Solo l'umano può annientare il disumano
«Dopo i fatti di Nizza, con lo strazio nel cuore, cosa possiamo dire ai nostri figli? O si può far riferimento al miope repertorio dello scontro tra civiltà, o ci si può affidare alle possibilità offerte da una strada nuova, tutta da costruire.
Questa strage ci richiama all’esigenza di conoscere chi vive con noi e alla necessità di lavorare per una convivenza che sarà difficile da realizzare, ma non impossibile. Allora non pensiamo a un’Europa fatta solo di europei; piuttosto sogniamo un’Europa che non sia solo economica, ma che conosca la propria storia, le proprie radici, per rispondere alle nuove richieste culturali, politiche e sociali che oggi le sono poste... Si professi la fede nella sacralità della vita umana in tutte le sue forme… Percorriamo la strada che esige una giusta giustizia per tutti coloro che vivono nelle nostre città, che siano europei, nuovi europei, profughi e immigrati, per consegnare ai nostri figli un futuro in cui non ci siano quartieri ghetto dove crescono i germi dell’odio. Facciamolo oggi, perché da domani non vorremmo più dover spiegare ai nostri bimbi fatti come questi, dove le madri piangono i loro figli, in quanto vittime o in quanto carnefici.
Chi si è gettato sulla folla era un figlio, uno sposo, un marito e un padre. Declinazioni di un’umanità perduta perché un figlio, un padre e uno sposo non potrebbero aver fatto questo senza essersi prima spogliati del senso dell’umano... In ricordo di chi da oggi non potrà più parlare, correre e guardare il mare, non possiamo pensare di non voler costruire una convivenza vera, un dialogo profondo. Le nazioni devono mettere la dignità della vita di ciascuno e di tutti al centro del proprio operato. E se i grandi non inizieranno ad aprirsi, iniziamo noi. Che si aprano le nostre case, i nostri appartamenti sui pianerottoli deserti per accogliere lo sguardo del nostro vicino, per discutere e capire. Riscopriamoci uomini che camminano sotto lo stesso cielo. Chi vuole riportarci al tempo delle crociate non tiene conto del cammino fatto. Padri e madri emigrati in Occidente, insegnate ai vostri figli la gratitudine per essere venuti in Europa… Avete scelto per i vostri figli dei Paesi che affondano il loro essere in una comune cultura cristiana, piaccia o non piaccia ai detrattori della religione di casa nostra. Lavorate insieme a noi... Nell’ottenere la cittadinanza non cercate solo il pezzo di carta, ma l’opportunità di fare parte di un territorio, di una comunità e della sua storia... E noi, padri e madri italiani ed europei, insegniamo ai nostri figli l’accoglienza, il rispetto, che bisogna battersi per la giustizia sociale con le armi della democrazia. Le istituzioni scolastiche siano il porto di accoglienza per le nuove generazioni nate in Europa da famiglie di cultura islamica. Avvenga questo senza tradire le origini e le radici della nostra cultura, che hanno prodotto una società tale da essere sognata e desiderata da milioni di persone. La scuola insegni che ci sono diritti e doveri, e che i diritti sono stati conquistati con fatica. Non dimentichiamo le nostre origini, altrimenti le nostre mani saranno vuote…».
Oriana D’Anna
Mi perdonerà, cara Oriana, i tanti tagli alla sua lunga e bella lettera. Ho cercato di privilegiare gli spunti che possano sollecitare un dibattito che ci porti oltre lo sgomento e ci dia la forza di trovare reazioni all’altezza dei nostri valori, senza nulla togliere alla giusta prudenza. Purtroppo, dopo la sua lettera sono avvenute altre stragi in Europa e nel mondo. Riflettere su quanto sta accadendo è sempre più importante. Lei insiste sulla necessità di guardare ai fatti cercando l’elemento umano.
A un certo punto lei sostiene che un padre, un figlio, un marito non potrebbero mai perpetrare una strage se restassero tali. Questa frase mi ha riportato alla mente pensieri più volte espressi dagli ex terroristi degli anni di piombo in Italia: c’è chi ha confessato che durante gli appostamenti non guardava mai le vittime in faccia, per non essere «indebolito» dalla loro umanità; c’è chi ha detto espressamente che essere strumento di un’ideologia, qualunque essa sia, anche se seguita con le migliori intenzioni, ti rende una macchina senza cuore. Altrimenti non potresti agire. Ciò mi fa pensare che l’umano ha la capacità di annientare il disumano e che quindi va coltivato come una pianta preziosa. Farlo inaridire, inaridisce la lotta. Bisogna reagire, tenendone conto.
Mi viene in mente quel nonno che ha salvato i nipoti ma ha perso una gamba sulla Promenade Des Anglais di Nizza. Al giornalista che chiedeva se serbava rancore, ha risposto sereno: «Rancore per chi? Tutto questo è così lontano da noi…». Secoli di storia parlano attraverso quel nonno. Lontano dall’umano c’è solo il baratro. Sta a noi trovare il modo fermo ma coerente con i nostri valori per non cedere alla barbarie. Lei ne suggerisce uno: conosciamoci, conosceteci: siete qui, cari fratelli di altri popoli e religioni, per condividere la nostra storia, che è storia millenaria.
Di fatto, gran parte di ciò che sta accadendo si basa su pregiudizi: c’è chi giustifica il terrorismo islamista leggendolo come reazione al colonialismo e al capitalismo degenerato. D’altra parte c’è chi fa di tutta l’erba un fascio, identificando nell’islam la causa di ogni male. E mentre i fanatici si nascondono dietro gli «ismi», l’umanità precipita. Da un lato si cerca l’angelo della morte per bruciare veri e presunti mali del passato, dall’altro si cerca l’uomo forte nella speranza che risolva per miracolo ogni problema. Chi conosce non può cadere in nessuna delle due trappole. Sa fare le differenze, sa bonificare il proprio odio, sa tenere a bada la reazione scomposta della propria pancia. La libertà invocata da tanti pesa, è responsabilità.
Anche in questo, signora Oriana, sono d’accordo con lei, ognuno di noi deve sporcarsi le mani, deve aprire i pianerottoli della sua casa e del suo cuore. Nessuno lo farà al posto nostro. Mi viene in mente l’ultimo aneddoto, questa volta ha per protagonista Aldo Moro, lo statista della Democrazia Cristiana ucciso dalle Brigate Rosse. Un giovane gli si avvicina e gli elenca tutti i mali dell’Italia. Lo statista lo ascolta con pazienza e in silenzio. Alla fine lo guarda e gli dice: «E tu, che fai»?