Fra e Flo, genitori in missione

Italiano lui, filippina lei, hanno una figlia biologica e 27 figli adottivi in una delle isole più povere delle Filippine. Ecco come voi lettori state aiutando la loro missione, a favore dei bambini di strada.
20 Luglio 2018 | di

«Qui nun ce sta la corente da sette ore e neppure internet. Spero che ti arrivino i miei messaggi vocali su WhatsApp». L’accento romanesco di Francesco balla sul filo verde della chat. Sotto, la fila di iconcine rivela che i messaggi, pur a intermittenza, sono arrivati a destinazione. Sette pillole di conversazione giunte dritte da Calabnugan, provincia di Sibulan, isola di Negros Oriental nel Centro-Sud delle Filippine. «Mi chiamo Francesco Izzo e insieme con mia moglie Flora Aguit (Flo per gli amici), filippina, gestiamo una casa famiglia. Attualmente facciamo da papà e mamma a venticinque bambine e due bambini. Abbiamo anche una figlia naturale che si chiama Luce e ha 12 anni. Per sostenerci curiamo il giardino e l’orto. Abbiamo qualche animale, galline, tacchini, oche, una mucca, sei maiali, alcune capre. E da qualche tempo, grazie al vostro aiuto, anche sei vasche per l’itticoltura».

Tutto inizia nel 2016, quando un referente di Caritas Antoniana segnala a fra Valentino Maragno, responsabile dell’opera, le difficoltà della casa famiglia di Francesco e Flora, che accoglie bambini maltrattati, abusati o abbandonati. Le necessità sono davvero grandi e i soldi raccolti attraverso le due realtà fondate dai coniugi – «Bata ng Calabnugan» (letteralmente «I bambini di Calabnugan») nelle Filippine e l’Onlus «Isla ng Bata» («L’Isola dei bambini») in Italia – non sono sufficienti. Bisogna inventarsi qualcosa, un’attività che possa integrare il reddito. Da qui l’idea della coltura della tilapia, specie di pesce economico da allevare. Anche senza possedere la somma necessaria, Fra e Flo iniziano l’impresa, ma saranno i 40 mila euro donati dai lettori a permettere il completamento dell’opera, finanziando gli interventi di difesa idraulica e la costruzione delle sei vasche. A un anno di distanza il progetto è a pieno ritmo: «Tutti i pesci in più che riusciamo a produrre oltre il nostro sostentamento, li vendiamo per acquistare altri beni di prima necessità, come il riso». Un sospiro di sollievo, misto a gratitudine: «Grazie per aver creduto in noi».

Matrimonio a sorpresa

«L’idea della casa famiglia è nata quasi per caso – racconta Francesco dal filo verde del social media –. Avevo fatto altre esperienze di volontariato, la più significativa in India. A Padova, dove lavoravo, ho conosciuto mia moglie. Nel 2002 sono venuto nelle Filippine per la prima volta per incontrare i suoi genitori, visto che volevamo sposarci. Venire qui è stato illuminante. C’è tanta povertà e tanti bambini di strada, naturale che ci venisse in mente un progetto». Francesco e Flo tornano in Italia per il matrimonio. Ma dopo la cerimonia, niente ristorante, vestiti, fiori. Solo una «festicciola» tra scout. «Abbiamo chiesto agli amici di aiutarci ad avviare il progetto», e oggi il regalo di nozze splende più di qualsiasi bomboniera. «Il nostro obiettivo è dare un futuro ai bambini o almeno dimostrare nei fatti che un altro modo di vivere è possibile. Lavoriamo molto anche per ricostruire i legami spezzati con le famiglie d’origine, ma a volte questa è la parte più frustrante: spesso ritornano gli abusi e i bambini ripiombano nel buio. Sono i momenti in cui vorresti mollare tutto. Ma per fortuna altre volte siamo davvero fieri, per esempio quando uno di loro riesce a scuola o vince una gara di sport».

S’intuisce dal racconto spezzettato di Francesco che la vita sua e di Flo è un puzzle intricato di orari, attività, presenze, fatiche, economie di tempi e di risorse per dare ai bimbi tutto il bene possibile, almeno negli anni che possono stare con loro. «Quando c’è scuola la sveglia è alle 4.40, perché alle 7.00 bisogna essere sui banchi. Ogni mattina è una guerra, come in tutte le famiglie: c’è chi non vuole andare a scuola, chi fa i dispetti, chi si prende il quaderno dell’altra. Alle 11.30 ritorniamo a scuola col pranzo fatto da noi: non possiamo permetterci la mensa. Poi portiamo le bimbe più piccole all’asilo del pomeriggio. Alle 17.00 andiamo a riprendere tutti. Le bambine dai 6 anni in su si lavano i panni da sole. Dopo mangiato, ognuno lava le proprie stoviglie, e poi tutti a studiare fino alle 20.30. Alle 21.00, nanna. D’estate ci inventiamo di tutto per tenerli in attività e, possibilmente – aggiunge ridendo –, anche per farli stancare: trekking, roller blade, salti nel tappeto elastico regalatoci dai volontari. Quando riu­sciamo, li portiamo al mare. Tutti i pomeriggi ci sono le attività nell’orto e con gli animali per imparare rudimenti di agricoltura e allevamento. Per nostra fortuna abbiamo anche un amico che possiede un resort e che a volte ci ospita a prezzi stracciati».

Genitori in carne e ossa

Ma come si fa a essere madri e padri efficaci quando si hanno così tanti figli? «Ci siamo accorti che i bambini avevano bisogno anche di momenti esclusivi con noi. Da allora, ogni venerdì, un amico ci prepara la cena, e ci andiamo con tre di loro a turno. Usiamo a questo scopo anche le uscite per la spesa». Sono spazi più intimi di affetto e di parole, fondamentali per i piccoli.

E Luce, la loro figlia, che ruolo ha in tutto questo? «È chiaro che se fosse stata figlia unica in Italia avrebbe avuto tutt’altra vita: qui ha dovuto sempre condividere. È inutile negare che abbiamo qualche “paranoia” per il suo futuro. Lei oggi frequenta una doppia scuola, qui e in Italia, grazie a un programma specifico, conosce 4 lingue e, crescendo, è riuscita a capire le nostre scelte. Ognuno di noi, in fondo, è stato condizionato dai propri genitori. Tuttavia, la strada che alla fine imboccherà dipenderà solo da lei».

Il rientro in Italia una volta all’anno è una festa, ma anche una sorpresa non del tutto piacevole: «A Roma se lamentano de tutto, der traffico nel raccordo, della fila alle poste. A me sembra la Svizzera, al confronto con le Filippine. Funziona tutto! Ogni volta trovo gli italiani più depressi, più scontenti. Va bene la crisi, ma forse bisognerebbe farsi tutti un giretto: i danesi in Grecia, gli italiani nelle Filippine. Se tornerebbe a apprezzà. Boh, io ho finito, spero che te arivano sti messaggi. Scusa la domanda: ma tu, te lo sei fatto un giro pe le Filippine?».

Per dettagli sul progetto: www.caritasantoniana.org

Data di aggiornamento: 20 Luglio 2018
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