Madri nel 2000
Non c`è articolo o saggio sulla maternità oggi che non si esprima su basi ansiogene. L`esperto X pontifica sulla denatalità e l`alto tasso d`infertilità in Italia e conclude a tinte fosche: «Che ne sarà di un paese di vecchi?». C`è chi tuona sull`individualismo dei giorni nostri, sul malcostume tutto italiano di rimandare sia il matrimonio sia la nascita del primo figlio; il sociologo insinua che da quarant`anni a questa parte l`entrata della donna nel mondo del lavoro sta cambiando la struttura sociale, ma la società non è pronta. Ci fosse uno che, oltre all`analisi, proponesse una qualche via d`uscita!
Poi andiamo alle verità allarmistiche: il primo figlio provoca un abbattimento del tenore di vita del 23 per cento, il secondo del 55 per cento, il terzo ` dulcis in fundo ` del 90 per cento. E intanto il datore di lavoro impietosamente comunica che il servizio di leva e la maternità sono per lui praticamente la stessa cosa, cioè un`inevitabile seccatura.
Tante contraddizioni
C`è da chiedersi se fare figli oggi abbia un qualche valore sociale o sia un impiccio, un disvalore. La cronaca non aiuta, anzi, aggroviglia la matassa. A Genova un neonato viene trovato nel cassonetto. A Milano una donna sta portando a termine la maternità di una sorella tanto amata che non può avere figli e li desidera tantissimo. A Roma una single chiede di adottare un bambino. La natalità è scesa al suo minimo storico eppure aumentano le richieste di procreazione assistita. In questa schizofrenia italica intorno alla maternità l`unica cosa certa ` recita un rapporto Eurispes del 1995 ` è che «viviamo in una società confusa in cui sessualità , procreazione, famiglia sono in bilico tra i laboratori di ingegneria genetica e i cassonetti dei rifiuti...».
Spiegare le contraddizioni intorno alla maternità oggi non è cosa semplice. Le posizioni sono a loro volta contraddittorie o addirittura opposte. Che cosa è cambiato rispetto al passato? «Oggi c`è una grande fragilità di legami ` afferma Wilma Binda, docente di psicologia sociale all`università di Cagliari `. Il percepire la fragilità del proprio rapporto di coppia non permette ai coniugi di progettare. Il figlio diventa un`aggiunta, un surplus, qualcosa da ottenere come una bella casa, una macchina, un telefonino». Per Franca Bimbi, sociologa della famiglia e docente all`università di Padova, tanto rifiuto e tanto desiderio di maternità hanno un solo significato: «La maternità oggi è una scelta mentre ieri era un dono obbligato, ciò ha cambiato completamente il significato del donare la vita. Rifiuto e desiderio ci sono sempre stati, solo che oggi diventano problemi di cui la società è consapevole».
Dissente Luisa Santolini, presidente del Forum delle associazioni familiari: «Il figlio oggi non è in se stesso un valore, ma è il consolatore della solitudine, il coronamento di una carriera, il punto di arrivo dopo aver fatto tutte le esperienze possibili. Desideratissimo, per carità , purchè non disturbi. Da qui il figlio a tutti i costi, se il tempo è debito, o la molla dell`aborto, se il figlio è di troppo».
Sulla tesi del figlio-oggetto Franca Bimbi proprio non ci sta: «Il figlio era un oggetto anche e soprattutto in una società tradizionale in cui appena nasceva un bambino o una bambina si decideva che cosa dovevano fare da grandi, compreso chi dovevano sposare. La tentazione di oggettificare i figli l`hanno avuta e l`avranno tutti i genitori del mondo».
Che cosa ne pensano le donne? «Ammetto di essere una di quelle che ha aspettato di laurearsi, sposarsi e stabilizzarsi nel lavoro prima di avere un figlio ` afferma Marta, 36 anni, avvocato, un figlio di 10 mesi `. E questo, nonostante io abbia sempre pensato che sarei diventata madre. Non volevo, però, che famiglia e lavoro fossero inconciliabili, erano ormai parte del mio essere. Se non mi fossi buttata sul lavoro allora, dopo, più in là negli anni, la mancanza di esperienza e la presenza di un figlio mi avrebbero penalizzato. Oggi che sono madre, penso che sia l`esperienza più profonda e più arricchente che un essere umano possa fare. Comunque, guardando al passato, non credo di aver fatto tutto questo solo per me: volevo che mio figlio nascesse in una famiglia salda e consolidata, con un padre consapevole e una madre non nevrotizzata per aver dovuto rinunciare a una parte di sé».
