Volontario? Volentieri!
Il 2011 è – per scelta della Comunità europea – l’anno del volontariato, o più precisamente l’anno «delle attività di volontariato che promuovono la cittadinanza attiva». L’occasione è ottima per porsi qualche domanda su un’attività inscritta nel Dna degli italiani fin dai tempi della tarda antichità, quando il mondo cristiano diede vita a un sistema assistenziale basato sulla gratuità, che si sviluppa dal cuore della carità evangelica.
Un’opportunità per tastare il polso al volontariato europeo, è stata la due giorni promossa a inizio aprile dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali italiano a Venezia, proprio in occasione dell’anno europeo. Il convegno, dal titolo Sussidiarietà e volontariato in Europa: valori, esperienze e strumenti a confronto, ha dato la possibilità di farsi un’idea più precisa della situazione che il settore sta attraversando nel continente e, nello specifico, tra gli altri, in Italia, Germania, Gran Bretagna.
Europa
È in pieno svolgimento e sta coinvolgendo tutti i Paesi d’Europa. È l’anno del volontariato: a capo della taskforce europea che lo sta organizzando c’è John MacDonald, intervenuto a Venezia per presentare il programma da qui al 2012: «A maggio è previsto un grande evento a Bruxelles, e una “conferenza gemella” ad Atene in novembre. A dicembre, infine, organizzeremo la chiusura a Varsavia. L’obiettivo? Far dialogare il volontariato e la politica. Perché gran parte del lavoro che porterà all’attuazione dei cambiamenti deve essere condiviso dagli stati membri dell’Unione europea». Inoltre, nei singoli Paesi, è in corso di svolgimento un tour di confronto, secondo un calendario che vedrà protagonista l’Italia nel mese di luglio.
Sempre a Venezia è stato presentata la ricerca Participation in volunteering and unpaid work realizzata da Eurofound, l’agenzia dell’Unione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Fornisce un quadro generale del volontariato in Europa, e il profilo medio della persona coinvolta in attività di volontariato: di mezza età, ben istruita, con reddito elevato. I più alti tassi di partecipazione si registrano in Danimarca, Finlandia, Svezia, Austria e Paesi Bassi, dove in media oltre il 40 per cento delle persone di età superiore a 18 anni partecipano ad attività di volontariato o beneficenza. Superano il 30 per cento Grecia, Regno Unito, Francia, Slovenia e Belgio. Fanalini di coda Romania, Bulgaria e Polonia, come anche Portogallo e Spagna, dove la percentuale è inferiore al 15 per cento. L’Italia è al 14° posto, e quindi attorno alla media europea: 23 per cento. Proprio in base alla frequenza, la ricerca Eurofound distingue tra volontari assidui (almeno una volta la settimana) e occasionali. In Italia gli assidui sono il 9 per cento della popolazione adulta: saliamo quindi al 11° posto in questa ipotetica classifica della solidarietà.
Italia
Le statistiche di settore contano 1 milione 125 mila volontari in Italia, recensiti nel 2006 dalla Fondazione italiana per il volontariato, mentre il numero delle associazioni, secondo quanto registrato nel 2003, erano 21.021, con un incremento del 14,9 per cento rispetto al 2001. Una ricerca, in uscita in questi giorni, realizzata dall’Istat per l’Osservatorio sull’Economia sociale del Cnel, intitolata La valorizzazione economica del lavoro volontario nel settore nonprofit e presentata in anteprima a Venezia da Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, stima il valore economico del volontariato italiano in 7.779 milioni di euro. In termini relativi, significa lo 0,7 per cento del Prodotto interno lorgo (Pil) e, se sommata al totale del valore della produzione delleorganizzazioni non profit, condurrebbe a quantificare la ricchezza prodotta da questo settore in Italiaal di sopra del 4 per cento del Pil.
Più centrato sull’identikit del volontario italiano, invece, l’intervento di Giancarlo Rovati, docente di Sociologia all’università Cattolica di Milano che, dati alla mano, ha sorpreso gli intervenuti sfatando il mito dei giovani poco attenti ai valori della solidarietà. «A differenza di quanto si crede – ha affermato Rovati –, i giovani hanno una propensione a impegnarsi gratuitamente e se il loro “spirito di volontariato” è sottostimato è per via della questione demografica». È pur vero che di volontari giovani se ne vedono meno in giro: il loro numero in termini assoluti, in 10 anni, è calato di 107 mila unità, ma ciò dipende dal quadro demografico: tra il 1996 e il 2006 i giovani tra i 14 e i 34 anni sono infatti diminuiti di un milione e mezzo. Le percentuali, invece, raccontano un’altra realtà. Se nel ‘96 erano sei su cento i giovani impegnati nel volontario, dieci anni dopo sono saliti a 8,5. Il professor Rovati ha poi sottolineato un altro aspetto, che riguarda i 25-30enni, i più in difficoltà – a suo dire – nel trovare tempo per dedicarsi agli altri: «Tra precariato e difficoltà economiche sono impegnati a costruirsi faticosamente il loro futuro, a trovare un lavoro e inventarsi la vita per poter creare una famiglia».
