Sinodo, madre Amazzonia
È di straordinaria grazia e bellezza il sinodo sull’Amazzonia, che si svolge in Vaticano proprio in questo mese. È un intreccio in stile sinodale di due realtà interconnesse: la Chiesa che cammina in Amazzonia e l’Amazzonia che parla alla Chiesa. Anzi, che insegna alla Chiesa cammini nuovi, nel segno di un’ecologia integrale. È un Sinodo dove si fondono con forza profetica il «globale» e il «locale». Con inattese aperture su due fronti: da una parte i poveri, schiacciati dall’accresciuta rapina dei ricchi; dall’altra il creato, spazio sacro del pianeta, incendiato per rapina. Nell’Instrumentum laboris è scritto: «È proprio nell’Amazzonia che si conserva la più alta concentrazione di biodiversità. Il territorio amazzonico contiene infatti una delle biosfere geologicamente più ricche e complesse del pianeta. La sovrabbondanza naturale di acqua, calore e umidità fa sì che gli ecosistemi dell’Amazzonia ospitino dal 10 al 15 per cento circa della biodiversità terrestre ed immagazzinino tra i 150 e i 200 miliardi di tonnellate di carbonio ogni anno».
Il Sinodo poggia su quattro pilastri: vita, territorio, tempo di grazia, dialogo, in armonia con le tre «C» dell’ecologia integrale, al centro della Laudato si’: il cuore, il corpo e il creato. In sintesi, la difesa della vita implica la difesa del territorio. Ed è solo nel dialogo che si intravede un futuro per l’Amazzonia, cogliendo il Sinodo come un tempo di grazia. Stupisce allora la radicalità del cammino di conversione che viene indicato, al numero 102 del documento. È fatto di tre verbi: disimparare, imparare e reimparare. Disimparare, cioè «fare un viaggio interiore per riconoscere gli atteggiamenti e le mentalità che impediscono la connessione con se stessi, con gli altri e con la natura». Purificato il cuore, occorre imparare, «lasciandosi ancora sorprendere dalla saggezza dei popoli indigeni. La loro vita quotidiana è testimonianza di contemplazione, cura e rapporto con la natura». Infine, «reimparare a tessere legami che assumano tutte le dimensioni della vita e ad assumere un’ascesi personale e comunitaria che ci permetta di “maturare in una felice sobrietà”» (LS 225). Questo stile nuovo cambia la nostra visione delle popolazioni indigene. Dobbiamo infatti «guardare con occhi di gratitudine prima di tutto i popoli amazzonici originari, che (…) per migliaia di anni si sono presi cura della loro terra, dell’acqua e della foresta e sono riusciti a preservarla intatta fino a oggi, affinché l’umanità possa beneficiare della gioia dei doni gratuiti della creazione di Dio. Perciò, anche i nuovi cammini di evangelizzazione devono essere costruiti in dialogo con questa sapienza ancestrale».
Il testo in proposito offre preziosi suggerimenti. Se i preti sono pochi, allora si passi da una «Chiesa che visita» a una «Chiesa che rimane». La proposta è talmente necessaria, da rinnovare, solo per questa zona, una secolare tradizione: «Si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i Sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana». E anche la catechesi cambi: sia più narrativa, come narrative sono le parole degli anziani nelle tribù.
Sullo sfondo, s’intravede un’esortazione per la ricca Europa: è arrivato il momento di cambiare stile di vita, per permettere all’Amazzonia di puntare sui valori invece che sul denaro. È infatti il nostro tenore di vita che genera quella logica di rapina, che si materializza poi negli incendi, per ottenere terre da coltivare, feconde subito ma poi subito sterili. Ci auguriamo, perciò, che questo Sinodo sia espressione concreta della sinodalità di una Chiesa in uscita, affinché la vita piena che Gesù è venuto a portare possa raggiungere tutti, specialmente i poveri.