L’amore ai tempi… della crisi
Lei centralinista da un migliaio di euro al mese, lui avvocato in erba che non ne racimola nemmeno la metà. Stanno insieme dai tempi del liceo, ma da allora nel loro rapporto gran poco è cambiato. All’alba dei 29 anni, lei vive ancora a casa con i suoi. Di poco più vecchio, lui condivide un appartamento di cinquanta metri quadrati con due compagni di (dis)avventure. L’affitto? Glielo pagano mamma e papà. I due piccioncini si ripetono spesso come sarebbe bello avere una casa tutta loro, una truppa di pupi da allevare e magari pure un cane da portare a spasso la sera. Ma a forza di ponderare il grande passo, ora si trovano coi piedi inchiodati a terra dalla paura e dalla pigrizia. Sposarsi? «Magari l’anno prossimo, quando avremo racimolato qualche soldo in più» rispondono in coro. Intanto le stagioni passano e i propositi si risolvono puntualmente in una bolla di sapone. Pensare che solo settant’anni fa bastavano un baule pieno di lenzuola ricamate e un servizio di piatti buono per realizzare un matrimonio e mettere su famiglia… Anche all’epoca la situazione economica non era fiorente, ma si era convinti che, dinanzi alle difficoltà, l’unione facesse la forza. Possibile che ora non sia più così? Cos’è capitato all’anello forte della società, quello dei neoadulti che sono poi il vero motore per il futuro del Paese?
Se lo sono chiesto anche l’Istituto Toniolo e l’Osservatorio Ipsos quando hanno stilato il Rapporto Giovani 2014. Svolta su un campione di 1.727 giovani tra i 19 e i 30 anni, la ricerca ha rilevato come il 70 per cento di essi consideri ancora la famiglia un pilastro essenziale della vita e come il 94 per cento intenda prima o poi costruirne una propria. Peccato che il 60 per cento di questi viva ancora coi genitori e solo un under 25 su tre progetti di sposarsi entro i prossimi tre anni. In altre parole, vorrebbero... ma non possono. O forse non se la sentono. Come se ci fosse uno scollamento tra l’ideale e il reale.
Basta dare uno sguardo anche al Rapporto Istat Il matrimonio in Italia (pubblicato lo scorso novembre) per rendersene conto: nel 2013 in Italia sono stati celebrati 194.057 matrimoni, circa 53 mila in meno rispetto al 2008. Se negli ultimi cinque anni le nozze religiose hanno registrato un calo del 29 per cento, anche a quelle civili (- 9 per cento) non è andata molto meglio. Colpa dell’allungamento dei tempi formativi, della difficoltà d’ingresso nel mondo del lavoro e della sua precarietà, certo. Colpa, insomma, di un sistema che nel 2013 ha costretto il 78,3 per cento dei maschi e il 66,7 per cento delle femmine tra i 18 e i 30 anni a prolungare la permanenza nel «nido» d’origine. Ma siamo davvero certi che le difficoltà economiche (che pur ci sono e sono gravi) siano l’unico motivo di questo ritardo nel realizzare il proprio progetto di vita?
«Chi si appella alla crisi economica si nasconde dietro una foglia di fico – avverte, per esempio, Vittorio Filippi, docente di sociologia all’Istituto universitario salesiano di Venezia (Iusve) –. Il fenomeno della “de-nuzialità”, già rilevato agli inizi degli anni Sessanta, ha radici culturali. Se così non fosse, passata la crisi i matrimoni dovrebbero tornare a crescere, cosa che non credo accadrà. Negli anni Cinquanta del secolo scorso (non a caso soprannominati la golden age del matrimonio) le nozze erano un obiettivo a lungo termine socialmente riconosciuto, oggi invece, in una società liquida che insiste sull’io a detrimento del noi, la coppia è divenuta un qualcosa di sperimentale e individualizzato, che procede per tentativi ed errori».
Ecco dunque spiegata l’impennata di «formule d’unione soft» come la convivenza o la coppia a distanza (lui e lei stanno insieme ma vivono in case distinte), entrambe facilmente reversibili (secondo l’Istat, dal 2008 le unioni di fatto sono raddoppiate superando il milione nel biennio 2012-2013). «In passato il matrimonio non sposava solo un uomo e una donna, ma due famiglie. Ora la logica privatizzata del “basta volersi bene” ha tagliato via la dimensione pubblica e parentale di questa unione, considerata ormai polverosa e demodé persino da molti anziani» continua Filippi.
