Un anno segnato dalla guerra
Fermare il tempo e fare un bilancio? Ce ne offre l'occasione la fine di un anno che se ne va. La memoria del tempo può essere per vari motivi rimossa o diventare consapevolezza del fluire del tempo che è la nostra storia. Concetti difficili? Sono una realtà che viviamo, consapevoli o no, quotidianamente. Bilancio di un anno, allora! Partendo proprio dalle difficoltà economiche che attanagliano il Paese, tra concorrenza cinese e nostalgia della vecchia lira: un fatto che incide ogni giorno sulla borsa della spesa. Un'altra vicenda che ha tenuto quest'anno in modo martellante la scena è la guerra in Iraq. Prima contrastata, tra considerazioni di legittimità , utilità , opportunità . Poi scoppiata. Con dubbi che il senno di poi ha fatto emergere, anche nelle motivazioni che dovevano legittimarla, se motivazioni ci possono essere per una guerra che, in questo caso, si è impelagata in una palude con tragiche conseguenze, anche per noi italiani che in questi giorni abbiamo pianto i nostri soldati e civili vittime della strage di Nassiriya.
Da questo mensile dialogo con i lettori, desidero esprimere le condoglianze e la partecipazione della grande famiglia antoniana alle famiglie in lutto per la tragica morte dei loro congiunti. C'eravamo idealmente tutti nella fiumana di popolo che il 18 novembre scorso ha voluto dare il saluto nella camera ardente allestita all'altare della Patria e poi seguire le esequie nella basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma.
Una strage di giovani vite che erano in Iraq comunque per una missione di pace, che se è chiara per noi, meno lo è per la gente del Paese, che ha altri codici di lettura dei fatti, impazzita ulteriormente dalla confusione che porta con sé la fine di una guerra e la caduta di un regime. I nostri soldati - lo hanno sottolineato tutti - si erano fatti ben volere. Sappiamo di essere più esperti nell'arte di vivere che non in quella della guerra.
Siamo un grande, strano Paese. Nella tragedia ritroviamo l'unità e l'identità , salvo poi tornare a una quotidianità fatta di divisioni, litigi, contrasti non sempre dialettici. Nella dignità con cui abbiamo vissuto questa ferita nazionale, nell'impegno dei militari impiegati nella missione di pace denominata Antica Babilonia, abbiamo visto il volto, non meno reale, di un'Italia che pur esiste. Abitata da quegli italiani che ogni giorno traducono la loro vita in gesti, atteggiamenti non eclatanti. La quotidianità della gente comune che costituisce il Paese reale, fotografata nei volti, nelle case, nella onesta laboriosità delle famiglie dei soldati caduti, il cui dolore privato è divenuto il dolore di tutto un popolo.
In questo la televisione e i mezzi di comunicazione hanno svolto un ruolo importante nell'accomunare sentimenti ed emozioni vissuti in diretta. Come in diretta viviamo l'insicurezza e la paura del terrorismo che può colpirti anche sotto casa. Ed è un altro punto del bilancio. In secondo piano, rispetto alla strage di Nassiriya, ma non meno drammatico è stato il bilancio degli attentati kamikaze nelle due sinagoghe di Istanbul, che hanno riproposto lo spettro del terrorismo, amplificato dalle ricorrenti minacce del fondamentalismo islamico.
Non fuggiremo, ma non odieremo i terroristi ha detto il cardinale Ruini nell'omelia funebre nella basilica di San Paolo fuori le Mura.
È proprio di fronte a queste incertezze che dobbiamo augurarci Buon Natale. Che non sia solo un sentimento che evapora nello spazio breve di alcuni giorni, ma la riscoperta della forza delle parole. È il Natale di un Dio che si fa pellegrino con la nostra storia. Se questa si colora di sangue e dramma, non è perché Lui sia assente, ma perché noi ci dimentichiamo di Lui.