Voglia di unità
In questo numero:
La struttura del decreto è abbastanza semplice, ma il contenuto è molto ricco e articolato. Consta di tre capitoli, preceduti da un breve proemio (cioè introduzione). Il primo capitolo è dedicato ai princìpi cattolici dell`ecumenismo; il secondo ne riguarda l`esercizio (sempre da un punto di vista generale); il terzo, infine, tratta dei rapporti con le chiese e le comunità cristiane separate (cioè con gli ortodossi, i protestanti e gli anglicani).
A colloquio con il cardinale Franz Kà¶nig
Nell`introduzione appare subito lo spirito nuovo che anima la chiesa cattolica nel rapporto con gli altri cristiani. Si afferma infatti che le diversità , più che sul piano della fede, sono su quello del pensiero, della teologia. Inoltre si dice che è lo Spirito Santo stesso che ha suscitato, e ancora anima, l`impegno ecumenico, il quale è tra i «segni dei tempi» che la chiesa deve saper cogliere. Infine, si riconosce senza chiusure, riserve o diffidenze la validità del cammino ecumenico già percorso in gran parte fuori dalla chiesa cattolica, invitando i cattolici a farlo proprio «con animo lieto».
I PRINCàPI
Il principio base cui ogni ecumenismo deve rifarsi è espresso con un lungo ragionamento, denso di contenuto teologico, che apre il capitolo dedicato ai Princìpi cattolici sull`ecumenismo. Si può riassumere nel concetto di «unità e unicità della chiesa»: questa, cioè, è la chiesa ideale, come Cristo l`ha voluta, per la quale ha pregato e a cui ha assicurato la sua costante presenza, rafforzata dall`invio dello Spirito di amore. Due gli elementi richiamati: l`eucaristia, che significa e produce l`unità ; il sacramento nuovo dell`amore-comunione, che caratterizza i veri discepoli di Cristo.
Se questo è l`ideale della chiesa una e unica, come porsi di fronte alla realtà di una chiesa divisa? Il decreto conciliare riconosce, intanto, la varietà e complessità delle cause storiche che hanno portato alle divisioni, «talora ` si ammette ` non senza colpa di uomini d`entrambe le parti». La diversità non sta tanto nella fede, quanto nella dottrina e talora nella disciplina. Infatti molti elementi, buoni ed eminenti, che appartengono alla chiesa di Cristo (parola di Dio scritta, vita della grazia, fede, speranza, carità , altri doni dello Spirito...) sono presenti in varia, benché imperfetta, misura anche nelle diverse chiese. Così pure sono presenti in esse, in modi diversificati, gli strumenti della grazia, come i sacramenti; per cui esse stesse sono in qualche modo strumenti di grazia e di salvezza. Certo, si ammette che la chiesa cattolica possiede la pienezza della chiesa di Cristo, anche se si precisa che la pienezza vera è solo quella escatologica, cioè della fine dei tempi, «la pienezza della gloria eterna nella celeste Gerusalemme».
Il capitolo si conclude trattando esplicitamente dell`ecumenismo, come mezzo per realizzare l`ideale di chiesa una e unica. Dopo aver riconosciuto la validità del cammino sin qui percorso per dono e ispirazione dello Spirito Santo e aver descritto i vari momenti e aspetti di un atteggiamento ecumenico, il documento esprime la convinzione che alla base di ogni impegno ecumenico ci deve essere in ogni chiesa e in ogni cristiano una coraggiosa verifica della propria fedeltà a Cristo, quindi la disposizione a rinnovarsi e riformarsi continuamente.
LA PRATICA
Il titolo, Esercizio dell`ecumenismo, non deve far pensare a suggerimenti o direttive di tipo pratico. Siamo ancora a livello di criteri generali, di orientamenti di fondo per la prassi; con il frequente richiamo a talune enunciazioni di principio espresse nel primo capitolo. Si ribadisce subito il concetto fondamentale: il vero ecumenismo riguarda essenzialemente tutti i cristiani, pastori e fedeli; esso può nascere solo dalla piena fedeltà a Cristo e, quindi, dalla continua riforma o rinnovamento della chiesa e dei singoli cristiani. È un ecumenismo di tipo istituzionale, che riguarda la struttura, la vita intima della chiesa: leggi, disciplina, il modo stesso di annunciare la verità .
