Buon viaggio Alain!
Un intellettuale del nostro tempo, forse l’ultimo intellettuale del nostro tempo. È così che descriverei il professore Alain Goussot, di origine belga, docente di Pedagogia speciale all’Università di Bologna, scomparso lo scorso 26 marzo, sabato santo. Un caro amico, oltre che un collega, che vale la pena ricordare con le debite parole e senza reticenze.
Perché Alain, nel suo campo, quello dell’educazione e della pedagogia, ma anche della psicologia e dell’antropologia, ha lasciato il segno. Il segno del sapere, gettando importanti basi per nuove ricerche, e il segno della persona, attenta, anzi di più, curiosa, anche su quello che non condivideva del tutto. Ateo convinto, Alain non ha infatti mai smesso di interessarsi alla religione o, meglio, alle religioni.
E le ha messe in pratica tutte, capace di mettersi in gioco nel profondo e ponendosi sempre dalla parte dei più deboli. La diversità, a partire da ciò che anche per lui si palesava come alieno e distante, è sempre stata una sfida, l’occasione per andare oltre e destrutturare i meccanismi incorporati nella società e nelle nostre percezioni umane fino a ribaltarle in una nuova dimensione etico-politica.
Attivo tra i ricercatori dei cosiddetti «Disabilty Studies», Alain si è dunque occupato da vicino della disabilità, concentrando la sua riflessione in particolare sugli aspetti legati all’adultità, al rapporto tra la disabilità e le altre discipline in un’ottica transculturale fino a sottolineare, negli ultimi anni, come il passaggio tra i termini «integrazione» e «inclusione» nella scuola si sia negativamente autoridotto nelle stigmatizzazioni dei Bes (Bisogni educativi speciali).
«Sulla questione dell’inclusione – scrive Alain in un articolo uscito su “La letteratura e noi” – occorre confrontarsi e chiarire meglio di cosa stiamo parlando. Per anni si è parlato di integrazione, in particolare in riferimento all’integrazione scolastica e sociale degli alunni con disabilità (…) si diceva che fosse importante creare delle opportunità e delle situazioni educative e formative in grado di rimuovere barriere e ostacoli. Di modificare, tramite la mediazione dell’azione educativa, pregiudizi e situazioni handicappanti produttrici di esclusione, autoesclusione e stigmatizzazione/interiorizzazione.
Poi da alcuni anni si è cominciato a parlare d’inclusione, precisando che si voleva sottolineare che il cambiamento non poteva essere a senso unico ma reciproco (soggetto e ambiente). (…) Ma – continua il professore – sorge un dubbio: se il concetto d’inclusione è strettamente connesso agli indirizzi proposti sui cosiddetti Bes e si muove nella direzione del differenzialismo, allora cosa vuol dire includere?».
Difficile, se non impossibile, non aprire un dibattito dopo una domanda di Alain o leggendo le sue numerose pubblicazioni. È accaduto lo stesso con altri temi, che sempre hanno preso voce a partire da un vero e proprio «chiodo fisso» del professore: l’ideologia della diversità. L’idea, cioè, che si debba sempre «cercare la diversità dell’altro anche in termini positivi».
Tornare all’uguaglianza, questo chiedeva Alain, vedere l’altro come altro io ma diverso da me. Partendo dalle similitudini accettare le differenze. Perché le differenze stanno insieme e insieme, in quanto tali, non creano più né separazione né scissione. Ciao, caro compagno di lotte per l’inclusione della disabilità nella comunità sociale. Buon viaggio mio inconsapevole cristiano! Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.