Qui il Santo ancora parla
Gli uomini di ogni secolo si sono affidati all’arte per lasciare nella Basilica antoniana un segno distintivo della loro devota ammirazione per sant’Antonio. Lo hanno fatto anche quelli del Seicento, lasciandoci una delle più splendide realizzazioni dello stile allora in voga, il barocco, che aveva nell’intento di stupire la sua cifra artistica peculiare.
Frati e massari della Veneranda Arca erano da tempo alla ricerca di un luogo nel quale raccogliere le reliquie di sant’Antonio e di altri santi, collocate in posti diversi e poco significativi del santuario. Risultati inadeguati i siti già esistenti, ritennero di doverne creare uno apposito. Ne affidarono la progettazione a un architetto di valore, il genovese Filippo Parodi, discepolo di quel Lorenzo Bernini che aveva stupito i romani aggiungendo alla Basilica di San Pietro l’elegante colonnato che sembra avvolgere in un accogliente abbraccio pellegrini e fedeli di tutto il mondo.
Parodi progettò un edificio circolare, ovviamente con cupola per essere in sintonia con l’esistente copertura della Basilica, da realizzarsi nella zona absidale, fuori dal perimetro del Santuario, e con accesso da una delle cappelle radiali, quella centrale, da trasformare in atrio del nuovo manufatto.
Approvato il progetto, i lavori iniziarono subito, nel 1691, ma sarebbero durati a lungo. Se nel 1694 l’edificio nelle sue strutture essenziali era già completato, solo nel 1745 fu in grado di accogliere le reliquie. In mezzo, ripensamenti e varianti in corso d’opera, la più importante delle quali fu la demolizione per ragioni statiche dell’iniziale cupola tronco-conica, sormontata da una lanterna con finestre che facevano piovere una discreta luce nella cappella, sostituita dall’attuale cupola semisferica. Un calvario, insomma, al termine del quale la Basilica aveva finalmente la desiderata cappella per le reliquie.
È la stessa cappella che ancor oggi stupisce i pellegrini per le sue dimensioni (13 metri il diametro e 20 l’altezza) e per l’armonia delle proporzioni e l’eleganza dei tratti, che caratterizzano soprattutto l’apparato marmoreo − suggestivo e di grande effetto scenico − che accoglie le reliquie.
Composto da tre grande nicchie, chiuse da vetrate abbellite con decorazioni in argento sbalzato, esso segue la linea curva dell’edificio, culminando in una fastosa «gloria» barocca, formata da un arco trionfale che incornicia un sant’Antonio rapito in estasi. Tutt’intorno, schiere di angeli, piccoli e grandi, che cantano o suonano, modellati dallo scultore Pietro Roncaioli da Lugano. I pellegrini accedono alla visione delle reliquie lungo un breve corridoio sopraelevato, che percorrono sfiorando sei belle statue del Parodi, poste sulla balaustrata marmorea che cinge il corridoio stesso, raffiguranti le quattro virtù della Fede, Umiltà, Penitenza e Carità, e i santi Francesco e Bonaventura.
A suscitare il fervore dei pellegrini sono chiaramente le reliquie di sant’Antonio. Invitiamo, però, a non trascurare e a riflettere sulle «quattro virtù» lì collocate non solo per la loro bellezza artistica, ma perché raffigurano l’abito di cui deve rivestirsi ogni fedele seguace di Cristo. Come fece e predicò sant’Antonio. Tra reliquie e testimonianze Le reliquie, dunque. Le più importanti sono la lingua, il mento e l’apparato vocale, esposte nella nicchia centrale. Le prime due provengono dalla ricognizione delle spoglie mortali del Santo dell’8 aprile 1263, nel corso della quale san Bonaventura ritrovava, tra i resti decomposti, ancora intatta la lingua, simbolicamente preservata dalla corruzione perché strumento con cui sant’Antonio annunciava il Vangelo dell’amore e della misericordia di Dio. La si ammira custodita in un raffinato ed elegante reliquiario, cesellato tra il 1434 ed il 1436 da un geniale orafo, Giuliano da Firenze.
Il mento del Santo è invece posto in un reliquiario a forma di busto, scintillante di pietre preziose, realizzato nel 1349. Provengono poi dalla ricognizione del 6 gennaio 1981 i reperti dell’apparato vocale del Santo, ora inseriti in un originale reliquiario a forma di libro aperto, realizzato nel 1981 dal trevigiano Carlo Balljana.
Un pellegrino curioso e con un po’ di tempo a disposizione ha di che deliziarsi nel passare in rassegna i rimanenti tesori, ognuno con una propria storia di fede, di ansie e di gioia riconoscente. Vi può trovare, ad esempio, tre spine della corona di Cristo, custodite in un ostensorio di eccellente fattura, realizzato verso la fine del 1400, e un frammento della croce, accanto a reliquie di vario spessore e valore di altri santi, insieme con una lettera autografa di san Giuseppe da Copertino datata 1650; un biglietto con firma pure autografa di san Vincenzo de’ Paoli, e un altro firmato da sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1765), l’autore del notissimo canto natalizio Tu scendi dalle stelle.
