Brandusha tornò a sorridere
Nell`orfanotrofio di Raducaneni, in Romania, Brandusha, 2 anni, stava seduta in un angolo e dondolava su se stessa, come fanno i bambini che non hanno amore. Quando Renato e sua moglie Luigina le rivolsero lo sguardo, lei colse calore in quell`occhiata. Andò verso i due ospiti, afferrò i loro vestiti con manine avide d`affetto, sgranò gli occhi, si fece piccola piccola, quasi a cercare riparo in un abbraccio. Rannicchiata ai loro piedi, sembrava un cucciolo ferito. Era straziante quella fame d`amore. Straziante e assoluta. Quando, dopo la missione, andarono a salutarla, lei si aggrappò per trattenerli. Piangeva disperata. Invano le dissero che sarebbero tornati, cercando di staccarle le manine nel modo più dolce possibile. Renato e Luigina uscirono con un nodo alla gola, la stretta di Brandusha avvinghiata al cuore, la sensazione netta che genitori si è sempre. E non solo dei propri figli.
Era il 1990. L`esperienza di Renato, di Luigina e dei membri fondatori del «Gruppo volontari» della diocesi di Gorizia comincia così, con una grande richiesta di tenerezza e un pugno nello stomaco. I volontari lavoravano quasi tutti nella Fincantieri di Monfalcone (Gorizia) e il giorno che decisero di fare qualcosa per i bambini rumeni, avevano appena visto un documentario agghiacciante sugli orfanotrofi voluti dal dittatore Ceausescu, giustiziato nel 1989. Ciò che forse non immaginavano era che la realtà , vista dal vero, potesse essere anche peggiore di quella trasmessa dal documentario. Nei grandi orfanotrofi videro stanzoni con cinquanta bambini e una sola assistente. «I bambini erano rinchiusi nell`istituto tutto il giorno, senza stimoli, con il tempo che non passava mai ` racconta Luigina `, martoriati dai pidocchi e dalla scabbia. Persino la scuola era interna e, per giunta, mal funzionante. Poco o niente riscaldamento, anche quando la temperatura scendeva sotto i 30 gradi. Niente assistenza medica. Niente giochi. Niente carezze. E, soprattutto, niente amore». Il cibo arrivava su un unico grande piatto così che riuscivano a mangiare soprattutto i bambini più forti e più veloci. I piccoli vivevano in branco come lupacchiotti e non sviluppavano una loro identità precisa. Alcuni non avevano neppure mai imparato a parlare o camminare, perché per diventare grandi ci vuole una mano adulta che ti sorregga e una voce dolce che ti guidi».
Si comincia la trasformazione
Pratici e concreti, non si arresero alla vastità del problema. Solo pensarono che bisognava partire da un solo posto e procedere per tappe. Iniziarono dall`orfanotrofio di Raducaneni, nella Moldavia orientale, che ospitava bambini fino ai 3 anni. Poi i piccoli venivano trasferiti negli orfanotrofi dove c`erano quelli dai 3 ai 18 anni. Gli amici di Gorizia decisero di seguire almeno i bambini che avevano già conosciuto. Fu così che approdarono ad Halaucesti, dove c`era un orfanotrofio in condizioni pietose che ospitava 750 bambini, il più grande orfanotrofio della Moldavia. Qui Renato ebbe la prima sorpresa: «Una voce di bimba si alzò dalla folla dei piccoli, gridando `Zio Renato` ` racconta `. Era Brandusha che corse ad abbracciarmi. Non pensavo che a distanza di un anno mi potesse riconoscere».
Iniziò un progetto di ristrutturazione dell`orfanotrofio, che fortunatamente incontrò l`appoggio della direttrice. Non si trattava solo di rifare gli impianti, ma di pensare a un modo per rendere l`orfanotrofio più vivibile. I grandi stanzoni dovevano essere divisi in miniappartamenti di 5/6 bambini con un adulto di riferimento, in modo da ricreare la struttura familiare. La scuola interna doveva essere chiusa perché era giusto che i bambini frequentassero la scuola del paese e riprendessero i contatti con il territorio. Bisognava, poi, intervenire sull`alimentazione e sulla sanità e, soprattutto, ricostruire le individualità : ognuno doveva avere il suo piatto, il suo letto, il suo compleanno da festeggiare.
Questo progetto, facile a parole, incontrò molte resistenze. La prima fu di tipo economico. Era scoppiata la guerra nell`ex Jugoslavia e la Caritas diocesana, che sosteneva il gruppo, dovette dedicare tutte le sue forze alle popolazioni colpite dal conflitto. Da soli i volontari non erano ancora in grado di coprire le spese, nonostante gli sforzi per recuperare fondi e materiali in modo autonomo.