Da punto di partenza, l’amore è divenuto quindi un punto d’arrivo perfetto e irraggiungibile, un ideale che non tiene conto della realtà e prescinde dalla fatica, dall’impegno e dalla pazienza necessari alla costruzione del «noi». «Di questo passo, però, si corre il rischio di amare l’idea dell’amore e non la persona in sé – avverte ancora il sociologo –, col risultato di incappare in un rapporto competitivo e stressante che, privo del confronto diretto, volgerà inevitabilmente al termine qualora non soddisfi più i diretti interessati».
Ma l’amore – lungi dall’essere solo un fatto privato – rappresenta uno strumento di benessere o malessere per l’intera società. Proprio a quest’ultima dunque spetta il compito di «curare una delle grandi infelicità della nostra epoca: il non saper amare o essere amati». Come? «Educando sin dall’adolescenza all’affettività, enorme motore psichico che richiede equilibrio e conoscenza di sé». Una scommessa che ci impegna tutti: single, sposati, conviventi o separati. Donarsi all’altro «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» scriveva Giovanni Paolo II nel 1979 (enciclica Redemptor hominis). Vale dunque la pena sfidare la recessione e dribblare gli stereotipi pur di dare realizzazione piena a un sentimento così importante. In questo senso amare davvero, specie nel fiore degli anni, significa rompere gli schemi; perché, come ha precisato papa Francesco lo scorso novembre durante il discorso ai partecipanti al colloquio internazionale sulla complementarietà tra uomo e donna, «è importante che i giovani non si lascino coinvolgere dalla mentalità dannosa del provvisorio e siano rivoluzionari per il coraggio di cercare un amore forte e duraturo, cioè di andare controcorrente».
La crisi economica ma anche quella relazionale che i ragazzi si trovano ad affrontare fa dunque parte del cammino. «Crisi – si legge infatti negli Orientamenti pastorali sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia della CEI – non è sinonimo di morte, ma di un passaggio delicato che richiede giudizio, preghiera, aiuto per evolvere in una situazione risanata e migliore».
Di questo stesso avviso è anche Luigi Baldascini, psichiatra nonché fondatore dell’Istituto di psicoterapia relazionale di Napoli: «Durante il ciclo vitale una coppia deve attraversare sempre momenti di crisi. Una coppia senza crisi sarebbe una “coppia perversa” o, meglio, una coppia finta. Quella tra due persone che si amano può essere vista come una “relazione terapeutica” in cui l’uno, attraverso l’altro, cerca di superare alcune residue dinamiche infantili (tecnicamente, il “residuo di transfert”) per continuare il proprio processo di crescita interiore. Ma attenzione: serve consapevolezza da parte di entrambi i soggetti, perché solo così la coppia può incontrarsi su un piano di maggiore maturità. In questo modo si riduce proprio quel senso di precarietà che rende gli uomini sempre bambini di fronte alle difficoltà dell’esistenza e poco disposti ad assumere le responsabilità della propria vita».
Più che un salto nel buio come insegna la tradizione romantica, un amore giovanile tra uomo e donna è allora un gioco di equilibri, un grande patto a due dove si vince o si perde insieme. «Nella coppia nascente la costruzione di una relazione autentica nella libertà e nel rispetto reciproco nasce dalla consapevolezza che l’amore comporta una responsabilità – si legge ancora tra gli orientamenti pastorali della Cei –: amare è desiderare il vero bene dell’altro, diventare capaci di donarsi reciprocamente e generare, nella stabilità della vita familiare, la vita, il figlio dono dal dono».
Questione di fiducia, quindi, ma anche di comunicazione, perché, come scrive Enrico Cheli in L’epoca delle relazioni in crisi (e come uscirne). Coppia, famiglia, scuola, sanità, lavoro (Franco Angeli): «Se vogliono vivere relazioni di coppia più appaganti e meno conflittuali, uomini e donne devono migliorare la reciproca conoscenza superando i pregiudizi e gli stereotipi culturali che la società e i media propongono loro, e parallelamente devono imparare a comunicare efficacemente e a gestire i conflitti esteriori e interiori e le connesse reazioni emozionali che la vita di coppia inevitabilmente produce». Una bella sfida davvero. E allora niente storie strappalacrime di amanti nati sotto una cattiva stella: la realtà è molto «terra terra», per fortuna.