E poi, preziosi utensili liturgici donati alla Basilica per devozione o per grazia ricevuta, giunti anche nei tempi successivi ad arricchire l’iniziale raccolta, come turiboli in argento dorato, una navicella portaincenso foggiata a veliero; una pisside ornata di ventitré preziosi cammei; un calice d’oro tempestato di smeraldi, donato da Maria Amalia d’Austria (1733) pellegrina a Padova. Il devoto può ammirare, nella nicchia di sinistra, trattenuto da guarnimenti d’argento, il bicchiere che, scagliato a terra in sfida al Santo dall’eretico conte Aleardino, rimase intatto; e la mazza turchesca, in argento dorato, finemente lavorata e con il capo trapuntato di pietre turchine, dono del re di Polonia Giovanni Sobieski.
Infine, può concludere il percorso davanti ai reperti dell’ultima ricognizione (1981), esposti nel vano della cappella: la casula di seta che avvolgeva i resti mortali del Santo; due sigilli e una lapide del 1263; tre cartigli di pergamena cuciti sugli involucri del feretro; quattro monetine veronesi del Duecento e due casse di legno, una del 1231 e l’altra del 1263, entro cui ha riposato per secoli il Santo. Infine, ricomposta in una bacheca, posta davanti alla balaustra, la tonaca del Taumaturgo.
ZOOMPenitenza in santa letizia
La gloria di sant’Antonio, fissata dal Parodi nel marmo che sovrasta il monumentale apparato scenico delle reliquie, trova la sua fondamentale premessa esistenziale e spirituale nelle quattro Virtù, rappresentate dal medesimo artista: Fede, Umiltà, Penitenza, Carità, che brillarono nella vita di Antonio di Padova, e qui personificate in altrettante figure femminili, accompagnate ciascuna da un angelo. Fermiamo l’obiettivo su Penitenza (la terza, da sinistra), che il padre Gonzati così descrive: «Macera dai digiuni, male in arnese, cinta di cilicio, tra cardi, triboli e spine; la si vede patire con santa letizia. Anche questa ha il suo angelo che le sporge catenelle, flagelli e discipline» (1852).
Vita apostolica di notevole intensità fu quella del Santo, sempre accompagnata da grande penitenza, sulla scia di san Francesco e dei suoi primi seguaci, riconosciuti agli inizi come i «Penitenti di Assisi», perfetti imitatori di Cristo, che «patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (1Pt 2,21).
Nei Sermoni di sant’Antonio sono innumerevoli i riferimenti alla vita di penitenza, espressione compiuta del cammino di conversione evangelica, richiesto a quanti intendono seguire la via tracciata dal Maestro di Nazaret.
Le sacre Spine della passione, qui venerate, ci ricordano – come scrive sant’Antonio – che «per proteggerci, Cristo ha aperto come ali le sue braccia sulla croce, e irto di spine si è opposto al diavolo che tramava di rapirci; la corona di spine sul capo come un elmo, la croce nelle braccia come uno scudo, i chiodi nelle mani come una clava: così armato ha sconfitto il nostro nemico» (Sermone per la festa di santo Stefano protomartire). Anche la Penitenza del Parodi ha il capo cinto di spine, a indicare la lotta contro le seduzioni del male che l’uomo penitente sostiene, debitamente protetto, per aderire alla vita nuova secondo il Vangelo. Vita salutare, quella del penitente, per recuperare la salute dell’anima, messa a repentaglio da scelte fallaci: «Dalla nostra carne viene la medicina dell’anima, cioè la penitenza. E l’uomo prudente, quando si sente oppresso dalla pestilenza del peccato, non si rifiuta mai di prendere quella medicina (la penitenza), per quanto sia amara, perché attraverso l’assunzione della bevanda amara si arriva alla gioia della guarigione» (Sermone per la Purificazione della Beata Vergine Maria, II).
Digiuni, abiti laceri, spine e flagelli: Francesco e Antonio, in sintonia con la temperie spirituale propria del loro tempo, hanno vissuto questi aspetti penitenziali senza sconti, ma in «perfetta letizia», nota peculiare della spiritualità francescana, che anche la Penitenza di Parodi esprime: «la si vede patire con santa letizia».
NOTIZIEFebbraio in Basilica Sabato 14: Alle ore 20.45 è in programma un concerto per il 25º anniversario di ordinazione episcopale del Delegato pontificio S. E. monsignor Giovanni Tonucci. Domenica 15: In occasione della Festa della Lingua: alle ore 10.00 santa Messa per gli associati al «Messaggero di sant’Antonio», presieduta da fra Giancarlo Zamengo, direttore generale del «Messaggero di sant’Antonio»; alle ore 11.00 santa Messa pontificale presieduta da S. E. monsignor Giovanni Tonucci, Delegato pontificio per la Basilica; alle ore 17.00 santa Messa solenne presieduta da padre Giovanni Voltan, Ministro provinciale, a cui seguirà la processione interna alla Basilica con la reliquia del mento di sant’Antonio, portata a spalle dai membri della Pia Unione Macellai M.I.
PREMIO A FRA ENZO
Il 14 dicembre 2014 è stato assegnato a fra Enzo Maria Poiana, Rettore della Basilica, il Premio nazionale giornalismo e multimedialità Cilento, Vallo di Diano e Alburni, nona edizione, «per il costante impegno nell’irradiare religiosità sull’asse Polla-Padova». Un riconoscimento che scaturisce dalla gratitudine e riconoscenza per l’impegno profuso da fra Enzo Maria Poiana per la valorizzazione dell’antico Santuario francescano di Polla (SA), luogo di spiritualità e di cultura.