Winemakers, in vino veritas
VANCOUVER
«Chi è venuto qui, si porta dietro una cultura di altro genere, ha ricordi e nostalgie di radici più autentiche: il Paese, la propria lingua o meglio ancora il dialetto, le canzoni, i racconti e le leggende popolari, la religiosità non più ritrovata dell";antica parrocchia, i costumi della tradizione, la cucina della propria terra, il vino! Quel vino che qui manca perché manca la materia prima, ed è mortificato nel tentativo di trarre dalle uve della California sapori e aromi antichi mai raggiungibili, perché è irripetibile il sapore della tua terra...». È un brano tratto da un mio articolo per il Giornale di Vicenza del 29 giugno 1982. Ero ancora pendolare tra la mia città e Vancouver, dov";erano in corso i festeggiamenti per il centenario di Giuseppe Garibaldi. Avevo notato che la maggioranza dei miei connazionali, specialmente i veneti, snobbavano le celebrazioni. Da novellina com";ero, mi avevano colpito altri riti e modi di vivere. Ero sorpresa, per esempio, dal fatto che gli italiani facessero il vino in casa. «Non c";è italiano a Vancouver (e veneto in specie) che non tenti di farsi il vino, che non abbia in cantina una piccola scorta di bevanda che vorrebbe imitare il ";frambuo"; o il merlot. Per carità "; scrivevo "; nei Liquor Stores governativi si può acquistare qualsiasi buon vino regionale italiano, bianco o rosso, ma ciò è permesso nelle feste grandi, perché un paio di bottiglie di vino possono costare anche mezza giornata di lavoro, quando chi lavora non è già miliardario». Più di vent";anni dopo, estate 2003: «Noi italiani siamo conosciuti come ";winemakers"; (fabbricanti di vino)», mi dice Valentino Citton, fondatore e attuale presidente dell";Italian Canadian Winemakers Club di Vancouver.
Giovane obiettore di coscienza, al servizio militare aveva preferito l";emigrazione. Lasciato nel 1966 Borso del Grappa, a Vancouver aveva trovato l";ambiente adatto a realizzare la sua personalità genuina e la sua inesauribile intraprendenza. Qui ha messo su famiglia, ha creato dal nulla le proprie imprese nei settori alimentare, edilizio e commerciale (oggi è anche importatore di vini e liquori), e s";è contemporaneamente impegnato in attività comunitarie. Dire Valentino Citton è dire soprattutto «winemaker». La sua passione per il buon vino è quasi infinita, il suo proselitismo per la causa è contagioso. Ma attenzione! non è stato così facile trasmetterli ad altri. «Venticinque anni fa, quando ho lanciato l";idea del club cercando di riunire della gente, ho trovato parecchi ostacoli, non mi credevano e per un po"; di tempo ho dovuto lasciar perdere...». Gli dava pena vedere (e dover assaggiare) vini pieni di difetti nonostante la buona volontà degli improvvisati vinificatori. «Perché noi italiani, con l";indiscutibile tradizione che abbiamo, dovevamo rimanere conosciuti come quelli che fanno il vino in casa, ma spesso lo fanno male? Perché improvvisare senza imparare le tecniche della vinificazione?» Egli, intanto, s";era associato alla sezione di Vancouver della British Columbia Amateur Winemaker";s Association e frequentava corsi di vinificazione. Confessa candidamente di avere imparato dai canadesi a fare bene il vino.
Pochi anni dopo, con Berto Garbuio, Claudio Corrà e pochi altri amici, Valentino vedeva finalmente nascere l";Italian Canadian Winemakers Club, oggi in piena fioritura con centinaia di soci e altrettanti simpatizzanti "; «è unico nell";ovest canadese, il più grande del Nord America», dice con orgoglio). Il giornalino del club, in formato Newsletter, viene spedito a 140 soci: in testata, sotto il titolo, la scritta In Vino Veritas. La maggioranza dei soci è costituita da italiani, ma aderiscono all";ICWC anche canadesi di altre origini, attratti da cultura, cibo e arte italiani. Il dottor Rudenz Kriegel, ad esempio, otorinolaringoiatra in pensione, è noto per il suo attaccamento all";Italia e agli italiani oltre che per le sue bottiglie di buon vino. Come lui ce ne sono parecchi altri, e tra questi anche cinesi.
