YANKEE? NO, ITALOMERICANO

Secondo Spatola, presidente della Fiao, le associazioni devono rispondere adeguatamente alle istanze delle nuove generazioni in fatto di cultura e recupero dell’identità.
02 Febbraio 1998 | di

New York

Le sfide che noi abbiamo dovuto affrontare quando, lasciata l'Italia, ci siamo trasferiti negli Stati Uniti, sono quelle di ogni migrante: una lingua non conosciuta; un nuovo ambiente sociale e lavorativo in cui inserirsi; la stabilità  economica per dare un futuro migliore alla nostra famiglia. Per i nostri figli, invece, la sfida è quella di mantenere il nostro retaggio come patrimonio della loro identità . Se per noi della prima generazione, la sfida della lingua riguardava l'inglese, per i nostri figli la sfida riguarda la conoscenza della lingua e della cultura italiana. Ma ciò è reso più difficile dalla necessità  di essere assimilati dalla società  americana e dal dover competere con quanti lavoravano o studiano con loro.

Oggi, l'emigrazione italiana verso l'America è terminata, ma per noi, nati o residenti all'estero da diversi anni, la sfida riguardante il mantenimento del nostro retaggio culturale permane, e forse è ancora più forte. Ci chiediamo, infatti, quale futuro avrà  la collettività  italiana negli Stati Uniti e se, nella memoria dei nostri discendenti, rimarranno tracce dell'epopea migratoria italiana, che ha inciso anche nella storia di questa grande nazione. Quali sono, allora, i nostri compiti affinché questa 'memoria' non scompaia, e quali le responsabilità  delle istituzioni italiane?

Le sfide della collettività  italiana

Come responsabili della 'Federazione delle organizzazioni italoamericane' di Brooklyn, già  da dieci anni constatiamo che stiamo 'perdendo' i giovani: non per l'insuccesso dei loro studi o per scelte sbagliate della loro vita. Noi siamo fieri di loro: quasi tutti sono infatti laureati o studenti universitari, si stanno costruendo una base culturale che ne assicurerà  il successo professionale. Nel 2000, essi certamente si imporranno nei settori operativi in cui si inseriranno. Rimane, però, un interrogativo: hanno la consapevolezza delle loro radici? Si considerano solo americani, o accolgono con favore il retaggio della cultura dei loro padri? Come rapportare il nostro patrimonio generazionale ai loro specifici interessi? Oggi i giovani sono sempre più attratti dalle nuove specializzazioni professionali e dalle nuove tecnologie; ma sono interessati a tutto ciò che li aiuta a estendere maggiormente le conoscenze e le loro potenzialità ? Ancora una volta, la cultura e la lingua italiana difficilmente rientrano nei loro interessi, e in ciò che è necessario per crescere con successo in professionalità .

Per noi genitori, con un piede nel Novecento e l'altro nel Duemila, la sfida rimane aperta, ma siamo aiutati a superarla dalla situazione sociale della terra in cui siamo venuti a cercare un'occupazione e a dare un avvenire ai nostri figli. Qui, abbiamo trovato diversi gruppi etnici che hanno creato, con la loro presenza, uno spirito di competizione e tante occasioni per spingerci a dare il meglio di noi stessi.

Viviamo l'italianità  - con la sua cultura, la sua lingua e le sue usanze - in un mondo in cui è necessario competere per sopravvivere, con una visione positiva del Duemila, che offre nuove e diverse prospettive alle nostre famiglie e alle nostre associazioni. Noi italiani siamo fedeli alla famiglia. La sfida, in tal caso, è di perpetuarci, donando la parte migliore di noi stessi ai figli, preparandoli ad affrontare le sfide del terzo millennio. Nutriamo la speranza che essi abbiano un positivo impatto con la società  in cui sono inseriti.

Mentalità  nuova per le associazioni

Anche le nostre associazioni devono essere consapevoli del particolare momento storico che stiamo vivendo. Come loro rappresentanti, abbiamo suggerito alle regioni e alle istituzioni italiane di cambiare la politica dell'emigrazione, tenendo presente il processo dinamico che sta trasformando il pianeta in un 'villaggio globale'. L'Italia e le sue istituzioni hanno in noi, e soprattutto nei nostri figli, una grande potenzialità  di risorse. Se diamo uno sguardo agli Stati Uniti, ma anche alle nazioni che hanno accolto in quest'ultimo secolo milioni di italiani, troviamo tra i loro discendenti docenti universitari, uomini politici, imprenditori e responsabili nei settori dell'industria e del commercio. Con un processo di investimento 'di ritorno', sono divenuti i promotori di interscambi, soprattutto culturali, rendendo l'Italia centro della cultura del mondo.