Il decreto parla poi di un ecumenismo spirituale. Questo si basa sempre sulla conversione del cuore e sulla santità di vita, per arrivare, con la grazia dello Spirito, a «una sincera abnegazione, umiltà e mansuetudine nel servire, e fraterna generosità di animo verso gli altri». In particolare l`ecumenismo spirituale si concreta nella preghiera, che è l`anima del movimento ecumenico. Preghiera anche (anzi, soprattutto) con gli altri cristiani, specialmente in talune circostanze più o meno ufficiali e stabilite (fra tutte si ricorda la settimana di preghiere per l`unità dei cristiani).
Il documento prosegue parlando dell`ecumenismo teologico. Ricorda innanzitutto la necessità della reciproca conoscenza tra le chiese circa la dottrina, la storia, la vita spirituale e liturgica, la psicologia e la cultura. Sottolinea, poi, l`importanza dello studio della teologia e della formazione dei sacerdoti, che tenga conto dell`ottica e della sensibilità ecumenica.
Il capitolo si conclude parlando dell`ecumenismo operativo. Si tratta di una cooperazione, o lavoro comune, tra i cristiani a servizio dell`uomo: nella difesa della persona umana, nella promozione della pace e della giustizia sociale, nell`impegno per lo sviluppo della cultura, delle scienze e delle arti; per eliminare le grandi sventure della fame, delle calamità naturali e dell`analfabetismo.
LE CHIESE SEPARATE
Intitolato Chiese e comunità ecclesiali separate, quest`ultimo capitolo propone la visione cattolica delle altre chiese cristiane, e quindi dà l`avvio al rinnovato dialogo ecumenico con loro. Due sono le parti di questo capitolo, che si rifanno ai due grandi raggruppamenti in cui si raccolgono le chiese cristiane non cattoliche: le chiese orientali, o ortodosse; e le chiese o comunità ecclesiali separate dell`Occidente, cioè protestanti e anglicani (per maggiori chiarimenti, si veda il riquadro «Cristiani o cattolici?»).
Le chiese orientali sono sentite più vicine. Di esse si ricorda il grande tesoro di cui sono portatrici; cioè la ricchezza della loro tradizione, che si esprime nella spiritualità , nella liturgia, nella legislazione canonica e nella teologia. Il decreto si sofferma soprattutto a illustrare i valori della spiritualità e della liturgia, che possono diventare la base anche per arrivare a ristabilire l`unità con queste chiese.
Anche per le chiese e comunità cristiane dell`Occidente ci si sforza di mettere in rilievo i valori positivi e i motivi di concordia; ammettendo, però, sinceramente che tra esse e la chiesa cattolica esistono «importanti divergenze» anche di «interpretazione della verità rivelata» (divergenze, peraltro, che sono abbastanza profonde anche tra le varie confessioni di questo vasto raggruppamento). Valori ricordati: la comune fede in Gesù Cristo, figlio di Dio, unico mediatore e salvatore; «l`amore e la venerazione e il quasi culto delle Sacre Scritture» (con la precisazione della divergenza con i cattolici nel comprendere il rapporto tra Scrittura e chiesa); nei sacramenti, almeno per il battesimo («vincolo sacramentale dell`unità ») e, seppure in modo parziale, nell`eucaristia; nell`impegno di una vita cristiana intensa di preghiera, di spiritualità e di buone opere (nonostante divergenze nell`applicare il vangelo ad alcuni temi morali).
Il decreto conclude con parole davvero ecumeniche. Il concilio «ripone tutta la sua speranza nell`orazione di Cristo per la chiesa, nell`amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito Santo».
DA RIVALI A FRATELLI
Ecco che cosa ha significato il lavoro del concilio sul versante dell`ecumenismo: ne parla un cardinale che fu uno dei protagonisti di quella ricca stagione della chiesa.
Novantuno primavere. Questo modo di indicare gli anni vissuti, troppe volte suona eufemistico, cioè cortesemente falso, perché rughe e acciacchi rivelano piuttosto i segni lasciati dagli autunni e dagli inverni trascorsi. Ma nel caso del cardinale Franz Kà¶nig, arcivescovo emerito di Vienna, l`espressione è del tutto azzeccata. In buona salute fisica, ancora lucidissimo, il tratto sempre nobile e insieme affabile, il novantunenne porporato ricorda, ancora con emozione, gli anni del concilio, di cui fu uno dei protagonisti.