La seconda difficoltà fu di tipo culturale: cinquant`anni di regime avevano spazzato via le facoltà di Pedagogia e istituito un sistema di cura dell`infanzia ghettizzante. Così, per esempio, la scuola del paese rifiutò di accogliere i bambini dell`orfanotrofio.
Il primo ostacolo lo superò la Provvidenza: allora era arcivescovo di Gorizia, un frate del Santo, Antonio Vitale Bommarco. Fu lui a mettere in contatto i volontari con la Caritas antoniana. Subito ci fu intesa e il progetto poté essere concluso entro il 1997.
Per il secondo punto ci volle più pazienza, più mediazione, più capacità di scambiarsi esperienze. Ma, pian piano, si fece strada una nuova mentalità e filtrarono concetti di pedagogia e psicologia che la Romania sotto dittatura aveva messo da parte. Ma, soprattutto, s`impose un`esigenza: entrare in Europa. Nessun Paese con una condizione dell`infanzia così disastrata avrebbe potuto aspirarvi. Incominciò una progressiva chiusura degli istituti, che è tuttora in corso. I bambini di Halaucesti passarono dai 750 del 1995, ai 550 del 1997, ai 280 di oggi. Il governo tuttora offre incentivi economici alle famiglie che si riprendono il proprio figlio o decidono di farsene affidare uno.
Segni positivi, che hanno un rovescio della medaglia. «Il fatto che qualcuno si riprenda un figlio perché incentivato economicamente ` spiega Luigina `, non significa che sia anche disposto ad amarlo. Molti ragazzini si trovano male e scappano sulla strada senza arte né parte». Ad aggravare il problema fu una nuova legge per diminuire il numero dei ragazzi in orfanotrofio: all`età di 18 anni dovevano abbandonare la struttura. Ma per quale futuro? Chi li avrebbe aiutati?
«Ci siamo sentiti chiamati in causa un`altra volta ` racconta Renato `. Quando ancora ristrutturavamo la parte riservata ai bambini più piccoli di Halaucesti, quelli più grandi, separati da una rete arrugginita, ci chiamavano, ci chiedevano caramelle, ci dicevano `quando portate un po` di giochi anche a noi? Noi siamo quelli senza futuro`. Era straziante. Che fine avrebbero fatto ora che anche le istituzioni li abbandonavano?».
La scuola professionale di agricoltura
C`era ancora molto da fare, ma questa volta la soluzione doveva venire dalle istituzioni locali. «Su nostra richiesta ` continua Renato ` ci arrivò un progetto strutturato, chiaro in tutti i punti: una scuola professionale di agricoltura e allevamento». La richiesta era sensata perché nella zona le uniche attività produttive in ripresa erano pastorizia e agricoltura. «Noi avremmo costruito la fattoria, comprato gli attrezzi e gli animali, ma le autorità si sarebbero impegnate a mantenerla e a dare casa e lavoro a tutti i ragazzi che, dopo tre anni di corso, non avevano famiglie di riferimento. Una presa di responsabilità che era un segno di cambiamento importante».
E passiamo all`oggi. La nuova fattoria è stata inaugurata nel giugno del 2001 alla presenza di tutte le autorità civili e religiose, ortodossi compresi. All`interno della fattoria, c`è anche un locale adibito a laboratorio caseario; si fanno burro, formaggio, ricotta. Nei paraggi, una grande casa ristrutturata è stata adibita ad alloggio per i ragazzi e le ragazze del corso. Attualmente la abitano in 20, il prossimo anno saranno 30, tra due anni 40. «Ognuno ha il suo letto, il suo angolo privato, il suo poster preferito alla parete ` spiega Luigina `. In soggiorno c`è persino la televisione». E qualcosa sta cambiando giù in fondo all`anima: «All`epoca della guerra del Kosovo ` racconta Renato ` i ragazzi sono rimasti impressionati dalle immagini televisive. Una loro delegazione è venuta a trovarci per chiederci quando saremmo andati ad aiutare i bambini kosovari». La solidarietà per loro era diventata solidarietà per gli altri.
Inutile dire che tutto questo è stato possibile anche grazie ai lettori del «Messaggero di sant`Antonio», che da sempre sostengono con impegno la Caritas antoniana e le sue scelte di solidarietà .
I COSTI dei lavori (1997-2002)
`¢ Per la ristrutturazione
dell`orfanotrofio;
`¢ per la costruzione e
l`avviamento della fattoria.
Totale C 148.700 (288 milioni circa)