Antonella, 34 anni, 2 figli, ha invece scelto l`altra via: prima i figli. «Ci ho rimesso di mio, è chiaro. Per stare dietro al più piccolo non ho neppure potuto fare l`ultimo concorso per l`insegnamento. Non mi pento di nulla. Dare la vita è un`esperienza così piena da meritare qualsiasi sacrificio. Però devo dire che sono una privilegiata: abbiamo un`impresa di famiglia e so che se voglio, ho comunque assicurato un posto di lavoro. Ho una laurea e voglio farla fruttare appena il mio ultimo bambino sarà più autonomo. Quello che posso dire, facendo la mamma a tempo pieno, è che stare dietro ai figli ti assorbe totalmente. Chi dunque non è facilitata e deve, o desidera, lavorare si accolla un compito gravosissimo».
Denatalità , l`antirecord
Paura di non farcela, desiderio di realizzazione, voglia di maternità , amore per i figli: elementi pratici e psicologici ancora una volta si mescolano e si confondono, ma incomincia ad apparire il contesto entro il quale si dipana la più grande contraddizione italiana: il paese delle mamme e del mammismo è anche il paese meno prolifico del mondo. Anche qui le posizioni sono molte. Unico elemento oggettivo che le accomuna tutte è che in Italia oggi mancano servizi, aiuti alle famiglie e un`organizzazione sociale meno rigida, non basata solo sul modello del «maschio accudito».
Tutti fattori che rendono pesantissima la doppia presenza delle donne a casa e nel mondo del lavoro. Racconta Cristina, impiegata, 33 anni: «Ho presentato la domanda per far entrare mia figlia all`asilo nido pubblico: è la 78esima in graduatoria, mentre i posti disponibili sono solo 42. Per necessità , l`ho iscritta ad uno privato. Risultato: 200 mila lire subito, al momento dell`inserimento, 350 mila lire dopo pochi mesi per confermare l`iscrizione al prossimo anno e 650 mila lire di retta mensile. Ora è iscritta, ma l`asilo l`ha frequentato solo per pochi giorni, perché si è ammalata quasi subito e ha avuto più ricadute. I nonni vivono lontano, spesso mi aiutano ma, quando non possono, devo chiedere permessi al datore di lavoro. È inutile nasconderlo: faccio i salti mortali». Insomma ormai, senza l`aiuto di una rete familiare, nessuna donna che lavori, in teoria, potrebbe fare un figlio.
Ma alla già complessa vita di madre si aggiunge un retaggio della tradizione: «Alle mamme si richiede di essere esperte di tutto ` spiega Wilma Binda `: dalla scelta del pediatra alle lezioni d`inglese, dallo sport da fargli praticare alle cose che è più giusto dire o non dire al bambino. Se vuoi essere definita una buona madre devi essere competente nella costruzione di un bambino perfetto». La mania dell`organizzare tutto si estende all`intera famiglia, il mènage diventa pesantissimo. Risultato: dopo il record di denatalità , le donne italiane detengono un altro poco invidiabile record: quello di lavorare molto di più rispetto alle colleghe di tutti i paesi industrializzati. Secondo un`indagine della Commissione per le parità del 1994, una donna italiana con un figlio lavora in media 13 ore e mezza al giorno contro le 9 tonde del suo compagno. Con l`aumentare dei figli, aumenta il tempo di lavoro, tanto che chi ha due figli dorme mezz`ora in meno di chi ne ha uno soltanto.