«Ero appena stato creato cardinale da papa Giovanni, da pochi mesi successore di Pietro, quando poco dopo, il 25 gennaio 1959, nel discorso a San Paolo fuori le mura, ecco la sorpresa dell`annuncio del concilio. Fui chiamato a far parte della commissione preparatoria. Ma il ricordo più bello è legato all`apertura del concilio, l`11 ottobre 1962: il lunghissimo corteo dei vescovi per piazza San Pietro; lo spettacolare colpo d`occhio della marea dei padri conciliari sulle tribune allestite nella basilica; l`arrivo del papa sulla sedia gestatoria... E, su tutto, l`enorme impressione destata dal suo discorso carico di ottimismo, con l`invito ad aprire il cuore alla speranza, senza dare ascolto ai `profeti di sventura`. Ricordo l`emozione e la difficoltà delle prime sedute e discussioni: nessuno aveva esperienza diretta di un concilio. Fu necessario un certo periodo di rodaggio, per prendere confidenza con... lo Spirito Santo».
Msa. Si può dire che il Vaticano II fu un concilio ecumenico non solo nel senso generico di «universale», cioè di adunanza di tutta la chiesa, ma anche in quello più stretto di «impegno per realizzare l`unità dei cristiani»?
Kà¶nig. Questo scopo ecumenico in senso stretto era stato proclamato solennemente da Giovanni XXIII già nel documento di convocazione Humanae salutis, oltre che nel già citato discorso del primo annuncio in San Paolo fuori le mura (significativamente, al termine della settimana di preghiera per l`unità della chiesa). Tra i molti testi da sottoporre alla discussione conciliare, approntati dalla commissione preparatoria, ben tre riguardavano l`ecumenismo. Furono subito rinviati al neonato Segretariato per l`unità dei cristiani (ora Pontificio consiglio per la promozione dell`unità dei cristiani), presieduto dal benemerito cardinale Bea, perché fossero rielaborati e risistemati in un testo nuovo. Questo fu preso in esame e discusso a fondo nel corso della seconda sessione (1963); ripreso, rifinito e approvato l`anno dopo, al termine della terza sessione.
Si tratta del decreto Unitatis redintegratio, che riassume la posizione del concilio circa l`ecumenismo.
Sì, ma non è l`unico documento conciliare che parla di ecumenismo. Essenziali, per esempio, per il riconoscimento del valore e dei valori delle altre chiese e per i rapporti di fraternità e collaborazione con esse, sono le indicazioni contenute nella costituzione sulla chiesa, Lumen gentium. Da ricordare, poi, la Gaudium et spes, specialmente per il dialogo con le religioni non cristiane e con i non credenti. A questi ultimi due tipi di dialogo sono dedicati due documenti specifici: la dichiarazione Nostra aetate (sulla relazione della chiesa con le religioni non cristiane) e la dichiarazione Dignitatis humanae (sul diritto alla libertà religiosa).
Qual è la novità più rilevante e qualificante del decreto sull`ecumenismo, che è ritenuto tra i più importanti del concilio?
In primo luogo, direi proprio la presa di coscienza della gravità del problema ecumenico. Cito solo una frase che sta all`inizio del decreto: «La divisione non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del vangelo a ogni creatura». Ora, più che singole affermazioni o considerazioni, la cosa davvero nuova è il cambiamento di mentalità che questo decreto introdusse nella chiesa. I cristiani delle chiese separate non sono più visti come rivali o antagonisti, ma come veri fratelli. Ci si mette al loro fianco per camminare insieme. Dialogo e collaborazione sono il nuovo atteggiamento della chiesa cattolica. Questo vale anche nei confronti del movimento ecumenico, in particolare del Cec (Consiglio ecumenico delle chiese), che da parte cattolica fino allora era stato dapprima osteggiato e poi visto con diffidenza e molte riserve. Anzi, il concilio afferma esplicitamente che il movimento ecumenico è sorto «per grazia dello Spirito Santo»; quindi, «esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all`opera ecumenica». Naturalmente senza perdere l`identità cattolica.
Come fu il cammino del decreto? Questa novità sostanziale richiesta ai cattolici, di cambiare radicalmente atteggiamento e mentalità , non sollevò timori e opposizioni nei padri conciliari?
In realtà le contestazioni non mancarono, e anche molto vivaci e ostinate. I più conservatori (cito per tutti la figura più nota del cardinale Ottaviani) accusavano il testo proposto di indifferentismo, relativismo (cioè, tutte le chiese e le fedi sono uguali, non ve n`è una vera e assoluta) e di irenismo (cioè, cercare una pacificazione a qualsiasi costo, anche sacrificando verità o pincìpi giudicati assoluti, perciò irrinunciabili). Secondo costoro, veniva messa in discussione e in pericolo la stessa fede cattolica. Gli oppositori si rivolsero, addirittura, direttamente al papa, perché intervenisse e bloccasse il testo in discussione. Ma Paolo VI ha sempre lasciato la massima libertà ai padri conciliari, accettando la decisione della maggioranza di accogliere il testo. Peraltro, al momento della votazione finale, tutti furono sorpresi della esiguità dei voti contrari.