«L’anima gemella è il sogno di tutti, anche se nessuno sa cosa veramente significhi vivere con un’anima uguale alla propria – puntualizza di nuovo Luigi Baldascini –. Le storie più belle di anime gemelle, che si incontrano in genere in letteratura, hanno avuto breve durata e una fine drammatica: così almeno è stato per Paolo e Francesca, per Tristano e Isotta, per Romeo e Giulietta... L’incontro di due anime gemelle rischia di rendere la coppia “sterile” – conclude lo psichiatra –, perché l’uno basterebbe all’altra e viceversa, col risultato che entrambi cadrebbero nell’inevitabile chiusura al mondo e nell’impossibilità di perseguire fini evolutivi».
Meglio lasciar perdere i sogni e concentrarsi sulla realtà quotidiana, allora. In fondo, gli amori più belli sono quelli che nascono a piccoli passi e maturano come il vino nella botte per confermarsi all’ombra di un altare. Perché non c’è niente di più straordinario di una vita ordinaria da condividere. Crisi, economiche e non, comprese. Provare per credere.
VITA DA TRENTENNIStagista in amore
La parlantina non le manca, il senso dello humor e la voglia di mettersi in gioco nemmeno. Eppure, coi suoi 30 anni, la laurea in Scienze politiche e una indubitabile simpatia, Alessia Bottone di precariato, lavorativo ma anche relazionale, se ne intende un bel po’.
«I miei genitori sono insieme da trentadue anni, io con i miei ex non ho mai superato i due mesi! Più volte mi sono domandata se fosse un problema personale. Ho svolto anche una piccola inchiesta tra amici e sconosciuti incontrati in treno o in autobus. E ho maturato la convinzione che oggi l’amore è in crisi proprio come il lavoro: tra uomo e donna sussiste una difficoltà nel comunicare e nel trovarsi. Circola l’idea del “tutto subito” e manca il senso della conquista. Ormai ogni cosa è diventata noiosa e, se non funziona sin dall’inizio, la si lascia andare, perché tanto “il mare è pieno di pesci”».
Impiegata part time in un’azienda di informatica, blogger (sono sue creazioni il blog danordasudparliamone.wordpress.com e amoreaitempidellostage.wordpress.com), opinionista in tv e giornalista free lance, Alessia si definisce una «stagista in amore», anche se, in fondo, crede ancora nel principe azzurro: «Una persona capace di andare al di là dei canoni imposti dai media, un uomo in grado di giudicare sulla base delle emozioni e non del conto in banca». Qualità rare di questi tempi, specie considerato che – a detta di Alessia – la maggioranza dei suoi coetanei «si è persa e brancola alla ricerca di una stella cometa da seguire». Non c’è da stupirsi: la precarietà – nel lavoro ma soprattutto in amore – disorienta e fiacca lo spirito (stando al Rapporto Giovani 2014 diffuso dalla Fondazione Toniolo in collaborazione con Ipsos, oltre il 70 per cento degli under 30 vede il futuro pieno di rischi e incognite).
Per argomentare questa teoria la giovane veronese ha scritto un libro: Amore ai tempi dello stage. Manuale di sopravvivenza per coppie di precari (Galassia Arte). In poco più di cento pagine l’autrice ha dipinto con ironia un universo di «donne crocerossine» e «uomini ho bisogno dei miei spazi», femmine «sono bella solo io» e maschi «buoni samaritani».
«Il mondo dei giovani è più semplice di quanto si creda – spiega Alessia –. Così, per arrivare al punto e far riflettere questa “società della fretta” ho giocato con gli stereotipi e abolito i paroloni». Risultato: una lettura «per tutti» che dietro l’aria leggera e scanzonata restituisce un’immagine inedita della crisi economica. «La crisi oggi non è soltanto uno dei fattori che possono mettere in difficoltà una coppia o addirittura non farla nascere, ma rappresenta anche uno stimolo a ripartire mettendosi in società» continua la blogger. Le difficoltà, dunque, come viatico al vero amore che, per Alessia, esiste eccome, anche se non è facile da trovare. Non a caso, come scriveva san Paolo nella Lettera ai Corinzi, «L’amore è sempre paziente»… «Paziente nel senso che sa aspettare anche nei momenti più difficili – precisa la trentenne –. Penso a un amore che pervade l’animo e resta per sempre», proprio come quello tra Francesca e Robert (Meryl Streep e Clint Eastwood), i protagonisti del film I ponti di Madison County (Usa 1995). «Amarsi è prima di tutto essere complici, imparare a rischiare e a credere in se stessi, uniti fianco a fianco, nel rispetto reciproco».
