«È normale …lo fanno tutti»
Siamo un Paese in cui la corruzione è diffusa a tal punto che la maggior parte dei cittadini ritiene si tratti di un fatto normale. Qualche prova? Basta sentire come parlano corrotti e corruttori, registrati in conversazioni tratte da inchieste giudiziarie depositate in tribunale. «Signora, vuole che suo figlio vinca il concorso? C’è un’unica strada, è una cosa normale». E ancora due professori universitari, il giorno dopo aver fatto i commissari in un concorso per un posto d’insegnamento. «Era il migliore, l’abbiamo fregato». Dalle loro voci emerge la fotografia dell’illegalità in Italia.
Anche se non deve certo consolarci, il fenomeno non è solo italiano. Tra i primi a puntare i riflettori contro la corruzione, l’Onu. Nel 2003 ha approvato una Convenzione, in vigore dal 2005, allo scopo di debellarla e prevenirla. Ha istituito, poi, per il 9 dicembre, una Giornata mondiale allo scopo di tenerla in modo costante sotto la lente d’ingrandimento.
Che cosa significa la parola «corruzione»? La definizione più in uso a livello internazionale, riportata nell’ultimo dossier Corruzione in Italia e nei Paesi avanzati, della Fondazione David Hume, è «abuso del potere pubblico affidato in modo da ottenere un vantaggio personale».
Nell’ultimo CPI (Indice di percezione della corruzione), relativo al 2015, l’Italia si classifica al 61° posto nel mondo, scalando di otto posizioni il ranking globale rispetto al 2014 (69°), con un giudizio in lieve miglioramento. Tuttavia, siamo ancora in fondo alla classifica europea, seguiti solo da Bulgaria e dietro Paesi considerati molto corrotti come Romania e Grecia.
«La cronaca quotidiana ci dimostra come la strada sia ancora lunga e in salita, ma con la perseveranza i risultati si possono raggiungere – spiega Virginio Carnevali, presidente di Transparency International Italia, associazione impegnata nel portare l’etica e la trasparenza al centro della vita politica del nostro Paese –. Una società civile più unita su obiettivi condivisi, che pongano al centro il bene della res publica, porta necessariamente un contributo fondamentale al raggiungimento di traguardi importanti».
Secondo il Global Corruption Barometer pubblicato lo scorso 16 novembre – che indaga sulla percezione del livello di corruzione in Europa e in Asia attraverso sondaggi tra i cittadini –, il 28 per cento degli italiani ritiene la corruzione un grave problema (secondo solo alla disoccupazione); mentre il 70 per cento è convinto che si siano intensificate le azioni di contrasto a livello di governo.
Qualcosa però sta cambiando. E cosi cresce il numero delle segnalazioni. Il dato più recente arriva da Allerta anticorruzione. Il servizio è rivolto ai cittadini che si trovano ad affrontare o testimoniare situazioni potenzialmente corruttive. Al 18 novembre scorso, le segnalazioni pervenute sono state 283 in due anni. Tra i testimonial dell’associazione anche Simone Farina, ex calciatore. Denunciò il calcio scommesse; ora insegna il fair play ai bambini. Tante le iniziative, in occasione della Giornata ma non solo, rivolte ai più giovani e alle scuole.
A lanciare, poi, insistenti, spesso inedite, denunce contro un male così radicato, anche due figure di riferimento: una istituzionale, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella; e una religiosa, papa Francesco.
Il fenomeno sta «cambiando pelle». «A essere corrotti non sono più solo i singoli, ma istituzioni e strutture a livello planetario. Si sono palesate con l’avvento della finanza globale – spiega Lorenzo Biagi, filosofo morale –.Purtroppo c’è una legislazione che legittima essa stessa la corruzione e le pratiche connesse. Le parole oggi più forti? Quelle del Papa. Sferzanti e originali. Non è un caso siano riprese persino da filosofi come Baumann o economisti come Stiglitz. Il Pontefice è l’unico ad avere il coraggio di chiamare le cose col proprio nome, senza fare sconti. Anche a costo di mettere a nudo le ferite infette all’interno della Chiesa».
Su questo tema abbiamo intervistato il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone e il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin.
Raffaele Cantone: «Non rubiamo futuro ai nostri giovani»
Dopo aver condotto le principali indagini sul clan dei Casalesi, da marzo 2014 Raffaele Cantone è presidente dell’Autorita nazionale anticorruzione.
Italia e corruzione. Presidente, non siamo propriamente un Bel Paese.
Se penso all’enormità dei danni causati mi viene in mente un caso su tutti, scoperto qualche anno fa, quello della Clinica Santa Rita di Milano dove si effettuavano interventi inutili e dannosi per gonfiare i rimborsi della sanità pubblica. Ecco, quando il livello di corruzione arriva a tale disumanità mettendo a rischio la vita delle persone, vuol dire che è mancato qualcosa.
Dove abbiamo fallito?
È venuta meno una cultura diffusa della legalità. In questo modo non sono stati prodotti sufficienti anticorpi alla corruzione, il vero male italiano della nostra epoca. Per troppo tempo il nostro Paese non ha preso coscienza del fenomeno con il risultato che la corruzione è vista come parte accettabile del sistema.
Avrà mai fine quello che il Papa ha definito «martirio dell’onestà»?
Da cittadino e da credente mi sento di dire che stiamo vivendo un cambiamento epocale. Papa Francesco ha denunciato più volte la corruzione con parole durissime. L’ha definita come “la droga che dà assuefazione” o “il martirio dell’onestà”, facile per chi detiene un potere, qualcosa che colpisce i poveri perché strumento di sottosviluppo. Per il Papa è un male tanto grave perché, anche se il corrotto si pente, le ferite infette restano.
Lei tiene molto agli incontri nelle scuole, al dialogo con i giovani. Perché?
La corruzione è, prima di tutto, un reato contro la società. Un male che si deve e si può sconfiggere per il bene di tutti, soprattutto per le generazioni di domani che rischiano di avere un futuro rubato. È questo il messaggio che cerco di trasmettere ai ragazzi. Formazione e prevenzione sono le parole chiave. E, per far crescere una nuova cultura a favore della trasparenza, si deve iniziare dai giovani. Per questo vado spesso nelle scuole a raccontare i danni che la corruzione genera nel sistema economico e sociale.
Cardinale Pietro Parolin: «Educhiamo all'onestà»
In prima fila, sempre. Quella contro la corruzione è una delle grandi battaglie di papa Bergoglio. Appelli continui contro un «cancro» annidato fin dentro la Chiesa stessa. Sul tema abbiamo sollecitato il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.
Eminenza, come può un cristiano lottare contro la corruzione?
Ogni cristiano deve impegnarsi a essere cittadino, mettendosi a servizio della comunità in cui vive e attuando comportamenti che creano cittadinanza.
Da dove partire?
Il primo luogo è la famiglia. Ci deve essere un’educazione sin dall’inizio, sin da quando si è piccoli, sin dai banchi di scuola. Un’educazione alla trasparenza, alla legalità.
Viene ritenuta una strada che non paga.
La strada della trasparenza e della giustizia non è mai una scorciatoia. So bene che, tante volte, la tentazione di cercare altre vie, più facili e appaganti, è grande.
Quali i pericoli?
Soprattutto quando un giovane non vede realizzate attese, speranze, sogni per la costruzione del proprio futuro. Ma finché continueremo a utilizzare scorciatoie non andremo da nessuna parte.
Cosa fare, allora?
La via maestra, per i nostri giovani e non solo, è sempre quella del coraggio della trasparenza, della correttezza, della legalità.
L'articolo completo e le interviste in nella versione digitale della rivista.