Oltre a questa nuova mentalità che il concilio propone, qual è la base profonda, il nucleo centrale del vero ecumenismo?
Ricorderei soprattutto due concetti tra loro connessi. Il primo riguarda il rinnovamento e la riforma della chiesa, per una maggiore fedeltà alla sua vocazione: qui sta la spinta e la garanzia di un cammino autenticamente ecumenico. In secondo luogo, la conversione del cuore, «poiché ` afferma il decreto ` il desiderio dell`unità nasce e matura nel rinnovamento della mente, dall`abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità ».
Vale la pena di ricordare che per oltre mille anni la chiesa è stata sostanzialmente unita. La prima grande frattura («scisma», con termine greco) risale, infatti, al 1054, con il distacco da Roma dei patriarcati orientali, che diventarono la chiesa ortodossa. Passarono altri secoli prima delle grandi divisioni, nel Cinquecento, delle chiese riformate (luterane e calviniste) e della chiesa inglese (latinamente, anglicana). Ricostituire l`unità non è, quindi, impossibile; anche se è un cammino lungo, difficile, che deve coinvolgere non solo i vescovi e i teologi, ma anche tutti i semplici fedeli.
Come fu accolto nella chiesa cattolica il decreto Unitatis redintegratio?
Inizialmente ci fu addirittura una grande euforia, come per tutto il rinnovamento conciliare. Tuttavia, in molti paesi la gran parte dei cristiani comuni non furono forse abbastanza coinvolti. Non mancarono, poi, crescenti malumori e timori in tanti fedeli; in parte anche dovuti al fatto che le novità conciliari spesso sono state introdotte dall`alto, quasi imposte, senza la dovuta preparazione e le necessarie spiegazioni utili alla loro comprensione e assimilazione. Specie nei paesi in cui il confronto con altre chiese cristiane è più vivo e continuo, alcuni cattolici temettero di perdere la loro identità , addirittura il loro prestigio.
Però ci fu anche una parte della chiesa che giudicò troppo timide le aperture, troppo guardingo il confronto e troppo lento il processo di unità . Pochi anni fa proprio in Italia, in piazza San Marco a Venezia (ricordo ancora l`acqua alta...), una persona mi chiese, preoccupata, quando si sarebbe celebrato un nuovo concilio, un Vaticano III, per risolvere i nuovi problemi della chiesa, tra i quali anche la sempre aperta divisione tra i cristiani. Ho risposto che sarebbe stato già abbastanza se si fossero letti, assimilati e attuati i documenti del Vaticano II.
Ci furono anche delle conseguenze concrete sul piano operativo e dei fatti?
Le conseguenze furono molte. Il decreto impresse una grande accelerazione all`azione ecumenica dei cattolici. Il Segretariato per l`unità dei cristiani istituì diverse commissioni di dialogo bilaterale con le varie chiese, che portarono a grandi passi in avanti, anche se ignorati dal grande pubblico. Lo stesso spirito che ispirò la Unitatis redintegratio, portò all`attenzione rispettosa e al dialogo con i credenti di altre religioni e con i non credenti; anzi, furono istituiti due appositi organismi («segretariati»). Altro momento fondamentale fu il Direttorio per l`applicazione delle decisioni del concilio Vaticano II sull`ecumenismo (Ad totam ecclesia). In senso più largo, ma anche più profondo, può considerarsi frutto di questa nuova mentalità ecumenica il grande incontro di tutti i capi delle grandi religioni, tenutosi ad Assisi proprio dieci anni fa. Ma molti gesti e documenti dell`attuale papa sarebbero incomprensibili se non ci fosse stato questo documento del Vaticano II. In particolare mi sembra significativa l`enciclica Ut unum sint, in cui il papa si dichiara pronto a discutere anche il suo ruolo di «primato», se questo può essere di qualche ostacolo nel cammino verso l`unità .
Il messaggio del concilio dunque, è ancora attuale?
