Pa-pa-parla Tartaglia
Spesso chi lavora con la disabilità si ritrova al centro di situazioni comiche. Tra gli innumerevoli episodi che potrei citare, sono particolarmente affezionato a una scenetta il cui protagonista è un nume tutelare nell’ambito dell’educazione alla disabilità, che molti di voi conosceranno: il professor Andrea Canevaro.
Un giorno – mi raccontava Andrea – stava guidando tranquillamente per strada in compagnia di Federico, un amico con sindrome di Down. A un certo punto il professore fece una manovra un po’ brusca e, come spesso accade, fu affiancato da un taxi, il cui autista, piuttosto indispettito, tirò giù il finestrino e senza mezzi termini gli urlò: «Mongoloide!». Improvvisamente nella loro macchina calarono il silenzio e il gelo… Canevaro, imbarazzato, non sapeva proprio cosa fare. Finché, dopo dieci lunghissimi minuti, Federico non esclamò: «Andrea, però, diciamocelo, ci ha preso!». Ovviamente risate a non finire, il ghiaccio si è sciolto subito come nel tè sotto l’ombrellone di luglio... Perché racconto ora questo episodio? Anche quest’anno siamo arrivati a carnevale, il tempo delle maschere, delle feste senza freni, del ribaltamento momentaneo dei ruoli che la società più o meno consapevolmente ci impone. Se è vero che il carnevale è il tempo dell’eccezionalità e del «cambio di maschera» tra ciò che è palese e ciò che è nascosto, questo periodo dell’anno così atteso da grandi e piccini è anche il tempo dei contrasti e dei paradossi, del tragicomico cioè che si cela in ognuno di noi tra pregi e difetti. Pensateci bene: la tradizione ha sempre associato alla diversità un tocco di comicità. Mi vengono in mente, per esempio, la maschera di Tartaglia e il personaggio di Pappagone, due figure centrali nella storia del teatro e della televisione italiana; il primo grazie alla commedia dell’arte, il secondo creato e interpretato dal celebre Peppino De Filippo.
Tartaglia, lo dice il nome, è un ometto affetto da balbuzie, medico, avvocato o farmacista a seconda delle esigenze, innamorato cronico e per di più con qualche problema alla vista…
A differenza dell’esuberante e astuto Arlecchino, Tartaglia è un tipo che nelle sue parole si impappina, che non riesce a dire quello che vorrebbe come vorrebbe e che spesso, proprio per questo, viene frainteso dagli altri, condizionando così inevitabilmente il corso delle vicende e degli eventi. Ancora più caotico il Pappagone di De Filippo, che con le sue incapacità finisce per svelare le contraddizioni e le mancanze della società e dei suoi interlocutori, tra autoironia ed episodi al limite del non-sense. Difficile non identificarsi con loro. A tutti, almeno una volta, è capitato di modificare o usare le proprie incapacità in situazioni paradossali, per mettersi in dialogo con gli altri e stravolgere così le circostanze.
A carnevale, e a mio parere anche nella vita, si intrecciano sempre tre termini: assurdità, diversità e comicità. Tre facce della stessa medaglia che ci consentono di sdrammatizzare la realtà anche quando ci sembra impossibile da gestire.
E voi, vi sentite più Tartaglia o più Pappagone? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.