Pa-pa-parla Tartaglia

A carnevale, ma anche nella vita, si intrecciano assurdità, diversità e comicità. Tre facce della stessa medaglia che ci consentono di sdrammatizzare la realtà anche quando ci sembra impossibile da gestire.
07 Febbraio 2015

Spesso chi lavora con la disabilità si ritrova al centro di situazioni comiche. Tra gli innumerevoli episodi che potrei citare, sono particolarmente affezionato a una scenetta il cui protagonista è un nume tutelare nell’ambito dell’educazione alla disabilità, che molti di voi conosceranno: il professor Andrea Canevaro.

Un giorno – mi raccontava Andrea – stava guidando tranquillamente per strada in compagnia di Federico, un amico con sindrome di Down. A un certo punto il professore fece una manovra un po’ brusca e, come spesso accade, fu affiancato da un taxi, il cui autista, piuttosto indispettito, tirò giù il finestrino e senza mezzi termini gli urlò: «Mongoloide!». Improvvisamente nella loro macchina calarono il silenzio e il gelo… Canevaro, imbarazzato, non sapeva proprio cosa fare. Finché, dopo dieci lunghissimi minuti, Federico non esclamò: «Andrea, però, diciamocelo, ci ha preso!». Ovviamente risate a non finire, il ghiaccio si è sciolto subito come nel tè sotto l’ombrellone di luglio...   Perché racconto ora questo episodio? Anche quest’anno siamo arrivati a carnevale, il tempo delle maschere, delle feste senza freni, del ribaltamento momentaneo dei ruoli che la società più o meno consapevolmente ci impone. Se è vero che il carnevale è il tempo dell’eccezionalità e del «cambio di maschera» tra ciò che è palese e ciò che è nascosto, questo periodo dell’anno così atteso da grandi e piccini è anche il tempo dei contrasti e dei paradossi, del tragicomico cioè che si cela in ognuno di noi tra pregi e difetti. Pensateci bene: la tradizione ha sempre associato alla diversità un tocco di comicità. Mi vengono in mente, per esempio, la maschera di Tartaglia e il personaggio di Pappagone, due figure centrali nella storia del teatro e della televisione italiana; il primo grazie alla commedia dell’arte, il secondo creato e interpretato dal celebre Peppino De Filippo. 

Tartaglia, lo dice il nome, è un ometto affetto da balbuzie, medico, avvocato o farmacista a seconda delle esigenze, innamorato cronico e per di più con qualche problema alla vista…

A differenza dell’esuberante e astuto Arlecchino, Tartaglia è un tipo che nelle sue parole si impappina, che non riesce a dire quello che vorrebbe come vorrebbe e che spesso, proprio per questo, viene frainteso dagli altri, condizionando così inevitabilmente il corso delle vicende e degli eventi. Ancora più caotico il Pappagone di De Filippo, che con le sue incapacità finisce per svelare le contraddizioni e le mancanze della società e dei suoi interlocutori, tra autoironia ed episodi al limite del non-sense. Difficile non identificarsi con loro. A tutti, almeno una volta, è capitato di modificare o usare le proprie incapacità in situazioni paradossali, per mettersi in dialogo con gli altri e stravolgere così le circostanze.

A carnevale, e a mio parere anche nella vita, si intrecciano sempre tre termini: assurdità, diversità e comicità. Tre facce della stessa medaglia che ci consentono di sdrammatizzare la realtà anche quando ci sembra impossibile da gestire.

E voi, vi sentite più Tartaglia o più Pappagone? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.  

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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