Germania
A presentare la situazione del volontariato tedesco è stato Frank Heuberger, del Bundesnetzwerk Bürgerschaftliches Engagment (Bbe), associazione federale che riunisce oltre 250 organismi di promozione della cittadinanza attiva. Sintetizzando tre successive ricerche del ’99, 2004 e 2009, Heuberger ha sottolineato come ben 23 milioni di tedeschi svolgano attività di volontariato, ovvero il 36 per cento della popolazione, con punte del 41 per cento in alcuni stati, e un calo soprattutto nel territorio dell’ex Germania dell’Est.
«Per quanto riguarda il genere – ha affermato Heuberger –, il volontariato tra gli uomini raggiunge il 40 per cento, contro il 32 delle donne. È un fenomeno più diffuso nelle zone rurali, e tra le famiglie numerose. Anche i margini di sviluppo sono ampi: un terzo delle persone che non svolgono attività volontarie hanno affermato che gli piacerebbe farlo. Si tratta di 10 milioni di potenziali volontari». Dal ’99 a oggi in Germania si registra un lieve calo dei giovani, «dovuto principalmente ai maggiori obblighi scolastici» precisa Heuberger, mentre tra gli over 60, al contrario, è molto aumentato.
Interessanti le motivazioni che spingono a mettere a disposizione tempo ed energie per il prossimo. Secondo il rappresentante della Bbe, «il primo pensiero dei volontari è rivolto alla società, che loro desiderano modellare e cambiare, magari anche solo a livello locale». Per i giovani invece entra in gioco anche un’altra componente, a detta di Heuberger: «La molla che muove al volontariato, per molti giovani, è l’idea di fare qualcosa di significativo per se stessi. Il volontariato diventa rappresenta allora un momento formativo che li aiuterà a spendersi meglio nel mercato del lavoro».
Gran Bretagna
È risaputo: la crisi finanziaria che dal 2008 sta colpendo a livello globale, nel Regno Unito ha sferrato vere e proprie batoste. Il volontariato poteva non risentirne? No, per l’appunto, come testimonia Karl Monsen-Elvik, responsabile del Volunteer development Scotland, una sorta di «centro servizi» per il volontariato scozzese. I finanziamenti pubblici hanno avuto un calo vertiginoso, tanto che, per ottimizzare le forze, i volontari della Gran Bretagna hanno deciso di accorpare le due infrastrutture che si occupavano di coordinare l’attività delle associazioni, creando un’interfaccia comune. Al calo delle risorse, tuttavia, si contrappone un per certi versi inatteso aumento delle persone disponibili a svolgere azioni volontarie. Spiega Monsen-Elvik: «Negli ultimi due anni le richieste di aderire alle associazioni sono aumentate del 20 per cento. Ciò ha permesso di rispondere alle crescenti richieste di aiuto. Rimane il 40 per cento di aiuti in meno stanziati dal governo britannico. Le esigenze aumentano, i servizi vengono tagliati: è un bel dilemma».
Per quanto riguarda i dati del volontariato oltremanica, il settore conta una sostanziale stabilità negli ultimi 20 anni, con circa il 30 per cento della popolazione impegnato. «Bisogna anche mettere in conto – sottolinea Monsen-Elvik – che il 76 per cento dei britannici svolge attività informali di volontariato, a livello personale».
Il taglio delle risorse ha anche un altro risvolto, secondo il rappresentante del Volunteer development: «Gli scarsi finanziamenti fanno sì che le risorse siano mirate alle iniziative governative; l’agenda è stilata da loro, e si rivolge solo a obiettivi che si valuta diano un ritorno politico, come ad esempio l’aiuto ai bambini. E quando le problematiche sono impopolari? Ad esempio, le misure per le prostitute? In ambito britannico stiamo vivendo questa tensione ideologica. La preoccupazione è che solo pochi possano trarre il massimo beneficio dai servizi del volontariato, mentre invece è necessario che il massimo bacino di utenti possa godere delle opportunità offerte».