Certo. Ho appena citato l`azione e i documenti di papa Wojtyla. Illuminante, a questo proposito, la recente lettera apostolica Tertio millennio adveniente. Il papa, dopo aver ribadito (n. 18) che il Vaticano II è stato «un evento provvidenziale», afferma che «in nessun altro concilio si è parlato con altrettanta chiarezza dell`unità dei cristiani, del dialogo con le religioni non cristiane...» (n. 19). Parlando, poi, della preparazione al grande giubileo, precisa: «Tra i peccati che esigono un maggiore impegno di penitenza e di conversione, devono essere annoverati certamente quelli che hanno pregiudicato l`unità voluta da Dio per il suo popolo» (n. 34). Quindi anche per l`appuntamento della chiesa con il Duemila, l`impegno ecumenico risulterà essenziale e qualificante.
CHI È IL CARDINAL KàNIG
Franz Kà¶nig è nato nel 1905 nella Bassa Austria. Sacerdote dal 1933, è stato nominato arcivescovo di Vienna nel 1956. Creato cardinale nel primo concistoro di papa Giovanni, fu uno dei protagonisti del Vaticano II ed ebbe un ruolo di primo piano nella chiesa del dopoconcilio. In particolare, tenne i contatti con le chiese non solo cattoliche dell`Est europeo sottoposte alla persecuzione dei regimi comunisti. Convinse il cardinale Mindszenty a lasciare Budapest, in modo da favorire il ritorno a rapporti normali tra Ungheria e Santa Sede. Nel 1965 fu messo a capo del Segretariato per i non credenti, la cui opera portò, fra l`altro, all`importante documento del 1968 sul dialogo con gli atei. Nel conclave del 1978 fu tra i più accreditati «papabili» per succedere a papa Montini. Nel 1985 si è ritirato dalla guida della diocesi e vive in un decoroso appartamento del pensionato per anziani Sankta Katharina, a Vienna.
CRISTIANI O CATTOLICI?
L`universo delle chiese cristiane comporta una profusione di termini che spesso diventa confusione. Alcuni chiarimenti potranno essere utili.
Cristiano: (dal greco Khristòs: unto, consacrato; corrispondente all`ebraico mashià : messia) è chi professa la fede in Gesù Cristo, figlio di Dio e salvatore (e solitamente ha ricevuto il battesimo). I cristiani si suddividono in diversi gruppi (chiese, confessioni, comunità ecclesiali). Ecco i principali:
Cattolici: (dal greco katholikos: universale) si presentano come la chiesa cristiana in senso pieno, riconoscendo al vescovo di Roma (papa) il primato effettivo come successore di Pietro.
Ortodossi: sono le chiese orientali che si sono separate dalla chiesa latina (romana) nel 1054 per divergenze su talune verità di fede, ma non solo... (il termine «ortodosso», comunque, vuol dire «di retta fede»); non riconoscono il primato del papa e non accettano i dogmi proclamati dopo la separazione da Roma. Ogni chiesa nazionale è «autocefala» (indipendente), ma al patriarca di Costantinopoli è riconosciuto un primato d`onore. Ci sono anche chiese ortodosse antiche, che si sono separate dalla chiesa, ancora indivisa, al tempo dei grandi concili di Efeso (431; contro Nestorio) e di Calcedonia (451; contro Eutiche). Sono le chiese nestoriane (dette anche assire o siro-orientali), che vivono ancora in Iran, Iraq, India e Cina; e le chiese monofisite (in greco monos: unico e physis: natura, cioè affermano che in Cristo non ci sono due nature, ma soltanto una), che sono: la chiesa copta egiziana, la chiesa copta etiopica, la chiesa siro-occidentale (nata appunto in Siria e Palestina, ora dispersa in Iran, Iraq e India) e la chiesa armena.
Protestanti o evangelici: (perché fanno del Vangelo e della Bibbia il loro punto di riferimento essenziale) è il nome dato in genere ai cristiani che con la Riforma di Lutero e Calvino si sono staccati da Roma nel Cinquecento. Si distinguono tra: luterani, soprattutto in Germania e in parte dei paesi scandinavi; riformati (in senso più stretto, si rifanno alla dottrina calvinista), sono presenti in Svizzera, in Francia (dove sono chiamati ugonotti), in Scozia e parte dell`Inghilterra (dove sono detti presbiteriani) e in Scandinavia. Vicini alle posizioni dei riformati sono i valdesi, diffusi soprattutto in Italia.
Anglicani: (dal latino Anglia: Inghilterra) rappresentano la chiesa ufficiale inglese, staccatasi da Roma con Enrico VIII nel Cinquecento. Hanno subito influenze luterane e calviniste, ma in molti aspetti sono più vicini alla chiesa cattolica, specialmente per la liturgia e l`organizzazione ecclesiastica (ci sono anco