Per Luisa Santolini le donne italiane, dopo il lungo periodo di contestazione, non hanno ancora trovato un equilibrio tra il giusto desiderio di realizzarsi nel lavoro e la vocazione familiare: «Bisogna non essere autoreferenti, basati su se stessi, ci sono altri con cui condividere, progettare la vita». Per Chiara Valentini, giornalista e saggista, invece, non si tratta di egoismo: «La società ` scrive nel suo libro Le donne fanno paura (ed. Saggiatore), è stata incapace di confrontarsi con il fenomeno dirompente dell`ingresso delle donne nel mondo del lavoro»: era più facile colpevolizzarle per questa scelta che trovare delle soluzioni. Franca Bimbi non è del tutto d`accordo, a suo parere la vera ragione della denatalità in Italia non sta né solo nella mancanza di politiche sociali, né nella smania di affermarsi socialmente, né nell`entrata della donna nel mondo del lavoro. «La percentuale delle donne che lavorano oggi ` afferma ` corrisponde a quella delle donne che lavoravano fuori casa a fine `800: la vera novità rispetto al passato è che le donne oggi hanno un alto livello di istruzione, dunque hanno messo in discussione il loro ruolo. Cosa che non hanno fatto gli uomini. Il vero punto dolente è la diffidenza che donne e uomini hanno a mettersi in gioco all`interno di un rapporto. Ciò non riguarda l`egoismo, ma il fatto che il conflitto tra uomini e donne è ancora aperto e che un vero patto tra generi non è ancora stato stabilito».
Wilma Binda aggiunge a questa difficoltà di comunicazione tra uomo e donna, la difficoltà di progettare un futuro comune in un mondo in cui nulla è dato per scontato e tutto è scelta: «Le fragilità si vedono di più, i rapporti sono più difficili».
Tirare le somme di tutte queste interpretazioni non è semplice e forse neppure possibile. Troppi gli elementi in gioco e i possibili punti di vista. La complessità intorno alla maternità suggerisce forse un`unica conclusione: siamo in un momento di transizione tra vecchio e nuovo, tra un tempo in cui tutto era dato e un tempo in cui tutto è scelta, tra un`epoca di relazioni rigide e un`epoca di rottura degli schemi. Il futuro che verrà , le relazioni di coppia, l`accoglienza sociale della vita dipenderanno dalla capacità di saper interpretare positivamente il nuovo: «L`immensa possibilità di scelta ` conclude Wilma Binda ` se da un lato crea insicurezza dall`altro, apre alla creatività . Da questa crisi potranno nascere persone più ricche, più consapevoli, più responsabili. Se i sessi riusciranno a fare insieme un certo cammino all`interno della coniugalità , le nuove coppie avranno meno stereotipi nel funzionare e meno pregiudizi e una gamma infinita di possibilità di essere. Già adesso esistono coppie capaci di intraprendere un cammino donativo e molto rischioso come quello dell`affido o quelle già in grado di mettersi in gioco, di tollerare la conflittualità , di curare la differenza».
Ma la ricchezza della nuova maternità non si ferma al privato, almeno secondo Franca Bimbi: «La maternità oggi, proprio perché è una scelta, ed è una scelta di dono, trasmette all`intera società il valore della relazione di cura; essa è il legame sociale fondamentale, che riguarda tutti, politici, imprenditori, Chiesa perché la cura si basa sulla fiducia, sulla reciprocità e sull`attenzione agli altri. Iservizi sociali ne sono un esempio». La maternità , dunque, nonostante i problemi e le contraddizioni, esce dalla sfera delle virtù femminili, per diventare valore e progetto sociale.
SARA: DAL RIFIUTO ALL`AMORE
«M i sono sposata con l`idea che avrei fatto 5 figli. Invece, scoprire la maternità ad appena un paio di mesi dal matrimonio, con una situazione professionale ancora incerta e in giovane età , mi ha mandato completamente in crisi.
Avevo difficoltà ad accettare il bambino e non riuscivo a conciliare questo mio stato psicologico con il mio grande desiderio di maternità . Mi ci sono voluti 9 mesi di caparbio, sofferto rifiuto prima di sciogliermi completamente quando l`infermiera mi ha messo mio figlio in braccio.
Nonostante la difficoltà di questa esperienza, oggi dico che la nascita di mio figlio è stato il momento più bello della mia vita. Per me la maternità ` e sono una che ha cercato la sua realizzazione professionale con determinazione `, è un`esperienza fondamentale. Anzi, se fossi costretta a scegliere tra maternità e lavoro, non avrei dubbi. Visto che non lo sono, cerco di sviluppare entrambi gli ambiti del mio io, perfettamente cosciente che uno è più importante dell`altro e patendone tutte le conseguenze.
Di sicuro, con la maternità , ho sperimentato la divisione, una divisione profonda all`interno del mio io. Non stavo bene in nessun luogo: al lavoro pensavo a mio figlio, a casa pensavo al lavoro. Ma anche la divisione è stata ed è per me un motivo di crescita: ho imparato a conoscere e ad accettare la complessità dentro e fuori di me».