Che ruolo hanno allora le associazioni in questa fase storica? Rivolgendo l'attenzione a quelle attualmente esistenti in Usa, e sono molte, devo constatare che vivono un momento di difficoltà , ma con grandi speranze. Il processo tecnologico e i nuovi mezzi di comunicazione stanno già  rivoluzionando mentalità  e strutture associative. I nostri figli, con i nuovi strumenti multimediali, riescono a rapportarsi con università  e centri operativi d'ogni continente venendo a conoscere dati e situazioni che prima richiedevano settimane e mesi di lavoro.

Quale influenza avrà  questo processo evolutivo nei nostri rapporti umani e nella vita delle nostre associazioni? Esse dovranno avere il coraggio di cambiare stile e mentalità , aprendo le porte ai giovani. Non sarà  facile, ma l'esperienza della Fiao è in tal senso significativa. L'associazione è sorta con lo scopo di riunire gli italoamericani e rispondere ai loro bisogni. Fin dall'inizio, assieme ad altri giovani professionisti volontari, studiavamo dei programmi di servizi, a livello formativo e sociale, per competere con gli altri gruppi etnici - come gli spagnoli, gli ebrei e i portoricani - che da tempo ottenevano ingenti risorse dai fondi pubblici americani, per i loro servizi e programmi. Da emarginati che eravamo, ci siamo talmente impegnati fino ad ottenere dai fondi governativi, un milione di dollari all'anno per sostenere i nostri programmi e servizi per l'intera comunità , ma principalmente a favore degli italoamericani. Per noi è stato un grande successo aver aperto a New York un centro di servizi di assistenza sociale e di consulenza per le famiglie italiane. Eroghiamo ogni anno trentamila dollari in borse di studio, per incentivare da parte dei giovani la scoperta della loro identità  originaria. Il centro gestisce scuole di lingua e cultura italiana, dove lo studio e le ricerche si fanno anche con il computer; attività  formative e sportive per ragazzi e per giovani; corsi di danza italiana. Si stampa anche un giornale, pubblicato in italiano e in inglese, con lo scopo di mantenere i legami tra la nostra generazione e quella dei giovani.

Businessmen col pallino dell'italiano

Se dovessi esprimere il mio pensiero sul futuro della collettività  italiana negli Stati Uniti, risponderei che noi della prima generazione, 'speriamo molto' e nello stesso tempo 'speriamo niente'. Speriamo molto perché, se oggi seminiamo bene, i nostri figli o nipoti potranno inserirsi con successo nella società  come italoamericani. E se continueranno a prepararsi per la loro futura professione, con quella dinamicità  che è propria d'ogni italiano, otterranno certamente posti di responsabilità . I dati di una recente indagine, fatta negli Stati Uniti, dimostrano che gli italiani sono arrivati ai vertici della vita politica, industriale e commerciale. Lo constatiamo anche nello stato di New York, dove gli emigrati italiani hanno avuto un grande successo. Quello però che noi abbiamo fatto è ancora niente in confronto a quello che i nostri figli potranno realizzare: il nostro più grande risultato è quello di aver dato ai figli la possibilità  di divenire dei veri professionisti.

La maggior parte di loro non parla l'italiano, tutti però amano l'italianità , perché il made in Italy, la quasi sconfitta della mafia a livello di mass-media, i successi italiani nello sport e nella moda, hanno trasmesso loro l'orgoglio di dichiararsi di discendenza italiana. C'è un altro segno positivo: il ritorno dell'interesse per la lingua e la cultura dei padri. Le classi di lingua e di cultura italiana, gestite dalla Fiao, sono oggi frequentate da persone trentenni o quarantenni, tutti professionisti, desiderosi di imparare l'italiano con i loro figli. Alla specifica domanda 'Chi sei?', oggi essi rispondono: 'Sono italoamericano; i miei genitori non conoscevano l'inglese, ma mi hanno mandato all'università , affinché divenissi avvocato, medico o dirigente d'azienda'.

È un segno positivo in netta controtendenza rispetto al passato. Uno dei motivi per cui, circa la questione se spero molto o niente sul futuro dell'italianità , sono tentato di rispondere, con serena fiducia nella storia: 'spero in niente', sicuro però che i nostri figli vivranno l'identità  da noi trasmessa con modalità  diverse, ma consapevoli del patrimonio culturale delle loro radici.

Jack Spatola è impegnato fin dal 1976, come volontario, nella Fiao, la 'Federazione delle organizzazioni italoamericane' di Brooklyn. All'inizio come assistente di quanti desideravano divenire cittadini americani, poi come rappresentante degli insegnanti italoamericani per lo stato di New York, segretario, tesoriere, vicepresidente e presidente dell'associazione, che oggi coordina l'attività  di una cinquantina di organizzazioni. Nel 1991 il sindaco di New York, Dickens, lo scelse come 'commissario per i diritti umani', carica che il sindaco Giuliani gli ha rinnovato. Preside di scuola per professione, recentemente Spatola è divenuto sovrintendente di sette istituti scolastici, frequentati da circa diecimila studenti. 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017