Volontariato in giacca e cravatta
Giacca e cravatta, borsa in pelle zeppa di astruse carte, studio prestigioso ricolmo di faldoni e pesanti volumi: lo stereotipo dell’avvocato non prevede il mescolarsi con gli ultimi, con i barboni e i poveracci in genere. Ma ne siamo proprio certi? Diversa è, per esempio, l’esperienza dell’associazione «Avvocato di strada» onlus, che si dedica alle persone senza fissa dimora: chi ha problemi legali può presentarsi allo sportello, dove troverà avvocati volontari che, a turno, offrono consulenza e assistenza legale. Quest’esperienza è solo la punta dell’iceberg di un vasto movimento di professionisti – di ogni settore – che prestano servizio a titolo gratuito, assecondando le proprie attitudini e mettendo a disposizione competenze anche lavorative. Del resto, perché in un’associazione il volontario commercialista dovrebbe impegnarsi in lavori di muratura se c’è la contabilità da mettere a posto? A nessuno verrebbe in mente di affidare il bilancio a un volontario carpentiere...
Difficile quantificare i volontari professionali, o professionisti che dir si voglia. Sfuggono alle maglie delle statistiche di settore, che contano 1 milione 125 mila volontari in Italia, recensiti nel 2006 dalla Fondazione italiana per il volontariato. I professionisti sono ben mimetizzati. Sono visibili quelli che si riuniscono in associazioni dedicate, come la già citata «Avvocato di strada» onlus.
Molti altri offrono le proprie competenze in realtà che si occupano di servizi meno specifici: la Caritas locale che ha bisogno dell’aiuto del volontario commercialista; il missionario che si avvale dell’apporto di un amico ingegnere edile e così via. «Sono entrambi binari di impegno validi – commenta Marco Granelli, presidente del Coordinamento nazionale dei centri di servizio di volontariato –. Il secondo approccio, in particolare, mette in risalto la nuova capacità delle organizzazioni di valorizzare l’attitudine di ciascuno. È una stagione che si apre, e che qualifica l’azione del volontariato. Il 2011 è stato proclamato dall’Unione europea “Anno del volontariato”: può essere un’occasione per ribadire questo processo virtuoso». Un ulteriore possibile salto di qualità è sottolineato da Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Emanuela Zancan onlus: «Se un’ora al mese di volontariato fatto bene vale uno, la stessa ora, organizzata in un servizio con orario e luogo precisi, ha un valore cento volte superiore, perché diventa più accessibile a chi ha bisogno. Vale a dire: sfuma la figura del volontario e acquista rilievo il servizio. Oltre al fatto che si tratta di un’esperienza capace di contagiare tanti altri professionisti che vorrebbero offrire un tempo di gratuità, ma non trovano le opportunità».
Volontari: comunque importanti
Sia ben chiaro: non vogliamo fare classifiche, perché ogni tipologia di volontariato ha un grande valore. E infatti sottoscriviamo in pieno le parole che il presidente Napolitano ha indirizzato alle persone che hanno ripulito Vicenza dagli effetti dell’alluvione di novembre: «Spazzare l’acqua e il fango è un lavoro nobilissimo». La qualità del volontariato si misura, infatti – nella logica della gratuità e dell’etica del bene comune –, sulla disposizione d’animo che spinge a rendersi disponibili, non sul servizio reso. Lo chiarisce bene anche Giustino di Benedetto, dentista volontario dell’Associazione comboniana servizio emigranti e profughi, di Roma, referente del servizio odontoiatrico per migranti: «Oltre a noi dentisti ci sono altri volontari che danno una mano. Direi che il loro lavoro è ancora più importante di quello che facciamo noi che in qualche modo siamo gratificati professionalmente».
Ciò detto, il volontariato professionale ha caratteristiche sue proprie. A partire da questo strano nome che sembra un controsenso: come può, infatti, il volontariato, che non è un lavoro, essere «professionale»? Spiega Tiziano Vecchiato: «Il termine “volontariato professionale”, emerso una decina d’anni fa, è rimasto nel gergo col suo carico di contraddizione, quasi a marcare la differenza con il volontariato “normale”». Il più famoso e sviluppato settore è di certo quello sanitario, grazie alle tante organizzazioni che coordinano l’aiuto di medici e infermieri. «L’impegno in ambito sanitario – prosegue Vecchiato – è nato come un investimento, ed è stato profetico. In altri settori, invece, è stata un’azione “riparativa”, fatta da persone che avevano dedicato la propria vita al lavoro, e che hanno ritenuto di mettere a disposizione la propria competenza a ridosso della pensione». Chi addirittura nel nome ribadisce la vocazione a raccogliere i professionisti pensionati è «Seniores Italia-Partner per lo Sviluppo» onlus, nata nel 1994 «su iniziativa di Pellegrino Capaldo, presidente della Banca di Roma e di Umberto Agnelli, presidente dell’Ifil» racconta Pasquale Campo, del consiglio direttivo.
