Zanchin sull’Honda del successo

Il re degli autosaloni di Toronto è un self-made-man. Il suo segreto? Umiltà e tenacia. Ma non si sente arrivato. Tra le sue doti: ambizione, coraggio e senso del limite.
20 Febbraio 2004 | di

Ho incontrato Giuseppe Zanchin, con l";amico Franco Donato, in occasione del ritorno a Villa del Conte, suo paese natale, per ricevere la medaglia d";oro conferita a un gruppo di padovani residenti all";estero e premiati per aver «onorato l";Italia nel mondo». Oltre a partecipare alla cerimonia di premiazione, organizzata dalla Camera di Commercio e dall";Associazione Padovani nel Mondo, Giuseppe ha visitato anche la Basilica del Santo offrendomi così la possibilità  d";intervistarlo e conoscere la sua singolare esperienza di vita.
«Fin da giovane nutrivo una voglia tremenda di conoscere il mondo e, stimolato dalla presenza a Toronto della sorella Iva, nel 1962 la raggiunsi non con l";intento di rimanerci, ma per verificare cosa mi offriva il Canada di diverso dalle poche proposte di lavoro che trovavo in Italia».
Il suo primo inserimento nel mondo lavorativo è provvisorio, ma doveva avergli già  dato qualche prospettiva positiva e, quando la sorella Iva decise di ritornare definitivamente in Italia, egli rimase in Canada. «Solo quando sono rimasto solo, ho maturato la mia decisione di rimanervi stabilmente, sposando quasi subito una bellissima e brava italiana, d";origine calabrese, Caterina», aggiunge. Il matrimonio, infatti, darà  una svolta alla sua vita. Zanchin era ancora un giovanotto ma con l";aiuto della moglie manifesta subito la volontà  di costruirsi un futuro. «Iniziai come carrozziere in un garage di auto usate, ma dopo quattro anni ne assunsi la proprietà . Successivamente divenni concessionario delle auto Honda: un";attività  che ho sempre più ampliato fino a realizzare, nel vasto territorio della «Grande Toronto», 15 saloni. Sono dei grandi punti vendita delle ditte automobilistiche giapponesi e della Volkswagen, con annesse carrozzerie e officine, e un personale che supera le 500 unità Â».
Un inserimento nel mondo canadese che ha bruciato tante tappe. Com";è stato possibile?
È un interrogativo che anch";io mi sono posto. Tra il 1973 e il `€˜74, quando iniziai la mia attività  imprenditoriale, anche in Canada si faceva sentire la crisi petrolifera, e la diffusione della nuova Honda, per le caratteristiche che offriva, trovò subito una buona accoglienza. Nel 1973 aprii così il mio primo salone. Nel ";79 inaugurai il secondo, e successivamente tutti gli altri, con l";aiuto della mia famiglia, soprattutto di un mio genero che ora gestisce la vendita della Volkswagen. Il mio motto è: «qualsiasi battaglia si vince assieme, mai da soli». Mia moglie mi è sempre stata accanto. Mi ha donato due figlie: Laura e Andria, che sposatesi, a loro volta ci hanno regalato due nipotini: Gianluca e Allegra.
Sul mio inserimento nel mondo imprenditoriale, voglio però raccontare un episodio. Quando, cinque anni fa, ho incontrato la persona che mi ha dato la possibilità  d";intraprendere la mia attività  "; un certo Robinson ";, gli ho chiesto come mai, nel lontano 1973, mi aveva concesso la vendita di nuove macchine, essendo io ancora un esordiente con esperienze e risorse molte limitate. «Perché ho intuito in te una voglia e un desiderio di fare, superiori alle altre due cose che hai detto», mi rispose. Fin dal principio, infatti, avevo un";idea chiara di quello che volevo realizzare, anche se mi trovavo in difficoltà , anche finanziarie. Per la mia specifica professione, non ero come tanti altri connazionali che operavano in settori totalmente diversi. Qualche volta, trovandomi nei meeting con imprenditori canadesi o d";altri Paesi, provavo un senso di soggezione non conoscendo ancora bene l";inglese. Superai queste difficoltà  con la mia tenacia, tanto che ben presto trovai attorno a me rispetto e stima non solo da parte dei colleghi che operavano nello stesso settore, ma anche da parte delle banche. La loro fiducia mi aiutò a sviluppare l";azienda, senza che io ne abusassi. È importante capire quando ci si deve fermare».
Oggi si considera un uomo realizzato?
No. Uno dei mali che affliggono tante persone è quello di considerarsi tali e di abbassare la guardia. Ho ancora degli obiettivi da raggiungere, soprattutto un progetto che mi consentirà , fra cinque anni, di mettere insieme altre dieci concessionarie d";auto. Nella mia professione è importante preparare il personale e trasformare gli ambienti e i contatti in occasioni che facilitano i rapporti con i clienti, che io considero come amici. Tutto ciò richiede anche rinunce sul piano economico, nell";immediato, ma offre maggiore fiducia e valore nel tempo. Anche questo stile fa parte della nostra imprenditorialità  e ingegnosità .
Si è sempre considerato italiano, con un certo attaccamento alla nostra lingua e cultura?
Ho sempre valutato quali potevano essere le scelte migliori per me e per la mia famiglia. In tali scelte c";è l";amore per la mia terra natale, la mia identità , la lingua e la cultura delle mie origini, ma sono sempre stato attento ai valori del Paese in cui sono inserito. Le mie figlie si definiscono: «italiane in Canada»; parlano bene la nostra lingua, e ogni volta che si recano in Italia ritornano con una nuova carica d";italianità  e tanta voglia d";essere figlie d";italiani. A Toronto sono abbastanza attivo nella Federazione Veneta. Tramite mia moglie, d";origine calabrese, seguo l";attività  dell";Associazione dei calabresi. Sono in contatto "; e in parte sostenitore delle loro opere "; con alcuni sacerdoti italiani, come padre Gianni Carparelli e padre John Borean, parroco di una delle più belle chiese di Toronto, dedicata a Santa Chiara.
Sulla scorta della sua esperienza, ritiene che la comunità  italiana sia apprezzata in Canada?
Non solo è apprezzata, ma si distingue nei confronti degli anglosassoni e degli altri gruppi etnici. Si è distinta in passato e continua a distinguersi oggi nella maniera giusta. È divenuta una potenza, con presenze significative in qualsiasi settore. Diversi anni fa si distingueva nel settore edilizio, ma oggi, caduti i vecchi stereotipi, i nostri connazionali e i discendenti di italiani hanno conquistato responsabilità  significative in campo politico, e autorevolezza nel mondo imprenditoriale e industriale. Gli italiani e gli italocanadesi sono ovunque rispettati per le loro capacità .
Che idea ha dell";italiano che va all";estero?
È un uomo che sa farsi valere per quello che è, per le sue capacità . Per me non esiste più il termine «emigrante». Oggi la caratteristica degli italiani nel mondo è quella di essere segno di tante mete raggiunte in settori e campi diversi. Sono uomini che hanno esportato all";estero la loro cultura, la loro mentalità , la loro voglia di realizzare quanto avevano in animo. Io mi sono sempre considerato uno di loro, anche quando ho cominciato la mia professione «da zero». Non ho mai accettato che mi chiamassero un «emigrante» legato ai vecchi cliché, ma che mi considerassero un italiano residente all";estero, consapevole degli obiettivi che voleva raggiungere e della velocità  che doveva sostenere per ottenerli. Il mio sguardo è rivolto, anche oggi, ai traguardi che voglio raggiungere e la mia attenzione è di mantenere il passo giusto».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017