La severa legge britishcolumbiana che regola produzione e vendita di vini e liquori permette il fai da te ai privati dal momento che questi acquistano da terzi la materia prima "; uva o succo d";uva "; per trasformarla in prodotto finito ad uso familiare o conviviale. Uve di varie qualità sono prodotte da vigneti locali o dei vicini stati di Washington e Oregon. Il succo refrigerato proviene per lo più dalla California, grande produttrice di vini di qualità . Il monopolio della commercializzazione di vini e liquori è dei Liquor Stores governativi, da noi italiani accettati anche se mal sopportati quale eredità dell";ex proibizionismo e di un";antica mentalità puritana... ma occorre conoscere la storia di questi Paesi.
Oggi l";offerta e il consumo di vini "; d";importazione da vari Paesi del mondo o prodotti da eccellenti vigneti locali, famosi soprattutto quelli dell";Okanagan (*) ";, raggiungono cifre ragguardevoli. E i vini italiani certamente non sfigurano.
Gli antichi greci chiamarono Enotria, terra del vino, la penisola italiana. «Il vino è nel Dna del nostro Paese: coltivato, amato, cantato dai poeti degli ultimi tre millenni in latino, in volgare, in dialetto e in italiano "; afferma il segretario del club, l";abruzzese Ernesto Salvi, un giovane consulente finanziario arrivato da qualche anno in Canada con la famiglia cosmopolita ";. Il vino è considerato un bene di prima necessità come il pane, e come il pane è appunto tassato. Ma qui da noi il vino è un bene di lusso da punire con una ";sin tax";... per cui il costo, tre volte quello in Italia, spinge i consumatori al fai da te. I prezzi (leggi tasse) della British Columbia sono i più esorbitanti del Nord America». E così, i winemakers hanno escogitato il modo di unire l";utile al dilettevole: risparmiano producendo in proprio, e si divertono apprendendo e raffinando l";arte di fare vino. Sono molteplici le attività e le iniziative del loro club, come seminari tenuti da tecnici ed esperti del settore, manifestazioni promozionali, concorsi e gare a premi per stimolare e riconoscere la qualità dei vini prodotti.
Il club italo-canadese è diventato parte importante della British Columbia Amateur Winemaker";s Association (**). Spesso ci sono nomi italiani tra quelli dei vincitori di gare a grande raggio: di recente sono andate due medaglie d";argento a Riccardo Pellizzari per vini rossi stile Bordeaux, uno del 2000 e l";altro del 1999, ricavati da uve dello Stato di Washington (98% Merlot e 2% Lemberger per il primo, 86% Cabernet Sauvignon e 14% Merlot per il secondo), oltre che medaglie di bronzo a Berto Garbuio e Joseph Cantafio.
«Il nostro club "; dice in proposito Salvi, membro del Comitato esecutivo della BCAWA con l";incarico di Chief Steward (capo dei ricevimenti) "; organizzerà la gara del 2004 per tutta la British Columbia. Sarà un evento che durerà tre giorni, in maggio, e ci stiamo preparando a 500 bottiglie in gara, divise in 24 categorie. Noi dell";Italian-Canadian "; aggiunge "; siamo famosi per le cene luculliane, al Centro naturalmente». Il vostro club, chiedo a questo punto, fa opera di educazione al bere bene e con sobrietà ? «L";amore per il vino è il nostro deterrente nei confronti degli eccessi. Siamo consci del lavoro che c";è dietro una buona bottiglia: perché vanificarlo?». Salute!
(*) L";Okanagan di Pandosy, Messaggero di sant";Antonio-edizione italiana per l";estero, Febbraio 1999.
(**) www.bcawa.ca