei precursori del dialogo interreligioso!
La tipografia del seminario, inaugurata dal Barbarigo nel 1684, diventò una delle più fiorenti in Italia. Anche questa frutto di una geniale intuizione: era fallito un contratto con un tipografo padovano per la stampa di una grammatica greca a uso del seminario, e allora l'audace vescovo disse: 'Facciamo, facciamo noi un torcoletto', cioè un piccolo torchio per la stampa.
Nel quinto conclave cui partecipò, poco mancò che venisse eletto papa, ma in cuor suo il Barbarigo ringraziò di potersene tornare a Padova alle sue tante anime.
Morì nel 1697, venne sepolto nel duomo; e il suo cuore, simbolo propulsore di tanto fermento, fu donato al seminario. Beatificato da Clemente XIII, che gli succedette a Padova, fu canonizzato da papa Giovanni XXIII, bergamasco come la sua prima diocesi.