Sede a Roma e sette distaccamenti territoriali, l’associazione conta su 1.200 volontari registrati in banca dati, da «attivare» per contribuire a progetti di cooperazione internazionale, mediante missioni all’estero nelle quali i volontari – ex dirigenti, manager, professori universitari, ecc. – svolgono attività di formazione, consulenza e assistenza tecnica. «Finora – prosegue Campo – sono stati più di novecento gli interventi. Inoltre siamo impegnati in Italia, con iniziative a sostegno del Terzo Settore e degli ultimi. Ad esempio, per conto dell’Istituto romano per la formazione imprenditoriale della Camera di commercio, dal 2005 curiamo dei seminari dal titolo “Fare impresa”, dedicati a immigrati, persone espulse dal mondo del lavoro, giovani che vogliono iniziare una nuova attività. Sempre a Roma collaboriamo con l’Associazione cooperazione internazionale studi e lavoro (Acisel), alla quale il Comune affida migranti in attesa del riconoscimento dello status di rifugiati politici. A queste persone i nostri volontari impartiscono lezioni di italiano, educazione civica, sicurezza sul lavoro, codice della strada».
A Torino si trova invece la sede della neonata associazione Vobis (Volontari bancari per le iniziative nel sociale o per l’impresa sociale), istituita nel 2009 e che può contare sulla disponibilità di 210 ex bancari. «I nostri volontari – illustra Franco Pau, presidente di Vobis – sono mossi dall’idea che l’accesso al credito dei soggetti sprovvisti delle caratteristiche di affidabilità possa trovare, specie nel Terzo Settore, margini di miglioramento, attraverso un processo di accompagnamento e di tutoraggio». Un simile servizio viene fornito anche alle famiglie che richiedono supporto finanziario. Precisa Pau: «Abbiamo avuto un ruolo di questo tipo nell’ambito del “Prestito della Speranza”, l’iniziativa avviata dalla Cei per contrastare gli effetti della crisi».
Dal Piemonte a Milano per conoscere la Fondazione Sodalitas, nata come associazione nel 1995, che riunisce 81 imprese e 80 manager impegnati a promuovere la sostenibilità d’impresa e lo sviluppo del nonprofit. Il volontario-tipo della Fondazione è un manager che, conclusa la carriera professionale, impegna le proprie competenze in una delle molteplici attività di Sodalitas. È il caso di Piero Pedralli, da dieci anni nella squadra della Fondazione «dopo 38 anni e mezzo di lavoro da dirigente in una multinazionale – racconta –, periodo nel quale non avevo tempo per dedicarmi ad altro. Arrivato alla pensione, mi sono chiesto: quale nuovo obiettivo posso darmi nella vita? Restituire parte della fortuna che ho avuto mettendomi a disposizione delle realtà che alleggeriscono il disagio sociale, ovvero, nel mio caso, le Organizzazioni non governative». Altri, in Sodalitas, si occupano di aiutare le associazioni, le cooperative sociali e le istituzioni sanitarie. «Cerchiamo di operare per l’efficienza e l’efficacia delle organizzazioni. Aiutiamo a individuare i bisogni veri, per capire dove è necessario intervenire. Rileviamo il problema, ricerchiamo la soluzione, verifichiamo che sia praticabile, la suggeriamo al management. Il nostro è un approccio didattico: trasmettiamo una metodologia valida per affrontare tutte le questioni con la logica progettuale, che prevede un referente, obiettivi chiari, definizione di chi fa che cosa, e così via.
