Omaggio a un Papa già entrato nella Storia
Ho atteso fino all'ultimo prima di scrivere questo editoriale, che è anche dialogo con gli amici lettori. Aspettavo la diretta televisiva della festa in piazza San Pietro per i venticinque anni di pontificato di Giovanni Paolo II. Il tempo è galantuomo, ma atrocemente vero, non fa ricorso a trucchi o belletti. Ne è passata di storia da quella tepida sera di un quarto di secolo fa quando un cardinale polacco, quasi sconosciuto, eletto Papa, si affacciava al portale della basilica di San Pietro esprimendo, lui stesso, la meraviglia per lo scherzo dello Spirito Santo, in un italiano non certo da Accademia della Crusca.
L'ho rivisto adesso. Tenacemente umano, come molte delle sue espressioni, consapevole che il tempo per lui s'è fatto breve. Tenacemente uomo di Dio, compreso del compito che gli è stato affidato, cui vuole restare fedele, nonostante le evidenti difficoltà di salute. A volte, cari amici, mi pare di essere monotono nel ritornare sulla figura di Giovanni Paolo II. Ma è come se fosse il ritornello di una canzone, o il motivo insistente di una sinfonia, nella consapevolezza che altra musica sarà suonata dall'orchestra, certamente fra non molto tempo.
Proprio in questi giorni discutevo con un amico, vaticanista di un noto settimanale italiano, sul significato profondo del ministero di Giovanni Paolo II. Con toni amicali, senza retorica e fronzoli, con l'atteggiamento interiore non di chi ritiene di stare assistendo alla fase conclusiva dell'esperienza umana di un personaggio entrato nella Storia e che dalla Storia sarà ricordato, ma piuttosto di chi cerca di comprendere il senso metastorico, al di là della Storia, di questa forte presenza nel nostro tempo. Commentavamo i dispacci delle agenzie di stampa, i vari interventi di testimoni ed esperti, e i soliti giochi di ipotesi future sull'ormai non lontano Conclave che designerà il successore di questo Pontefice. Bocconi ghiotti, bisogna ammettere, per la nota voracità della stampa, che, tuttavia, non dicevano nulla, non chiarivano la complessità di un pontificato intenso e dispiegato su vari livelli, come sarà storicamente ricordato questo di Giovanni Paolo II.
Cambiamo scena: dai dialoghi romani alla sale di una mostra a Parma sul tema Il Medioevo europeo di Jacques Le Goff, alla cui vernice ho partecipato, cortesemente invitato, alla fine dello scorso settembre (splendido il catalogo della Silvana editrice). Nell'interpretazione dei documenti si è accompagnati da un grande storico francese, vivente, ma impedito dalla vegliarda età di essere presente. È una bella mostra, intelligente, che offre chiavi di interpretazione di un periodo fondamentale della nostra storia europea.
Sono esposte con raffinatezza le non molte, ma importanti, testimonianze storiche e artistiche della cultura del Vecchio continente. La prima sezione è dedicata alle porte delle chiese. Autentiche o raffigurate, esse sono un pezzo importante di storia e di arte. Porte spesso conservate nei musei, quindi pezzi da museo, in grado però di aprirsi sugli spazi non più sacri e complessi della comunicazione mediatica d'oggi.
Le sezioni si susseguono a illustrare le sfaccettature del tema. Tra esse non potevano mancare quelle dedicate a testimonianze riferite all'universo religioso che caratterizza profondamente e fortemente il Medioevo.
Non vi sembri retorica la domanda che mi sono posto: ma da dove proviene quella volontà di recidere queste radici dall'interpretazione e dalla memoria del nostro passato? Domanda banale, inutile, in un momento i cui il dibattito sull'inclusione nella Costituzione del ricordo delle radici cristiane della vecchia Europa, sia già sfociato in un deciso no? Sarà , per dirla alla napoletana, uno sfizio, ma bisognava proprio che lo dicessi. Mi pareva colpevole tacere.