LA CHIESA RISPONDE...Dalla parte della coppia
Spesso di fronte alle avversità si perdono le certezze e la speranza soccombe alla rassegnazione. Prima o poi capita a tutti, specie alle coppie giovani e instabili, le prime da cui partire per attuare una rieducazione all’affettività. Lo sa bene la Chiesa, impegnata a curare gli effetti di questa «crisi delle relazioni», oltre che economica, che – come una fitta nebbia – appanna la vista e confonde il cuore. Ne abbiamo parlato con don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia.
Msa. Che ostacoli devono superare oggi i giovani innamorati?Gentili. La difficoltà principale è una certa precarietà del cuore: molti giovani sembrano paralizzati dalla paura del «per sempre». Inoltre, il virus più letale resta l’isolamento. Oltre ad abituarsi alla precarietà e alla mobilità lavorativa, occorrerà creare una rete di affetti che rendano la comunità cristiana un grande abbraccio, capace di custodire ogni famiglia nascente.
La crisi economica non rischia di diventare una scusa per fuggire le responsabilità? Talvolta la crisi economica può essere una scusa, e lo dimostra il fatto che il matrimonio tiene meglio in Paesi più poveri del nostro. È pur vero, però, che la famiglia andrebbe sostenuta da leggi adeguate e politiche incisive sulla natalità, e in Italia siamo molto indietro a riguardo. La parola «crisi» significa «fessura», e può essere una ferita che si trasforma in feritoia quando diventa, con la forza del Vangelo, un’occasione per scoprire ciò che davvero conta.
Come affronta la crisi economica e relazionale un buon cristiano? Il cristiano è abituato alla debolezza, e così la precarietà diventa l’anticamera della Provvidenza. Nelle relazioni, attingendo alle regole di papa Francesco (permesso, grazie, scusa) si può ricominciare a costruire l’unità coniugale e familiare ogni giorno.
Pensando alla Bibbia, le viene in mente qualche coppia da cui i giovani potrebbero prendere esempio? Penso a Giacobbe che, con sorprendente pazienza, coltiva il desiderio di sposare Rachele e lo porta, con l’aiuto di Dio, a pienezza. Oggi sembra che i grandi desideri siano mortificati e non si conosca più l’arte di attendere. È proprio l’attesa che fa crescere il desiderio e conduce alla gioia piena del Vangelo.
Ma la precarietà è solo negativa per la coppia? A volte le difficoltà rafforzano l’amore. Se Cristo è la roccia su cui si poggia la propria casa, allora si può affrontare ogni avversità. Questo legame con Cristo, come coppia e come famiglia, si può vivere solo nella «Famiglia di famiglie» che è la Chiesa. La famiglia, che è autentica chiesa domestica, è la fiaccola che porta la luce dell’amore di Gesù nei condomini, nei paesi, nelle città. C’è bisogno, però, che le tante fiammelle delle famiglie si leghino insieme per attraversare la notte di questo tempo.
In che modo la Chiesa sta vicina alle giovani coppie? Da un paio di anni, grazie ai nuovi Orientamenti pastorali sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia della Cei, molte Chiese locali stanno rinnovando i percorsi di preparazione alle nozze trasformandoli in veri itinerari di fede, in uno stile familiare e accogliente. Spesso si creano relazioni intense che continuano anche dopo il matrimonio, sia con le altre coppie sia con i sacerdoti e le famiglie che animano i percorsi.
Perché il modello matrimoniale proposto dalla Chiesa resta l’approdo più naturale di una coppia? Perché è una chiamata originaria scritta nel cuore di ogni uomo e ogni donna. L’amore sponsale sta prima delle nostre organizzazioni sociali e pastorali, ed è un fattore di felicità. Probabilmente abbiamo troppo appesantito l’atto dello sposarsi, quasi fosse solo una serie di obblighi o divieti, mentre il matrimonio è la concretizzazione di un atto libero e liberante. È dare ali alla libertà di amare, consegnando al cielo la propria promessa sponsale.