Oggi accompagniamo le Ong principalmente a compiere tre percorsi. Primo: riverificare i propri obiettivi, perché molte organizzazioni hanno quaranta-cinquant’anni di storia, sono nate con una certa missione, ma nel frattempo il mondo è cambiato e oggi avvertono la necessità di redifinirsi. Secondo: porre la giusta attenzione alle risorse umane, con la definizione di ruoli e responsabilità e la gestione delle tensioni tra volontari e personale pagato, spinti da motivazioni diverse. Terzo: affrontare in modo positivo gli effetti della crisi, e il conseguente disseccamento di alcuni canali di finanziamento, sperimentando vie nuove come il coinvolgimento dell’imprenditoria locale». In merito, Sodalitas è impegnata in un processo di sostegno al volontariato d’impresa, con sperimentazioni di frontiera. Non c’è qui lo spazio per approfondire questa attività, che introduce però un importante fattore: il volontariato professionale di chi è ancora in attività.
Volontari (ancora) al lavoro
«Sarebbe auspicabile – valuta Tiziano Vecchiato – dedicare un po’ di tempo alla gratuità già prima della pensione. Ciò vale per qualsiasi lavoratore, non solo per chi è iscritto a un albo professionale. Tale scelta darebbe un senso più compiuto al volontariato professionale». Ciò non significa – come ben spiega monsignor Giovanni Nervo in Terzo sistema o terzo settore? (Edizioni Messaggero 2009) – che «il lavoro gratuito sia carico di valori etici mentre il lavoro pagato, con cui ognuno mantiene onestamente se stesso e la sua famiglia, sia di “serie B”.
È più importante, infatti, che un medico, un infermiere, un dirigente facciano con professionalità, coscienza, sollecitudine e umanità il lavoro per cui sono pagati, piuttosto che vadano come volontari ad accompagnare gratuitamente un’autoambulanza della Misericordia o della Pubblica assistenza». Un altro rischio è sottolineato da Stefano Zamagni, presidente dell’Agenzia per le onlus: «E che dire delle situazioni, tutt’altro che infrequenti, del professionista che si avvale dell’attività svolta gratuitamente in qualità di volontario come forma di investimento specifico in reputazione?».
In realtà ciascun volontario fa storia a sé, per motivazioni, vicenda personale, servizio svolto, così come ciascuna tipologia lavorativa conosce varie applicazioni del valore della gratuità, a seconda delle situazioni. Un esempio è l’Abruzzo del post sisma, che è stato un notevole banco di prova per architetti e ingegneri, inquadrati tra i volontari della Protezione Civile, col delicato ruolo di verificare la consistenza dei danni al patrimonio edilizio.
Altre volte basta chiedere, come ha fatto l’associazione Diritti e libertà di Genova, che si occupa di sostenere la famiglia del detenuto, in particolare quelle formate da mamme con bambini piccoli, e che col tempo ha creato una rete di avvocati, notai, commercialisti, medici, farmacisti sparsa in tutta Italia. «Abbiamo contattato per posta migliaia di professionisti – spiega Alberto De Barbieri, del consiglio direttivo – molti dei quali ci stanno dando gratuitamente una mano, senza voler comparire».
La carrellata dei volontari professionali si conclude dove siamo partiti: «Avvocato di strada» onlus, dieci anni di vita, diciannove sportelli dal Nord al Sud Italia e, soprattutto, tanti avvocati che aiutano le persone senza fissa dimora. Quando arriviamo nella sede nazionale, alla periferia nord di Bologna, i due volontari di turno stanno assistendo un giovane marocchino con problemi di permesso di soggiorno. Ci vuole pazienza, per via della lingua e della sua insistenza.
Al termine della seduta gli avvocati raccontano: «Facciamo un turno di servizio ogni mese e mezzo circa – dice Simone Ferraioli, penalista –. Sono arrivato qui grazie all’invito di un amico. Poi, con il tempo, ho apprezzato l’esperienza di lavorare per i più poveri». Gli fa eco Maria Luisa Caliendi, praticante: «Aiutare persone poco tutelate mi sembrava in linea col mio modo di pensare. Non mi comporta comunque un impegno troppo oneroso, e poi ne traggo anche un beneficio personale».
Lo stesso concetto che si ritrova nel già citato libro di Giovanni Nervo: «Perché concepire i volontari solo come manovalanza? Perché un docente universitario, un primario di ospedale, un sociologo, uno psicologo, un avvocato, un imprenditore non potrebbero essere contagiati dal virus del volontariato e della gratuità? Da questo contagio ne avrebbero grande beneficio anche loro».